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Società | IL CAPPUCCINO

Pane, ma anche libri

Da martedì avremo ripreso dopo solo poche settimane una delle abitudini più fragranti ed emozionanti che possiamo permetterci.

Secondo lo scrittore Luca D’Andrea, ospitato e intervistato in più occasioni da un giornale locale, i libri non sono essenziali come il pane, la benzina e una risata con gli amici. Anzi, esiste il pericolo di rappresentare solo il “politicamente corretto”, quel conformismo cioè che non riusciamo ad evitare neanche in questi tempi comunque ristretti e tortuosi del coronavirus.

Da questa rubrichina replichiamo – ringraziando D’Andrea per una schiettezza non comune (parliamo dell’unico scrittore di respiro nazionale e internazionale di Bolzano, così come Joseph Zoderer è l’autore sudtirolese ma planetario dell’intera Mitteleuropa di oggi) – con le parole di Reinhard Schölzhorn della libreria meranese Alte Mühle, dal Corriere dell’Alto Adige: “I nostri clienti leggono un libro con il ritmo del loro respiro. Ed è una manna dopo ore e ore in casa davanti alla tv o a internet”. Pur regalandosi tutto lo spazio e il tempo necessari per leggere con calma anche Salto.bz, viene subito da aggiungere. E comunque, caro D’Andrea, che ne dici di un confronto tra noi due (insieme con un paio di redattrici e redattori interni) nella sede di Salto quando sarà possibile?

Due modi di concepire l’avventura (leggere e viaggiare) che stiamo rielaborando, rinunciando a qualcosa ma anche rivalutando qualcos’altro.

Dallo storico “pane e le rose” al cinematografico “Pane e tulipani”, i segnali della indispensabilità di qualcosa che si affianchi al mangiare, bere, vestirsi e avere un lavoro dignitoso ricorrono sempre di più. E la retorica non manca. Talvolta, anche un calcolo politico vero e proprio per agguantare qualche consenso.
Ma sui libri non si scherza e non si specula. E se vogliamo leggere un libro con il ritmo del nostro respiro, ebbene da martedì 14 aprile 2020 lo potremo fare entrando in una libreria e scorrendo le pagine dei libri che cerchiamo oppure, forse ancora meglio, di quelli che scopriamo e che ci vengono incontro da soli.

Useremo guanti di lattice, una mascherina (e un po’ di pazienza) ma avremo ripreso dopo solo poche settimane una delle abitudini più fragranti ed emozionanti che possiamo permetterci.
Certo, le librerie dovranno anche recuperare il tempo e i guadagni perduti. Forse rivedendo anche il calendario delle presentazioni di libri, animate da scrittori (e moderatori) preparati ma anche da una minoranza di dilettanti allo sbaraglio nei rispettivi due ruoli.

Se vogliamo leggere un libro con il ritmo del nostro respiro, ebbene da martedì 14 aprile 2020 lo potremo fare entrando in una libreria e scorrendo le pagine dei libri che cerchiamo oppure, forse ancora meglio, di quelli che scopriamo e che ci vengono incontro da soli.

Insomma, se abbiamo pensato che i giornali e in generale l’informazione usciranno rafforzati in competenza e professionalità dal periodo della pandemia (lo abbiamo scritto in un precedente Cappuccino e ci ha fatto piacere ritrovare su alcuni grandi quotidiani lo stesso ottimismo ragionato), se abbiamo ipotizzato tutto questo, possiamo anche pensare di essere diventati in questo periodo di clausura senza se e senza ma anche lettori più attenti, più “affamati”, più curiosi e persino più esigenti.
Nelle librerie che ci sono care oppure anche scoprendone di nuove. In attesa di tornare anche a viaggiare, cosa molto più complicata.

Due modi di concepire l’avventura (leggere e viaggiare) che stiamo rielaborando, rinunciando a qualcosa ma anche rivalutando qualcos’altro. Anche se è tremendamente prematuro vagheggiare che potremo sconfiggere il coronavirus. Una informazione corretta e approfondita è un’arma importante quasi come quella rappresentata da medici, infermieri e forze dell’ordine che hanno cura di malati e di persone sane. E che vigilano sui nostri doveri di cittadini responsabili oltre che, per ora, decisamente casalinghi.

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Luca D'Andrea Lun, 04/13/2020 - 12:33

Innanzitutto: prego. Vengo al dunque e senza preamboli. Le librerie sono in sofferenza? Sì, è evidente. Bisogna fare qualcosa per aiutarle? Altrettanto evidente. Penso che una riapertura, improvvisa e improvvisata, senza protocolli sanitari certi nel pieno di una pandemia che sta facendo 500 morti al giorno (lo ribadisco: cinquecento morti al giorno) sia una stupidaggine? Sì.
Non si tratta di andare contro il “politicamente corretto” (termine che non ho mai utilizzato in vita mia e che viene solitamente adoperato come arma da offesa alla stregua di “intellettuali”, “radical chic” e simili da quelli che amano nascondere i propri scheletri negli armadi altrui, per dirla come Levi) si tratta invece di un invito a ragionare in maniera lucida sui meccanismi dell’editoria e del commercio dei libri in questo particolare frangente storico.

Ci sono fulgidi esempi di librai (penso all’amico Giorgio della libreria Arcadia di Rovereto, ma è solo il primo che mi viene in mente) che sono riusciti a coniugare l’esigenza (sacrosanta) di chi “respira libri” all’altrettanto sacrosanta necessità di cucire pranzo e cena, alla questione della salute pubblica e personale. Ma dobbiamo anche renderci conto che si tratta di eccezioni: la maggior parte delle librerie in Italia sono librerie di catena. I librai che ci lavorano non sono padroni delle proprie decisioni, esattamente come gli operai in fabbrica o i lavoratori dei supermercati. L’urgenza dei cinquecento morti al giorno (quando va bene) ci costringe ad essere chiari: l’editoria è una macchina commerciale come altre. La passione dei lettori (e, permettetemi, degli scrittori) non è mai sulla bilancia, l’unica bilancia che conta è quella delle entrate e delle uscite. Sono certo che se stessimo parlando di Confindustria i toni, gli argomenti e gli attori in gioco cambierebbero notevolmente. Eppure è necessario affrontare il problema partendo proprio da questo presupposto.

Quindi…

Siamo sicuri che chi ci governa abbia pensato a tutelare chi lavora nelle nostre amate librerie? Permettetemi di dubitarne. Ne dubito per il semplice fatto che il mestiere di “libraio” (pur avendo in Italia delle apposite “scuole librai”, a Roma ad esempio) inteso come categoria professionale non esiste. La dice lunga, no?

Faccio anche notare che la maggior parte delle librerie si trova nei centri storici con conseguenti problemi della gestione del traffico – e qui mi tocca intendere proprio il caro vecchio “per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. La mamma dei cretini è sempre incinta.

I materiali sanitari necessari alle riaperture: guanti, mascherine, igienizzanti vari. E’ evidente che c’è, in questo momento, una penuria di tali attrezzature. E’ una buona idea dirottarli verso le librerie col rischio di sottrarli ad altri settori?
E, per favore, non ragioniamo solo in termini locali, dove le librerie anche di catena sono piccole, ma teniamo a mente che stiamo parlando di un provvedimento nazionale calato in un contesto di carenza socio-sanitario immediato. Stiamo parlando di migliaia di persone. Sul lungo periodo sicuramente questa problematica sarà superflua (spero) ma stiamo parlando di oggi, stiamo parlando di Borrelli che si arrampica sugli specchi ogni volta che qualcuno pone la questione della sicurezza del personale sanitario, delle RSA prive di protezione, di mascherine di dubbia idoneità distribuite negli ospedali.
Questa è l’Italia in questo momento. Non giriamoci intorno. Il Covid-19 ci costringe al qui-e-ora.

Questa riapertura non è nata per favorire la ripresa di un settore economico o perché “non di solo pane vive l’uomo”. No, la decisione è stata presa per dare un contentino puramente mediatico a quella parte del Parlamento e del Senato che bisogna tenere buona in vista di possibili cali di consenso e/o crisi di governo. Ci piaccia o meno, dei lettori, degli scrittori (tanto per la cronaca, nemmeno la categoria professionale “scrittori” esiste) e dei librai, la politica non sa che farsene: troppo scarso l’indotto complessivo in termini monetari e soprattutto troppo poco fluttuante e incisivo il voto dei lettori forti.

Inoltre, questa decisione, non ragiona in termini di filiera. Distributori, stamperie, case editrici etc., sono lungi dall’essere in grado di riaprire in tempi brevi, con evidenti ripercussioni sulla disponibilità fisica dei volumi. E anche qui: non aspettandosi una riapertura a breve, trovandosi a dover improvvisare, siamo sicuri che chi ci lavora – chi ci lavora fisicamente, non i CEO o gli scrittori che se ne possono stare tranquilli a casa… - sarà adeguatamente tutelato?

In ultimo (e poi arrivo alla pars construens che mi sembra decisamente più utile) perché nessuno ha alzato un dito per sottolineare che nel fumoso decreto non è chiaro se, qualora i librai decidessero di non aprire, avranno comunque la possibilità di continuare a accedere agli aiuti che lo Stato sta erogando?

Tutti questi punti di domanda sono esigenze di cui mi sono fatto portatore approfittando della fama che i miei libri mi hanno donato, ma che provengono da una buona fetta (oserei dire dalla maggioranza) di addetti ai lavori. Con l’eccezione – e credo che sia lecito sottolinearlo – di una buona quota di colleghi che, vuoi per quieto vivere, vuoi per italica tradizione a schierarsi sempre con la maggioranza “giusta” (cioè quella che porta denari al conto corrente) hanno pilatescamente preferito lisciare il pelo al luogo comune imperante anziché, come doveroso sia perché conoscono bene i meccanismi dell’industria sia perché (per la miseria!), è compito primario di chi per mestiere inventa storie mettersi nella pelle degli altri, stimolare un approfondimento scevro da facili e comode (oh, quanto comode…) prese di posizione.

Tutto questo sproloquio (ma tanto il tempo non ci manca) per arrivare alla vera “cosa in sé”: come aiutare le librerie indipendenti che sono quelle che subiranno la ripercussione più pesante della pandemia e, in secondo luogo, l’editoria tutta?

Governo. Il governo avrebbe potuto togliere l’imposta di franchigia sulle spedizioni. Il costo collettivo sarebbe stato ridicolo (di certo minore dei famosi 49 milioni di Euro dello sbertucciante Matteo nazionale), la sicurezza garantita e, garantito anche il tempo necessario alla filiera per ragionare sulle modalità di riapertura senza essere costretti a passare direttamente e senza paracadute dalla cosiddetta “fase 1” alla “fase 3”. Non accadrà mai, quindi inutile anche soffermarci su chi sta nella stanza dei bottoni.

I lettori. Posso dire quello che faccio io: sto segnando su un taccuino tutti i libri che, quando sarà tempo, andrò a ordinare in tutte le librerie della mia città. Amazon sta già guadagnando abbastanza vendendo cialde di caffè. E’ facile, pratico e richiede solo un po’ di pazienza. In fondo, alcuni libri già presenti nella nostra biblioteca personale sono sicuramente degni di rilettura.

Come scrittore. Usare quel briciolo di credibilità e di influenza che la categoria può avere per spingere alla ricerca di nuove pratiche che ci permettano di superare questo schifo di emergenza continuando a mantenere viva la nostra passione di lettori, coniugando la libertà personale a quella collettiva, le esigenze di sanità pubblica ed evitando di diventare dei maledetti kapò.
Ecco il motivo (non dissimile a quello che, immagino, vi spinge a proseguire nei vostri lavori di inchiesta quelli per cui, come cittadino, sono io a dovervi ringraziare) per cui sono qui anche se aborro la comunicazione attraverso la Rete. Ecco il perché dei miei interventi sull’Alto Adige. Ecco perché sto rompendo i coglioni a mezzo mondo (letteralmente a mezzo mondo) anziché starmene bel bello a guardare i “clienti” farsi abbindolare da facili slogan e i librai usati come cavie su cui testare il “senso di responsabilità” dei cittadini e le sue ricadute a livello epidemiologico.
Inoltre, ancora più concretamente, e lo dico perché è un’idea che andrebbe copiata, ho partecipato ad un’antologia (in e-book) i cui proventi confluiranno (al 100%, non al 50%...) in un fondo di salvaguardia per le librerie indipendenti. In Germania però, perché in Italia – e la cosa non mi stupisce nemmeno per sbaglio – un’idea del genere viene vista come impraticabile.

E queste sono solo tre risposte/proposte che sono venute in mente al sottoscritto. Scommetto che, volendo, se ne potrebbero trovare a bizzeffe di ancora più realistiche e utili.

Termino. Ci sarà modo di vedersi? Vi ringrazio per l’invito, ma non faccio più presentazioni/incontri da prima della pandemia. Pur trovandole divertenti e ricche di spunti di riflessioni, mi sono reso conto che preferisco non essere al centro del palcoscenico. Questione di carattere, tutto qui. Non abbiatela a male. Quando sarà tempo sarà più facile, divertente e utile incontrarsi per strada, in fila al supermercato (o in qualche libreria) dove non c’è il “Luca D’Andrea” figura pubblica su cui costruire chissà quali costruzioni mentali, ma solo un tizio che si guadagna da vivere con un mestiere un po’ diverso dal solito con cui fare due chiacchiere. Ma oggi, adesso, qui-e—ora, usiamo le nostre energie per concentrarci, a freddo, in maniera razionale, senza slogan o ideologie (a proposito: notato come le voci a favore della riapertura delle librerie si sono moltiplicate dopo la decisione di Fontana di tenerle chiuse troncando ogni possibilità di approfondimento? Cosa ci dice questo?) su come sostenere concretamente quella che, per tutti noi, è una passione necessaria.
Siamo lettori, abbiamo avuto il privilegio di vivere migliaia di vite, sarebbe un peccato buttarle alle ortiche.

Lun, 04/13/2020 - 12:33 Collegamento permanente
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Giancarlo Riccio Lun, 04/13/2020 - 13:57

In risposta a di Luca D'Andrea

grazie al mio interlocutore per la molto fluviale replica. se ogni parola che ha usato fossero gocce d'acqua, useremo il suo intervento per la prossima siccità. Ma attenzione: librerie decentrate ce ne sono sia a Roma che a Milano, basta cercarle. E comunque una libreria senza lettori che cosa sarebbe? Con tutta l'attenzione prioritaria verso chi è malato e verso chi cura.

Lun, 04/13/2020 - 13:57 Collegamento permanente