Società | L'intervista

“E c’è chi nega il Covid”

Nicola Bettera, medico del pronto soccorso di Bolzano, sulla seconda ondata e la pressione sui ricoveri, i 4 mesi nell’inferno di Bergamo, e la rimozione collettiva.
Nicola Bettera
Foto: Nicola Bettera

La marea sta montando, meno lentamente di quanto pensassimo”. Nicola Bettera, dottore al pronto soccorso di Bolzano, si trova nelle trincee dell’epidemia di Covid-19 da quando quest’ospite indesiderato e sconosciuto sta scompaginando le nostre vite. Da marzo a giugno, nel pieno dell’emergenza sanitaria, il medico 38enne, originario di Bergamo, è tornato nella sua città natale per dare man forte ai colleghi (“non dimenticherò mai ciò che ho visto e spero di non doverlo rivivere più”); e ora, rientrato in servizio all’ospedale di Bolzano, è alle prese con la fase di recrudescenza pandemica, combattendo il virus ma anche il filone dei “minimizzatori”.

 

salto.bz: dott. Bettera, in Alto Adige i numeri dei contagi salgono e in fretta, com’è la situazione al pronto soccorso di Bolzano?

Nicola Bettera: Ogni giorno sempre più persone si presentano con i sintomi generici del virus, e arriva anche qualche caso più serio. Il problema è che la maggior parte della gente, con dei sintomi banali, viene in ospedale anche se non dovrebbe, perché glielo ha detto il medico di base, o perché magari ha paura, o perché c’è una diseducazione sanitaria di fondo. E in un momento come questo ciò pesa sul sistema sanitario. In ospedale facciamo tamponi rapidi a tappeto; quelli molecolari (che hanno un’attendibilità superiore) a tutti i sospetti, a coloro che devono essere ricoverati, e anche ad alcuni soggetti che per esempio vivono in comunità, o in famiglie allargate, e che sono quindi ad alto rischio di contagio.

Siamo tornati a uno scenario simile a quello del pre-lockdown?

Sì, come a inizio marzo, con alcuni pazienti da ventilare, pochi da intubare, con pochi casi gravissimi per fortuna, ma qualche brutta polmonite l’abbiamo vista. Nel mese di ottobre è aumentato gradualmente il tasso di gravità dei casi che arrivano in ospedale: polmoniti franche, anche gravi, sono tornati i ricoveri in rianimazione, e qualcuno non ce l’ha fatta.
I numeri sono ancora bassi, ma è il preambolo di una situazione che potrebbe degenerare, com’è successo 6 mesi fa.

I sintomi dei pazienti di oggi sono gli stessi di allora?

Sostanzialmente sì, la classica febbre, la difficoltà a respirare, com’era stato a marzo, ma adesso è diverso perché a fine febbraio ancora non si facevano i tamponi e i casi venivano classificati come polmoniti anche se poteva restare il sospetto che si trattasse del nuovo coronavirus. Oggi siamo più preparati.

I numeri sono ancora bassi, ma è il preambolo di una situazione che potrebbe degenerare, com’è successo 6 mesi fa

Anche a livello di organizzazione sanitaria? I posti letto scarseggiano, in rianimazione sono esauriti.

L’ospedale sta facendo quello che può ma già prima del virus c’era un problema di risorse, a marzo è arrivata la “botta”, figuriamoci adesso. Cerchiamo di cavare sangue da una rapa ma i posti letto mancano, sì. Lavoro al pronto soccorso di Bolzano da due anni e prima che arrivasse l’era Covid-19, quindi fino all’inizio di quest’anno, ho assistito alla riduzione di circa 130 posti letto in ospedale, tutti dovuti alla mancanza di personale, soprattutto medico-infermieristico. Con il suo arrivo poi il nuovo virus ha preteso che più del 90% delle risorse sanitarie della provincia venisse dirottato alla gestione dei pazienti Covid.
L’ospedale ci chiede sacrifici. Adesso, del resto, si va in sofferenza molto prima e molto peggio rispetto marzo.

L’Asl chiede aiuto nei reparti Covid, ma impegnare personale privo di specifiche competenze non è un rischio?

Lo è. Come si può mettere, per dire, un infermiere che ha lavorato 10-20 anni in psichiatria, a trattare i casi Covid in pronto soccorso? Le faccio un esempio: durante la prima ondata del virus, da marzo a giugno, ho chiesto e ottenuto dalla Asl altoatesina il trasferimento a Bergamo, per dare una mano al pronto soccorso dell’ospedale papa Giovanni XXIII. Un inferno, come ci ricordiamo tutti. Nella fase del lockdown i medici ortopedici non avendo più interventi programmati, e con quelli d’urgenza ridotti drasticamente, si erano offerti di aiutare nei reparti Covid. Ma per quanto bravo possa essere un ortopedico non puoi metterlo a ventilare un paziente, semplicemente perché non è il suo campo. E allora devi insegnargli rapidamente come si fa.

Stessa cosa vale qui.

Ecco. Un ematologo non può curare una polmonite interstiziale perché non è il suo mestiere, un dermatologo non può curare il Covid. Ed è impossibile insegnarglielo in una settimana, mentre i contagi galoppano. E poi diciamolo: anche usando il 100% delle risorse umane, ridistribuendole in qualsiasi modo, queste restano comunque poche, lo erano prima e lo sono adesso.

Spero che si aprano presto posti letto anche negli altri nosocomi provinciali, altrimenti l'ospedale di Bolzano scoppierà

I doppi turni sono diventati la regola?

È inevitabile che vengano raddoppiati. L'Asl ha chiesto se qualche sanitario era disposto a coprire i turni di notte per aiutare altri colleghi. Fare notti in Pneumologia o in Malattie infettive, che per tre quarti è diventato reparto Covid, o in Geriatria che non esiste più perché è tutto ala Covid, corrisponde a una distribuzione di risorse utile ma limitata. Queste sono le difficoltà mostruose a cui va incontro la gestione dell’ospedale.

Si registrano anche nuove positività fra il personale sanitario?

Qualcuna c’è stata, sì, malgrado il nostro rigore. Il distanziamento è praticamente impossibile da mantenere con 250 persone al giorno che entrano in ospedale e una sala d’attesa che certo non può contenere questi numeri.
Devo dire che non sono pochi i pazienti indisciplinati, bisogna ricordare loro spesso di indossare correttamente la mascherina.

Il Covid non fa così paura?

Se il pericolo non lo vedi, non lo percepisci, fai fatica a considerarlo reale. E c’è chi nega il Covid, bisognerebbe portarli a vedere gli ospedali.

Se il pericolo non lo vedi, non lo percepisci, fai fatica a considerarlo reale. E c’è chi nega il Covid, bisognerebbe portarli a vedere gli ospedali

Qual è, oggi, l’età dei ricoverati?

La fascia d’età che necessita il ricovero è quella che va dai 50 ai 70 anni, i casi più gravi hanno dai 70 ai 90 anni.

E i giovani?

Ce ne sono molti con i sintomi. Pochi i casi, e comunque gestibili fuori dall’ospedale, di quarantenni con gravità intermedie. Pochissime infezioni fra i trentenni.
La rianimazione di tutta la provincia per i Covid è all’ospedale di Bolzano, dove si trattano quindi i pazienti più gravi e i letti sono già pieni. Il punto però è che iniziano a scarseggiare anche quelli destinati a chi ha bisogno solo del supporto dell’ossigeno e per cui comunque va impostata una terapia in ospedale. Aspettiamo che l’Azienda ci dica se e quando possiamo trasferire i pazienti negli altri ospedali della provincia, la macchina organizzativa si sta mettendo in piedi adesso.

Adesso? Ma non è un po’ tardi?

Lo chiede a uno che sta al di qua della barricata. Posso dire che il fatto che ci sarebbe stata una seconda ondata era piuttosto chiaro a noi sanitari, ma non potevamo sapere con quale intensità. A parte l’influenza spagnola di un secolo fa, le tre pandemie che ci sono state negli ultimi vent’anni, la SARS, la MERS, l’H1N1, ci hanno insegnato che quando ci sono le condizioni favorevoli per un contagio, quindi soprattutto nei mesi freddi, è ineluttabile l’ondata di ritorno. Il virus, del resto, fa il suo mestiere. Ora spero che si aprano presto posti letto anche negli altri nosocomi provinciali, altrimenti l'ospedale di Bolzano scoppierà.

Si aspettava questi numeri?

I numeri saranno molto peggiori a breve. La carica virale di fine ottobre si è creata, dal punto di vista sociale, a fine settembre-inizio ottobre. Se non si rispettano le regole, e senza restrizioni forti, a metà-fine novembre a mio avviso ci sarà un’impennata di contagi ulteriore. A marzo quando tutti ci siamo chiusi in casa abbiamo tagliato la testa al toro, abbiamo tolto cioè la possibilità di diffondere il contagio al 99% e quindi la carica virale è crollata. Ora molto probabilmente non ci sarà un nuovo lockdown totale e assisteremo, io credo, a una curva diversa, che prima o poi calerà, ma non con la stessa velocità con cui è scesa nella tarda primavera.

Non sono bastati tutti quei morti della prima ondata a farci capire l’entità del problema, nemmeno se oggi tornassimo a quei numeri forse lo capiremmo. È ancora forte in me il ricordo di Bergamo, uno scenario di guerra, non umano, difficilmente descrivibile e che spero di non dover più rivivere. Molti morivano sulle barelle, soli. È stata la fine di una generazione di una città.

Quindi secondo lei bisognava “stringere di più”?

Mi rendo conto che le risposte non sono semplici. Ci sono categorie economiche in grande sofferenza, ma bisogna guardare al male minore. Non succederà ma io sono convinto che se in questo momento facessimo un lockdown generalizzato programmato, due settimane di chiusura totale per esempio, la carica virale scenderebbe, il contagio verrebbe arginato, e potremmo riaprire con una curva più agevole, senza un danno economico esagerato. Il concetto è proprio quello di ridurre la carica virale che viene trasmessa da molta gente che trasgredisce le regole o che ha cariche virali talmente alte che se si trova vicino a un’altra persona rischia di contagiarla anche se entrambi indossano la mascherina. Ma mi lasci dire anche un’altra cosa.

Prego.

È sempre difficile far comprendere a parole la situazione a chi non lavora dentro gli ospedali, perché non la vive. Noto purtroppo parecchia disinformazione su questo virus, e in generale poco senso di responsabilità e poco senso civico nella popolazione, o comunque nei pazienti che vengono in ospedale. Molti non credono che la situazione sia così grave. Non sono bastati tutti quei morti della prima ondata a farci capire l’entità del problema, nemmeno se oggi tornassimo a quei numeri forse lo capiremmo. È ancora forte in me il ricordo di Bergamo, uno scenario di guerra, non umano, difficilmente descrivibile e che spero di non dover più rivivere. Molti morivano sulle barelle, soli. È stata la fine di una generazione di una città.
Auspico una presa di coscienza rapida, perché a pagare il conto non sono solo quelli che si ammalano e muoiono di questo virus, ma tutti gli altri che si spengono senza le cure che gli sarebbero dovute ma che non possono ricevere, perché non ci sono abbastanza risorse umane.

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Massimo Mollica Ven, 10/30/2020 - 08:22

Che vi sia una carenza di letti e di operatori a Bolzano Bozen lo trovo inconcepibile. Però sottolineo una frase del dottore:
"Noto purtroppo parecchia disinformazione su questo virus, e in generale poco senso di responsabilità e poco senso civico nella popolazione, o comunque nei pazienti che vengono in ospedale". e questo è il punto e il motivo del perché assistiamo a una seconda ondata.

Ven, 10/30/2020 - 08:22 Collegamento permanente
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Martin Aufderklamm Ven, 10/30/2020 - 10:35

"L’ospedale sta facendo quello che può ma già prima del virus c’era un problema di risorse....."

Alla prossima privatizzazione o PPP o altre fattispecie simili che cercano di esautorare e sminuire il servzio pubblico, ricordiamocelo!

Ven, 10/30/2020 - 10:35 Collegamento permanente
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Elisabeth Garber Sab, 10/31/2020 - 09:27

Kernsatz des Interviews:
"Noto purtroppo parecchia disinformazione su questo virus, e in generale poco senso di responsabilità e poco senso civico nella popolazione, o comunque nei pazienti che vengono in ospedale. Molti non credono che la situazione sia così grave."

Sab, 10/31/2020 - 09:27 Collegamento permanente