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“Che spettacolo questa Italia”

Il giro del Paese in 82 giorni. La scalatrice Tamara Lunger racconta il suo lungo tour in camper fra incontri e luoghi memorabili, e qualche disavventura.
Tamara Lunger
Foto: Tamara Lunger

Siete stati una figata”. Tamara Lunger, top climber altoatesina, ha voluto ringraziare così, via Facebook, i fan che l’hanno seguita, ma anche le persone incontrate lungo il percorso, durante il suo giro del Paese in 82 giorni, dall’Etna all’Ortles. Il “Tamara tour Italia” è una spedizione diversa da quelle a cui ci aveva abituato la 34enne alpinista ed è la prima dopo l’incidente al Gasherbrum con il compagno di cordata Simone Moro.
Il viaggio in camper è iniziato il 1° luglio scorso (e si è concluso a metà settembre) con uno scopo preciso: raggiungere le montagne più alte di ogni regione. In mezzo, panorami da togliere il fiato, buon cibo, uscite in bici e in canoa, trekking, arrampicate, lanci con il parapendio, e anche qualche disavventura.

 

salto.bz: Lunger, nell’ultima intervista rilasciata alla nostra testata, dopo l’episodio in Himalaya, disse “ora ho bisogno di pace”. L’ha trovata?

Tamara Lunger: Direi di sì. Già durante il lockdown avevo avuto modo di lavorare molto su di me, alla ricerca di sicurezza e stabilità, volevo arrivare al punto in cui sarei riuscita a dire a me stessa “vado bene come sono” e a capire quali obiettivi pormi. Vivo seguendo i miei valori, e questo significa anche accettare di non lasciarsi ferire dalle malelingue, che trovano nei social il solito sfogatoio. Sono partita con lo spirito giusto in tour, e tanta di quella energia che ci ho messo mi è stata restituita da tutti quelli che ho incontrato, persone che mi dicevano di essere state ispirate da questo mio viaggio. In mezzo a tanto entusiasmo c’è stato solo un commento negativo, di un’altoatesina. Un’ottima media, o no? (Ride).

Per tre volte avevo provato a scalare un ottomila d’inverno e in due occasioni ci avevo quasi lasciato la pelle. Forse, mi ero detta, sono segnali

La nuova avventura è servita quindi anche a esorcizzare lo spauracchio di quell’incidente sul Gasherbrum?

In un certo senso sì. C’è stato un momento, dopo quella volta, in cui mi sono sentita persa, non sapevo più quale fosse veramente la mia strada. Per tre volte avevo provato a scalare un ottomila d’inverno e in due occasioni ci avevo quasi lasciato la pelle. Forse, mi ero detta, sono segnali. Quello che è successo a quel punto è stato che ho riordinato i pensieri e sviluppato via via una maggiore intuizione per riuscire a capire cosa fosse per me giusto fare e cosa no. E mi è venuta l’idea del tour in camper.

 

 

Com’è l’Italia vista dalle sue cime?

Uno spettacolo senza paragoni. E la gente… un’accoglienza straordinaria. L’unica pecca un episodio spiacevole che mi è successo mentre ero in viaggio.

Cioè?

Mi hanno aperto il camper quand’ero in Campania, ma per fortuna non hanno rubato granché. E, comunque, mi è successa la stessa cosa a Bolzano pochi giorni fa, solo che stavolta mi hanno sottratto la bici. Che rabbia... Per il resto è andato tutto liscio a parte un altro contrattempo in Basilicata.

Racconti.

Ero sulle Dolomiti lucane e non volevano lasciarmi fare il “Volo dell’Angelo” (una traversata, sospesi a quattrocento metri dal suolo e imbracati ad un cavo di acciaio, da una cima all’altra di due paesini, ndr) perché indossavo una canottiera e quindi avrei rischiato qualche graffio sulla spalla in frenata. A me non importava ma lo staff non voleva sentire storie. Non avevo con me una maglietta perciò non se ne veniva fuori, a quel punto un ragazzo che si trovava lì, che mi conosceva grazie ai social e che aveva assistito alla scena, è corso a procurarmene una. Insomma, un piccolo imprevisto che però alla fine mi ha portato a conoscere un’altra bella persona. Ed è stato così, una scoperta umana dietro l’altra.

 

Nell’anno del Covid piuttosto che stare alla larga dalle persone lei è andata a cercarle. Com’è andata?

Questa pandemia ci ha costretto a ridimensionare i nostri approcci sociali, ma devo dire che durante il tour tutto è andato bene da quel punto di vista, c’era tanta voglia di interagire gli uni con gli altri. Io poi sono poco “altoatesina” in questo senso, sono espansiva e il contatto fisico con la gente mi mancava.

Chi ha lasciato di più il segno?

In tanti lo hanno fatto. Penso per esempio alla climber Amer Wafaa incontrata a Finale Ligure o all’alpinista e atleta paralimpico Andrea Lanfri, col quale siamo andati in arrampicata sul Monte Cimone e il Monte Prado, o ancora al rifugista della capanna Gnifetti sul Monte Rosa con cui sono subito entrata in sintonia, a tutte le guide in Val d’Aosta, e potrei continuare… A Gaeta ho scalato con una ragazza e il suo fidanzato, lì ho rincontrato un fotografo che avevo conosciuto per caso sul Gran Sasso, e che poi è venuto con me sul Monte Meta, per ritrovarci di nuovo, alla fine, ad Aosta. Sono nate e cresciute anche delle amicizie in quei giorni. Ho incontrato gente che mi sembrava di conoscere da sempre, che mi ha fatto sentire come una di famiglia e che mi ha aiutato, pensi che ho sempre fatto il bucato a casa di qualcuno.

Sono scesa dal rifugio Gnifetti dopo aver raggiunto la punta Nordend. Ricordo che quando sono salita in macchina ho iniziato a piangere per la felicità. Perché ho la possibilità di vivere momenti come questi

Com’erano scandite le sue giornate?

Mi ero scritta un programma da seguire, e dovevo anche trovare le persone con cui fare le varie attività. A volte le cercavo su Instagram, altri erano amici, altre ancora persone che avevo appena conosciuto e con cui andavo a scalare. Capitava che queste a loro volta mi passassero un numero di telefono di qualcun altro, che poi si rivelava essere per esempio una guida dell’Etna di cui avrei avuto bisogno il giorno dopo. Si è verificata tutta una serie di coincidenze che avevano dell’incredibile, sembrava quasi un disegno divino. Nemmeno a volerle pianificare nei minimi dettagli le cose sarebbero uscite così perfette. Sono stata molto fortunata e per questo provo molta gratitudine.

L’aspetto più faticoso del tour?

Guidare sempre. Per tanti chilometri. Venivo spesso invitata a cena a casa di perfetti sconosciuti, e soprattutto al Sud si mangiava molto, quindi mettermi di nuovo al volante a mezzanotte e viaggiare per due-tre ore la notte era dura. Dopo mi servivano un paio di giorni di solitudine per recuperare. Il bello era che c’era sempre qualcosa da fare, intoppi compresi, come quando ho bucato una gomma. Le giornate erano piene, impegnative, ma piano piano sono entrata in questa nuova modalità di vita ed è diventato tutto più facile.

Non credevo fosse ancora così precaria la situazione nelle frazioni di Amatrice. Hanno messo di guardia dei militari in alcune zone per evitare ruberie nelle case disabitate, ferite. Uno scenario che fa davvero molto effetto

La tappa preferita? Ma non mi dica l’Ortles che è scontato.

Era tutto così bello. Mi viene in mente ad esempio la volta che sono scesa dal rifugio Gnifetti dopo aver raggiunto la punta Nordend. Ricordo che quando sono salita in macchina ho iniziato a piangere per la felicità. Perché ho la possibilità di vivere momenti come questi. Il proposito di assecondare i propri sogni è ciò che con questo tour, ma non solo, ho voluto trasmettere a chi mi segue. 

Qual è la vetta che le ha più dato filo da torcere?

Forse il Monte Bianco, sia perché la via per arrivare in cima era difficile da individuare, sia perché una volta in alta quota la fatica si è fatta sentire, e avevo proprio il passo lento degli Ottomila. All’inizio mi era stato proposto di fare la salita dalla Francia, ma non mi sembrava la cosa giusta da fare, all’interno del mio tour dell’Italia. Poi mi è stato suggerito di provare ad arrivare in vetta attraverso la storica Cresta dell’Innominata. I miei compagni di viaggio, le due guide Edoardo Saccaro e Pietro Picco, mi hanno “tirato il collo” ma è stata una bella emozione ritrovarsi lassù.

Cos’ha scoperto di questo Paese che lei stessa ha ammesso di conosce poco?

Il Sud, la sua cultura e le sue tradizioni, la sua grande ospitalità. Per non parlare del buonissimo cibo. In Italia abbiamo tutto, montagne, anche alte, da scalare, un mare incredibile. Non c’è bisogno di andare lontano per fare le vacanze, i Caraibi ce li abbiamo a casa nostra.

 

Fra i luoghi che ha visitato ci sono anche i paesi devastati dal terremoto del 2016.

E mi restano nel cuore. Non credevo fosse ancora così precaria la situazione nelle frazioni di Amatrice. Hanno messo di guardia dei militari in alcune zone per evitare ruberie nelle case disabitate, ferite. Uno scenario che fa davvero molto effetto. A Capricchia, dove sono passata per raggiungere il Monte Gorzano, la vetta più alta del Lazio, sono rimaste in piedi solo due case. Lì, un pomeriggio, ho fatto quattro chiacchiere con tre signori ultraottantenni seduti su una panchina. Mi hanno raccontato di come scorre la vita in quel luogo e della loro gioventù. Prima di andarmene ho dato loro appuntamento al giorno dopo a mezzogiorno, nello stesso posto, per brindare alla “mia” cima. E così dopo la scalata sono scesa con il parapendio e sono tornata dai miei nuovi amici con una bottiglia di prosecco per festeggiare, e poi mi hanno invitata a mangiare un’amatriciana. Mi sono sentita “accettata”, per così dire. Mi porto dietro una bellissima fotografia di questa Italia.

E per il prossimo futuro che programmi ha? Tornerà alle spedizioni invernali?

Non ho ancora le idee chiare, in verità. Con la minaccia presente del Covid non è il caso ora di fare grandi progetti e se c’è una cosa che ho imparato in questi mesi è che non bisogna forzare le cose. Vedremo quello che sarà.

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Georg Markart Lun, 10/05/2020 - 13:15

Schon eine Bemerkungswerte Frau diese Tamara Lunger die ich persönlich nicht kenne, habe aber immer gerne ihre Alpinistischen Leistungen und Abenteuer verfolgt. Für mich jedenfalls eine tolle Frau mit einer Unmenge von Power und ich wünsche ihr weiterhin viel Erfolg für ihre nächsten Abenteuer.

Lun, 10/05/2020 - 13:15 Collegamento permanente