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“Ci mettiamo già la faccia”

Mario Deriu, del sindacato Siulp provinciale, contro il codice identificativo per la polizia, “il problema va risolto a monte”. Perché c’è un sistema che va cambiato.
Polizia
Foto: Amnesty International Italia

La storia si ripete. L’identificabilità delle forze dell’ordine è un tema che torna ciclicamente sul tavolo anatomico del dibattito pubblico, rinfocolato da alcuni incresciosi fatti di cronaca. L’ultimo, in ordine di tempo, il caso del giornalista di Repubblica, Stefano Origone, malmenato dalla polizia durante gli scontri del 23 maggio scorso tra antifascisti e CasaPound a Genova. Qualche giorno dopo l’accaduto quattro poliziotti del reparto mobile coinvolti nel pestaggio si sono presentati spontaneamente in Procura venendo iscritti nel registro degli indagati per lesioni aggravate.

A seguito di questo episodio e sempre memore delle brutali violenze perpetrate in quel G8 di Genova del 2001 Amnesty International Italia ha rilanciato la campagna “Forza Polizia, mettici la faccia” dopo l’appello dello scorso novembre al ministro dell’Interno Matteo Salvini e al capo della Polizia Franco Gabrielli (oltre 77mila le firme raggiunte finora) che mira a introdurre i codici identificativi per “gli agenti e i funzionari di polizia (senza distinzione di ordine e grado) impegnati in operazioni di ordine pubblico”. I codici, numerici o alfanumerici, dovranno essere individuali, ben visibili da ogni lato, non modificabili né rimovibili, brevi per poter essere memorizzati con facilità. E solo l’autorità giudiziaria insieme al Corpo di polizia coinvolto, precisa l’organizzazione non governativa, può risalire all’identità dell’agente.

 

 

“Questa campagna - spiega Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia - non è ‘contro le forze di polizia’, che sono attori chiave nella protezione dei diritti umani. Affinché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e incontri la piena fiducia di tutti, è però fondamentale che eventuali episodi di uso ingiustificato o eccessivo della forza siano riconosciuti e sanzionati adeguatamente, senza che si frappongano ostacoli all’accertamento delle responsabilità individuali”. E ancora: “L’introduzione di misure come i codici identificativi per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico rappresenta non solo una garanzia per il cittadino, ma anche una forma di tutela per gli stessi appartenenti alle forze di polizia: una misura che non dovrebbe essere temuta né avversata da chi svolge il proprio lavoro in maniera conforme alle norme e agli standard internazionali sui diritti umani”.

 

Italia immobile

 

20 dei 28 stati membri dell’Unione europea hanno adottato gli identificativi, e questi sono Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna. In Italia, fino ad oggi, mai nessun disegno di legge per ammettere tale misura ha avuto successo. Come ha ricordato l’avvocato trentino Nicola Canestrini, la presenza dei codici di identificazione, si potrebbe dire, non impedisce un uso sproporzionato della forza, ed è vero, ma è facile rispondere che la documentazione degli abusi può essere più accurata, agevolando il lavoro della magistratura. D’altro canto timore d’essere identificati è un deterrente per gli agenti mal intenzionati e in generale un freno per gli eccessi preordinati nell’uso della forza (come giustamente scritto da Lorenzo Guadagnucci nel 2013). L’identificabilità dei singoli operatori di polizia sarebbe infine anche una forma di tutela per gli stessi appartenenti alle forze di polizia, che hanno diritto – proprio per il difficile e meritorio lavoro che svolgono – di non essere confusi con chi invece infanga la divisa nascondendosi nell’anonimato”.

 

 

Nel contratto di governo firmato da Lega e 5 stelle c’è scritto che “si dovranno dotare tutti gli agenti che svolgono compiti di polizia su strada di una videocamera sulla divisa, nell’autovettura e nelle celle di sicurezza, sotto il controllo e la direzione del Garante della privacy, con adozione di un rigido regolamento, per filmare quanto accade durante il servizio, nelle manifestazioni, in piazza e negli stadi”. In breve: Bodycam sì (eventuali spegnimenti o interruzioni nella registrazione sono però da tenere in conto e andranno giustificati), numeri sui caschi dei poliziotti, ha detto chiaramente il ministro Salvini, no.

 

“Il codice non è una panacea”

 

Contrario all’introduzione della misura in questione è anche Mario Deriu, segretario del sindacato di polizia Siulp della Provincia di Bolzano, secondo cui il codice identificativo è “la divisa che indossiamo in quanto rappresentanti dello Stato, la faccia ce la mettiamo già”. Tutti i servizi di ordine pubblico, dichiara Deriu su salto.bz, sono organizzati nominativamente da un questore, si conosce dunque l’identità dei capi squadra e dei componenti della stessa, inoltre uno strumento di rilevazione come le telecamere dislocate per la città permette già ora di individuare chi non si comporta come dovrebbe. “Il tema mi pare quindi più ideologico che sostanziale - dice il sindacalista -, applicare un numero identificativo sul casco significherebbe risolvere il problema solo in apparenza e poi non trovo giusto che a fare da capro espiatorio sia l’ultimo degli agenti in servizio, perché deve rispondere del proprio operato non solo chi esegue ma anche chi comanda”.

 

 

C’è poi da considerare che durante un possibile tafferuglio il rischio di scambiare una lettera o un numero per un altro è alto, sostiene Deriu, “le situazioni di ordine pubblico del resto sono spesso caratterizzate da uno stato confusionale, figurarsi che a volte nella concitazione del momento non ci si riconosce nemmeno fra colleghi, e poi che succede, si va a processo e si paga per qualcosa che non si è commesso?”.

Il tema mi pare più ideologico che sostanziale

Per il sindacalista occorre piuttosto lavorare sulla credibilità istituzionale della polizia, strutturare un percorso di riorganizzazione del sistema sia relativamente all’ordine pubblico sia alle responsabilità delle catene di comando sia alle ingerenze politiche, “il numero diventerebbe invece un orpello e potrebbe essere oggetto di strumentalizzazione, e questo va evitato”. 

 

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19 amet Mer, 06/19/2019 - 08:48

Come al solito l' Italia è in ritardo. Ed i sindacati, di tutti i tipi, da sempre fanno a gara per frenare ogni cambiamento. Se mi bastona il poliziotto 321 si sa anche perfettamente chi gli ha dato l'ordine. E se il poliziotto 321 non si trovava dove mi trovavo io, vuol dire che non era lui. Quindi il discorso del sidacalista fa acqua da tutte le parti.

Mer, 06/19/2019 - 08:48 Collegamento permanente
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Andrea Terrigno Mer, 06/19/2019 - 12:07

Caro sig. Deriu, non si nasconda dietro ad un dito. Sa benissimo che in nome dello spirito di corpo i colleghi si parano la schiena a vicenda anche in casi in cui l'operato della squadra è indifendibile, sperando nella clemenza delle commissioni d'indagini e nello sfiancamento delle vittime tramite le solite procedure burocratiche. Non stiamo parlando di ideologie, ma di poter confrontare una PERSONA con il proprio operato nei confronti di un'altra o più altre PERSONE.
L'uniforme non conferisce il diritto a manganellare persone disarmate che sfilano in modo pacifico. Se glielo ha ordinato il Questore, voglio che sia proprio quell'agente a dirlo.

Mer, 06/19/2019 - 12:07 Collegamento permanente
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Mensch Ärgerdi… Mer, 06/19/2019 - 12:51

"si va a processo e si paga per qualcosa che non si è commesso?"
Ma certo che no! Meglio non pagare mai e farla franca sempre anche quando la si combina grossa, vero?
Con questo Governo i membri delle forze dell'ordine sono stati degradati ad aiutanti sceriffo per i pistoleri da balcone, la mafia continua a lavorare indisturbata, ma la preoccupazione principale del sindacato è che le mele marce in divisa continuino ad essere protette.
I miei più sentiti complimenti, bravi!

Mer, 06/19/2019 - 12:51 Collegamento permanente