Società | In prima linea

Coronavirus, l’odissea degli infermieri

Turni anche di oltre 12 ore, mascherine contate, la paura di infettarsi e contagiare i familiari. Ribetto (Nursing up): “Anche in Alto Adige infermieri in sofferenza”.
Coronavirus Bolzano
Foto: Othmar Seehauser

Un fiume di telefonate. Sono quelle che intasano le linee del sindacato degli infermieri Nursing up in Alto Adige in questi giorni di instancabile controffensiva al Coronavirus. Tra il personale si parla di “clima tesissimo” in ospedale a Bolzano.
“La preoccupazione è tanta, cerchiamo di dare risposte ma non le abbiamo tutte, perché la situazione è in continua evoluzione”, dichiara a salto.bz Massimo Ribetto, referente regionale di Nursing up. “Non mi stupirei se venissi richiamato anch’io per tornare a operare in prima linea come infermiere, io che da 12 anni lavoro ormai a tempo pieno per il sindacato”.

Iconica è diventata la foto che ritrae Elena Pagliarini, infermiera a Cremona, addormentata perché sfinita dopo un turno massacrante. Complice la pubblicazione dello scatto su Instagram da parte dell’ex calciatore della Juventus e della Nazionale Claudio Marchisio per stigmatizzare il comportamento di chi non ha seguito le disposizioni di restare a casa.

 

Non fanno meno effetto le immagini che circolano sui social di infermiere con i segni delle mascherine sul volto, corredate da una didascalia che veicola lo stesso accorato appello a non vanificare gli sforzi di chi sta curando i pazienti e dunque a seguire pedissequamente le misure diffuse dal governo per contenere il contagio. “I colleghi fanno turni che superano anche le 12 ore. Mettiamoci nei loro panni - riflette Ribetto -, quanto si può resistere a una pressione fisica e psicologica di questo tipo?”.

I tre problemi principali


Una delle maggiori criticità segnalate dai professionisti sanitari è la mancanza di presidi di autoprotezione, certificata in Alto Adige come nel resto d’Italia. Guanti, tute protettive e soprattutto le mascherine che dopo essere state indossate per 6 ore devono essere cambiate. “L’elevato consumo ha portato all’esaurimento delle scorte di questi dispositivi in particolare che vanno utilizzati secondo i criteri di sicurezza individuati, ci sono infatti disposizioni ministeriali in merito”, sottolinea Ribetto.

I colleghi fanno turni che superano anche le 12 ore. Mettiamoci nei loro panni, quanto si può resistere a una pressione fisica e psicologica di questo tipo?

Altro dilemma riguarda l’alto rischio di contagio. La paura degli operatori sanitari è quella di contrarre il virus - essendone inevitabilmente molto esposti - attraverso il contatto con pazienti risultati positivi, come del resto è già accaduto in due recenti occasioni. “Dal caso sospetto al test di controllo svolto dall’Istituto ‘Spallanzani’ di Roma e al conseguente eventuale isolamento trascorre del tempo durante il quale gli infermieri devono continuare a lavorare, e se anche loro risulteranno positivi sarà la direzione medica ospedaliera a decidere per la quarantena o meno. Su questo punto le direttive non sono chiare - fa notare il referente locale di Nursing up -. Gli infermieri sono esseri umani con un bagaglio emotivo ed è comprensibile l’angoscia che provano non solo per la propria salute ma anche per quella dei familiari da cui tornano a casa sottoposti a loro volta al rischio di contagio”.


Con le scuole ufficialmente chiuse fino al 3 aprile, poi, il problema di gestire i figli non è trascurabile, così come per molti altri lavoratori. “Secondo le disposizioni della Provincia appena concordate i dipendenti potranno servirsi di ferie, straordinari, congedi parentali e delle 5 giornate di congedo straordinario previste dal contratto di intercomparto (frazionabili anche in mezze giornate ma non in ore) - chiosa Ribetto -. Per gestire le assenze durante questo periodo di emergenza sanitaria si attendono anche dei dispositivi legislativi nazionali ad hoc di cui si sente parlare dalla settimana scorsa. Chiederemo inoltre alla Provincia di pensare a forme di sostegno economico per il personale che in questo periodo va incontro a spese straordinarie”.
Nell’affrontare l’emergenza-Coronavirus, osserva infine Ribetto, “la percezione è che l’Alto Adige sia rimasto indietro, di almeno una settimana, rispetto al resto d’Italia e che non si stia facendo abbastanza. Sono in contatto con i colleghi delle altre regioni e telefonate come quelle che ci stanno arrivando oggi loro le hanno ricevute dieci giorni fa e di conseguenza hanno già potuto cominciare ad affrontare certe problematiche. In ogni caso quello che conta ora è non farsi prendere dal panico e avere fiducia nell’efficacia delle procedure indicate. Verremo fuori da questa storia”.