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Politica | Avvenne domani

Astensione obbligata

L'atteggiamento SVP sul nuovo Governo è perfettamente il linea con il comportamento della Sammelpartei dal 1948 ad oggi.

Le critiche mosse alla Suedtiroler Volkspartei per la decisione di astenersi, sia alla Camera che al Senato, sul governo di coalizione tra 5Stelle e Lega mostrano una preoccupante mancanza di conoscenza delle caratteristiche fondamentali, nel passato come nel presente, del partito della Stella Alpina.

La decisione presa in questi giorni è infatti perfettamente coerente con il comportamento del partito di raccolta durante tutto il suo rapporto con le aule parlamentari negli ultimi settant'anni, da quel 1948 in cui, per la prima volta dopo la lunga parentesi fascista, i deputati eletti dai sudtirolesi tornarono a sedere sui banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama.

È una linea tracciata con estrema precisione e che può essere così sintetizzata: la SVP giudica i vari governi, le maggioranze, le coalizioni politiche che le esprimono sulla base di un parametro fondamentale e cioè quello dell'atteggiamento che queste promettono di tenere nei confronti della minoranza sudtirolese, delle sue istanze, degli istituti come l'autonomia speciale dell'Alto Adige che la garantiscono. Tutto resto è secondario. Così le divisioni ideologiche, le contrapposizioni ideali, le grandi opzioni politiche, divengono materia del tutto secondaria nell'ottica delle delegazioni parlamentari che da Bolzano partono per Roma con l'unico scopo di tutelare gli interessi delle minoranze altoatesine.

Così è stato, come si diceva, per tutto il corso politico dell'Italia repubblicana, ma, se vogliamo, degli autorevolissimi antefatti possono essere rintracciati anche nel breve periodo che è compreso tra l'annessione dell'Alto Adige all'Italia e la definitiva soppressione della democrazia parlamentare da parte del fascismo. Basti ricordare un esempio tra tutti: i deputati sudtirolesi eletti nel 1924 alla Camera delle liste del Deutscher Verband, furono tra i pochissimi rappresentanti dell'opposizione a non abbandonare, dopo il delitto Matteotti, l'aula di Montecitorio e a non ritirarsi con tutte le altre forze politiche contrarie al fascismo sull'Aventino. Lo fecero sempre in omaggio al principio secondo il quale la loro scelta non doveva essere guidata da astratte scelte di campo ideologiche, ma solo dal tentativo di strappare qualche concessione per la minoranza alla dittatura incombente.

Nel secondo dopoguerra, ovviamente, le scelte non sono state così drammatiche, ma i deputati e i senatori della SVP hanno continuato a seguire, nella loro navigazione politica un'unica stella polare. I governi sono stati giudicati al loro nascere e nel loro agire sempre e solo per le promesse, mantenute o meno che fossero, in merito alle questioni ritenute fondamentali per l'interesse del popolo sudtirolese.

Un esempio lampante di questa strategia ci viene fornito dall'atteggiamento SVP sul referendum del dicembre 2016 relativo alla legge di riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi. Si trattava, per ammissione degli stessi proponenti, di una legge improntata ad un netto ritorno di fiamma del centralismo. Un passaggio che avrebbe dovuto trovare sulle barricate i sudtirolesi, i quali, invece, ottenuta la garanzia che le loro competenze autonome sarebbero state blindate con una robustissima clausola di garanzia, offrirono al Governo Renzi un voto tanto favorevole quanto inutile, visto che la proposta fu poi bocciata a furor di popolo.

Grazie al preziosissimo lavoro eseguito in sede di tesi di laurea presso l'università di Innsbruck dallo studioso altoatesino Tommaso Sleiter siamo in grado di ricostruire senza fatica l'atteggiamento della SVP riguardo ai governi e al Parlamento di Roma a partire dal 1948 e sin oltre l'avvento della cosiddetta seconda Repubblica. La statistica ci dice che, in mezzo secolo, solo in poco più della metà dei casi i governi riuscirono ad ottenere la fiducia dei deputati e dei senatori della Suedtiroler Volkspartei. In tutti gli altri casi il voto fu contrario o di astensione, come in questi giorni, o non fu espresso per l'assenza, evidentemente tutt'altro che casuale, dei rappresentanti politici dei sudtirolesi al momento del voto.

Più in dettaglio: la minuziosa ricerca di Tommaso Sleiter ci permette di sapere che alla Camera la SVP, tra il 1948 e il 1998 votò sì nel 56% per cento dei casi, si astenne nel 22%, era assente nell'8% delle votazioni e votò no nel 14% dei casi. Al Senato, sempre nello stesso periodo, i voti favorevoli furono il 55%, quelli contrari l'8%, le astensioni il 6% e le assenze addirittura il 31%.

Alcuni indirizzi politici sono facilmente definibili.

I deputati e i senatori SVP votarono contro  tutti i governi che godevano, anche solo a titolo di appoggio esterno, del consenso di quelle forze considerate decisamente anche autonomiste, come l'Msi nella prima Repubblica e AN nella seconda. Manca la controprova ma è probabile che se il governo Conte avesse in qualche modo coinvolto direttamente una forza come Fratelli d'Italia, che all'esperienza di AN si richiama direttamente, anche l'atteggiamento SVP sarebbe potuto essere diverso.

I voti contrari sono stati poi determinati da contingenti fasi politiche. La Suedtiroler Volkspartei si è posta radicalmente sui banchi dell'opposizione per tutto il lungo periodo della crisi della prima autonomia, dalla metà degli anni 50 fino alla positiva conclusione delle trattative per l'approvazione del "Pacchetto". Ulteriori momenti di tensione e di rottura si sono manifestati negli anni 80, quando l'attuazione dell'autonomia stessa pareva essersi irrimediabilmente inceppata. In taluni casi si è preferito ammorbidire l'atteggiamento negativo con l'astensione e, in particolare al Senato, dove quest'ultima equivale a voto contrario, con l'assenza tout court dai banchi di Palazzo Madama al momento del voto.

Dal 1994 in poi anche la SVP ha dovuto misurarsi con la nuova realtà di un sistema politico almeno in parte basato sul bipolarismo determinato dal sistema elettorale maggioritario. Anche in questo caso le scelte sono state sempre determinate dalla valutazione di quelli che venivano ritenuti gli interessi dei sudtirolesi. Così, nel 1994 e nel 2001 fu negata la fiducia ai governi Berlusconi, mentre il voto positivo fu concesso a tutti i vari esecutivi di centro-sinistra, da quelli presieduti da Romano Prodi ai più recenti diretti da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.

La fiducia iniziale fu concessa anche all'esecutivo tecnico guidato da Mario Monti e che, nella memoria SVP resta probabilmente come quello con il quale i rapporti politici furono più difficili, cosa che i deputati e senatori della Suedtiroler Volkspartei non mancarono mai di far rilevare anche con il comportamento in aula e il voto sui singoli provvedimenti.

Tutto questo semplicemente per delineare gli antefatti di una decisione, quella di astenersi sul nuovo esecutivo che in questi giorni entra nel pieno delle sue funzioni, che è quindi perfettamente allineata con quanto avvenuto da quando la SVP si è affacciata sulla scena politica romana. Il fatto che, alle elezioni del 4 marzo scorso, il partito abbia scelto, non senza qualche contrasto interno, un'alleanza con il centro sinistra e con il PD in particolare non sposta di molto i termini della questione. Si è trattato di un'operazione politica in chiave di strategia elettorale per la creazione di un polo autonomista a livello regionale, ma in nessun momento e in nessun luogo la SVP ha accettato di sottoscrivere alleanze che la obbligassero a piegarsi, anche dopo la conclusione della battaglia elettorale, alle strategie dei compagni di strada.

Di fronte al piccolo cataclisma che si è prodotto nella realtà politica italiana, la Suedtiroler Volkspartei continua a restare ancorata ai principi di sempre. Guarda con ragionevole diffidenza, ma senza pregiudizi particolari, alle due nuove entità politiche che si sono spartite gli oneri e gli onori del governo del paese. Le assicurazioni arrivate in questi giorni, anche da parte del nuovo Presidente del Consiglio sulla salvaguardia delle autonomie speciali e sul mantenimento degli impegni presi dai precedenti governi su temi cruciali come ad esempio il rinnovo della concessione alla A22, sono stati considerati motivi sufficienti ad evitare un pregiudiziale voto contrario.

Per il resto si vedrà.

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Francesco Palermo Mar, 06/12/2018 - 16:29

È sempre un istruttivo piacere leggere i testi di Maurizio Ferrandi. Anche in questo caso grande lucidità e ottima documentazione. Mi permetto di aggiungere un elemento di ulteriore riflessione: la SVP è stata tradizionalmente una componente del gruppo misto alla Camera e, dal 2001, parte essenziale del Gruppo per le Autonomie al Senato ((gruppo che ha assunto varie denominazioni dal 2001 ad oggi). Nelle ultime due legislature la presenza di un consistente numero di parlamentari non SVP nel gruppo ha reso la SVP non egemone, per quanto determinante, e in qualche caso ha costretto i suoi parlamentari a votare diversamente dalla maggioranza del gruppo di appartenenza. A mio avviso è stata una fase molto utile, anche per.la SVP, perché l'ha obbligata a non essere autoreferenziale. In questa legislatura si è tornati alla situazione precedente al 2008, con i parlamentari SVP che, nella sostanza, fanno gruppo a sé. Questo condiziona anche l'atteggiamento parlamentare, anche se non sulle questioni di fondo come la fiducia al governo. Mi sembra un dato trascurato, specie sulla stampa locale, ma non insignificante quanto alla spiegazione delle dinamiche che determinano i comportamenti parlamentari della "delegazione" SVP

Mar, 06/12/2018 - 16:29 Collegamento permanente