Cultura | Design e arte

“L'arte non è una torre d'avorio”

Cosa caratterizza il curriculum "arte" del corso di laurea in Design e Arte dell'unibz? Lo spiegano il prof. Roberto Gigliotti e la prof.ssa Eva Leitolf.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
MURMÚRIO DE PENUMBRAS
Foto: Soraia Oliveira / unibz

Roberto Gigliotti (Bolzano, 1970) è professore di Interior and Exhibit Design ed Eva Leitolf (Würzburg, 1966) è docente di Fine Arts e dirige lo Studio Image, entrambi presso la Facoltà di Design e Arti dell'unibz.

unibzone: Professor Gigliotti, come presenterebbe il curriculum arte a chi non lo conosce?

Roberto Gigliotti: All’unibz abbiamo un corso di laurea, design e arti, diviso su due indirizzi: uno si concentra maggiormente sulle questioni legate al mondo del design, e l’altro più su quelle legate al mondo dell’arte. Questi due mondi sono in continua e reciproca relazione, perciò lavoriamo su due indirizzi che hanno la loro specificità. L’indirizzo “arte”, trattandosi di un corso triennale, si pone come obiettivo di dare un’introduzione al mondo dell’arte – e in particolare alle pratiche artistiche, con delle specificità che contraddistinguono quest’indirizzo nel panorama italiano.

Quali?

Gigliotti: Generalmente studiare arte in Italia significa studiare la storia e la critica dell’arte nei corsi di lettere – o come è avvenuto in passato, al Dams a Bologna – lavorando in ambito universitario sulla critica dell’arte, sul discorso intorno all’arte. Oppure, chi ha intenzione di studiare arte in termini di artistic practices, sceglie le accademie d’arte; corsi che hanno sì un riconoscimento universitario, ma non sono in tutto e per tutto corsi universitari. Con l’indirizzo d’arte della facoltà di design e arti dell’unibz c’è la possibilità di avere quest’introduzione alle pratiche artistiche da un punto di vista accademico.

Com’è strutturato il corso?

Gigliotti: Il corso triennale è strutturato intorno a 4 colonne portanti – image, interact, space ed exhibit – che studentesse e studenti frequentano entrando in relazione con degli artisti e artiste, practitioner-artists, in un dialogo che mescola teoria, critica e discorso intorno all’arte. Ci sono una serie di ulteriori discipline insegnate, quali antropologia, media studies, sociologia, che contribuiscono a definire le figure che noi formiamo, in grado di interrogarsi su quello che potrebbe essere potenzialmente il loro ruolo futuro. Noi diamo un’introduzione: attraverso un incontro con le pratiche dell’arte, ma anche con il pensiero intorno all’arte, i nostri laureati e le nostre laureate potranno avere forse un’idea più chiara su cosa significa essere degli artisti e su quante altre professioni e possibilità esistono intorno all’arte: pratiche curatoriali, assistenza di produzione e così via.

Uno degli obiettivi del corso è anche quello di decostruire una serie di miti e di mitologie per cui arte significa “essere un artista”. Il mondo dell’arte esiste anche grazie a tutta un’altra serie di figure professionali importanti che poi contribuiscono alla definizione di questo mondo. – Roberto Gigliotti

Professoressa Leitolf, cosa significa secondo lei essere artisti e artiste oggi?

Eva Leitolf: Abbiamo fatto riferimento abbastanza a lungo all'immagine dell'artista come di un creatore brillante e solitario che crea tutto, per così dire, e arricchisce il mondo col suo genio personale. Questo dibattito è in atto almeno dagli anni 60/70. Penso però che l’unibz, con la sua facoltà, sia un ottimo esempio di come si concretizzi il ruolo degli artisti e delle artiste contemporanee, che – come ha ricordato il mio collega – sono consapevoli di quanto sia indispensabile un amplissimo spettro di collaboratori e collaborazioni per realizzare il proprio lavoro. Questo si rispecchia molto bene nella struttura dei singoli corsi di studio, con l’apporto di teoria e pratica, e l’obiettivo di creare una consapevolezza attorno alla necessità del coinvolgimento, della partecipazione ai processi politici e sociali. Si tratta di un dialogo attorno a temi controversi, che emerge anche dalle collaborazioni tra le studentesse e gli studenti. L’esatto opposto dell’immagine dell’artista-genio nella torre d’avorio.

Un altro aspetto importante per lo studente e la studentessa è quello di lavorare in autonomia, di trovare un filo rosso per la propria produzione artistica. Solo così può esplorare e scoprire – sempre in dialogo con i professori e con gli altri studenti – cosa lo spinge personalmente, quali sono i temi che lo interessano, e come li può mettere in relazione con talune pratiche che impara durante gli studi. L’ideale, per me, è arrivare alla fine del corso a dire non tanto “ho fatto questo o quell’altro progetto”, quanto “mi sono posto una domanda nel primo progetto e poi l’ho ripresa e approfondita negli studi successivi”, collegando i vari ambiti.

Qual è il rapporto con il territorio altoatesino? È diffuso il pregiudizio secondo il quale una facoltà di arte e design, al di fuori di grandi realtà metropolitane, non offra poi molti sbocchi lavorativi.

Gigliotti: In primo luogo, è compito di ogni facoltà che attiva un corso di studio avere ben chiaro quale sia la relazione con il territorio. Sarebbe però troppo limitante che un corso di studi possa dare risposta solo alla più banale delle domande, ovvero di quanti artisti ha bisogno il nostro territorio. Se noi vediamo il nostro corso di studi in termini così funzionali, allora uccidiamo l’università, perché diventa semplicemente un’istituzione che presta un servizio e fornisce al territorio quello che il territorio stesso gli richiede, ma questo non comporta alcuna trasformazione. Per fortuna “università” è un concetto universale, che quindi è transnazionale e va oltre i confini, e si parla anche di condivisione di un sapere. Il valore aggiunto che l’università porta a un territorio in termini di internazionalità, avendo studentesse e studenti che vengono da molto lontano, fa capire quanto l’università sia una risorsa in termini di posti di lavoro. Questo in primo luogo.

E parlando di Bolzano?

Gigliotti: Non vorrei sembrare troppo idealista, c’è comunque una relazione molto stretta tra domanda e offerta. Sicuramente Bolzano ha dimostrato di essere, per le dimensioni che ha, una città di provincia estremamente attiva nel campo della produzione culturale. Non dobbiamo dimenticare che nel 2008 è stata sede di una biennale internazionale dell’importanza di Manifesta, e sempre nel 2008 è stato inaugurato il nuovo Museion, una delle istituzioni più significative non solo sul territorio nazionale, ma anche internazionale. Per la natura stessa della “cosa pubblica” in Alto Adige, che sostiene molto l’associativismo, ci sono associazioni ed entità culturali molto attive, dal Künstlerbund, ad ar/ge-Kunst, B A U, Lungomare o kunst-Merano-arte, solo per citarne alcune. Esse definiscono un territorio estremamente fertile, e rappresentano una risposta a un indirizzo di arte in una facoltà di design molto più di quanto non accadrebbe in una cittadina analoga delle stesse dimensioni nel resto d’Italia o Austria e Germania – per fare riferimento agli stakeholder più vicini territorialmente.

Leitolf: Io vengo “da fuori”, e trovo abbastanza stupefacente quanto sia ricca la scena culturale di Bolzano. E per questa ragione vedo, come mio compito di docente, quello di collaborare a strutture che mettano attivamente in relazione la scena locale, nazionale e internazionale. Abbiamo molte diverse iniziative in tal senso, una di queste è il GOG che ha una funzione molto locale, durante il quale riceviamo ottimi feedback da persone di Bolzano e del Sudtirolo. Ma invitiamo anche critici guests provenienti da diversi ambiti: uno dei questi, ad esempio, è il Prof. Bernhart Schwenk della Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera, un curatore che osserva sul posto i lavori delle studentesse e degli studenti e dà loro feedback critici. Abbiamo lavorato anche con Letizia Ragaglia, o Marco Giacomelli di Artribune.

La prof.ssa Leitolf ha accennato al GOG, di cosa si tratta?

Gigliotti: Il GOG è la presentazione dei lavori di fine semestre: una “giornata delle porte aperte” in cui la produzione del semestre, più che esposta, viene presentata per attivare una discussione. La possiamo vedere come una mostra, ma ancor di più come un momento di dialogo e apertura durante il quale gli studenti e le studentesse dei vari corsi vedono cosa è avvenuto e c’è la possibilità di entrare in relazione con tutti gli interessati e le interessate che vengono a trovarci. Negli ultimi semestri è stata un’iniziativa che abbiamo svolto online.

Leitolf: Volevo precisare questo aspetto del “dialogo” durante il GOG. Esso non va interpretato come un best-of-show, che si “consuma” come visitatore o visitatrice, bensì come un momento nel quale le studentesse e gli studenti in maniera attiva portano avanti i dialoghi e le visite guidate. Dialoghi che avvengono anche tra gli studenti stessi: quindi il GOG è un’occasione di scambio all’interno del corso e di dialogo verso l’esterno. Lo trovo molto riuscito, come evento degli studenti e delle studentesse che permette loro di identificarsi fortemente col proprio luogo di studio.

Andando più nel dettaglio rispetto alla struttura del corso, come si sviluppano le quattro “colonne portanti” (image, interact, space ed exibit)?

Gigliotti: La caratteristica che unisce l’indirizzo design e l’indirizzo arte è quello dello studio per progetti, attraverso l’integrazione di diverse specificità, che corrispondono alla realtà, alla vita reale che avviene al di fuori delle aule. Dopo un primo semestre introduttivo, si passa ai quattro progetti semestrali già citati. Image è orientato alle questioni delle immagini, in cui la fotografia e/o il video viene discussa assieme a una docente che insegna immagine – come Eva Leitolf –, un’altra docente di comunicazione visiva e un ulteriore professore in media theory. Interact è inteso come un lavoro legato alla performatività e vede l’integrazione di discipline come performance, experience design, in cui l’interazione fisica con gli oggetti e il mondo materiale viene messa in discussione, e media culture. Space, in un linguaggio più antiquato, potrebbe essere legato all’idea di scultura – un concetto messo invece in discussione da molto tempo, quindi nel nostro caso più legato al rapporto tra le cose e ciò che produciamo all’interno dello spazio. E infine exhibit, come momento di sintesi rispetto agli altri studi, che lascia spazio a una pratica sempre più diffusa: alcuni artisti, infatti, fanno del mostrare la propria pratica artistica. Il mostrare non è solo un momento secondario dopo la produzione, durante il quale si entra in dialogo con il pubblico, ma è proprio questo dialogo con il pubblico – ovvero l’incontro tra fruizione e produzione – la pratica artistica che mette al centro il mostrare stesso.

Leitolf: Questa suddivisione degli studi la trovo incredibilmente di lusso, in confronto ad altre istituzioni formative a livello europeo. In primo luogo per la possibilità di un piccolo gruppo – talvolta solo 12-15 studenti – di lavorare insieme a tre docenti di discipline diverse. Durante l’ultimo semestre, nel nostro studio image abbiamo affrontato ad esempio il tema violent images, la violenza nelle immagini. Abbiamo riflettuto su cosa significa rappresentare la violenza e quanto le immagini possano essere a loro volta un mezzo della violenza. Nello studio si discute e si lavora al contempo, e le tre docenti danno i propri input da punti di vista differenti. Nessuna e nessun docente affronta lo stesso argomento nel semestre successivo, ma discutiamo su quale tema sociale possa essere interessante e stimolante affrontare. Nel prossimo semestre, per fare un altro esempio, affronteremo il tema democracy in distress?, sulla propaganda e le nuove forme della propaganda, e all’interno di questa grande cornice gli studenti realizzeranno il proprio lavoro individuale. Ribadisco, l’arricchimento dato dallo scambio tra pratica e teoria è un unicum sia per gli studenti e le studentesse che per noi docenti dell’indirizzo di arte all’unibz.

In copertina: una delle immagini del progetto MURMÚRIO DE PENUMBRAS della studentessa Soraia Oliveira.

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Karl Trojer Ven, 02/26/2021 - 10:28

Es wäre sicher nützlich , klarer und an praktischen Beispielen aufzuzeigen, welche beruflichen Chancen jemand nach dem Studium an der Fakultät design-art der Freien Universität Bozen im Land Südtirol bzw. außerhalb hat.

Ven, 02/26/2021 - 10:28 Collegamento permanente