Cultura | Salto Afternoon

Bolzano (online) Film Festival Bozen 

Tra lungometraggi di finzione e documentari, e altro: i temi girano molto attorno a relazioni interpersonali tra gay e lesbiche, donne alla ricerca di sé e migrazione
Wanda
Foto: BFFB

Ha preso il via con il film svizzero Wanda, mein Wunder di Bettina Oberli (già vincitore del Schweizer Kulturpreis come miglior film 2021) la XXXIV edizione del Bolzano Film Festival Bozen che si svolge completamente online. Diversamente da altre manifestazioni simili - che ciononostante offrono un programma giornaliero come filo rosso per il pubblico da casa (con tanto di incontri dal vivo in precise fasce orarie) - il BFFB ha deciso di offrire l’intero programma in blocco per tutti i giorni della durata del festival (fino al 18 aprile), dal quale lo spettatore e la spettatrice possono scegliere il film da vedere (rimane disponibile per 24 ore a partire dall’immissione del codice, acquistato direttamente sul sito, o singoli o per abbonamento). Parallelamente si svolgono incontri video preregistrati e quelli dal vivo intitolati “Nouvelle Waag Talks” (gioco di parole con la vecchia destinazione d’uso dell’edificio ristrutturato in cui hanno trovato sede gli uffici del festival assieme ad altre organizzazioni culturali e il termine “nouvelle vague”, le nuove onde nate nel cinema europeo - e non solo - negli anni sessanta con nuovi temi e nuovi stili), tutti visibili sui canali social del BFFB. OnlyAtHome, è il motto e l’unica forma possibile per riuscire a svolgerlo quest’anno, il festival, già annullato un anno fa. Certo, i film ne soffrono, visti sugli schermi ridotti di computer e tablet, ma ancor più ne soffriamo noi, costretti a sedere sul divano, soli, a fruire di immagini e storie che spesso necessitano di scambi di idee o semplicemente di piacevoli chiacchiere davanti a un bicchiere di vino o una birra, in compagnia di altre persone. Non tutto si può sostituire con una piattaforma digitale che - nel vero senso della parola – “appiattisce” sempre maggiormente il tutto a un regime di innumerevoli pixel. Immagini di film, immagini di registi che ne parlano, immagini di persone con cui connettersi, immagini dal mondo intero – tutto racchiuso in una scatola.


Il film di apertura è basato su una sceneggiatura forte con dialoghi molto affilati a firma della stessa regista assieme all’autrice e produttrice Cookie Ziesche, tedesca della ex Germania dell’est, dove aveva studiato presso la scuola di cinema di Potsdam. Già co-autrice di due film del regista tedesco Andreas Dresen, entrambi presentati a Cannes, tra cui ricordiamo Wolke 9 passato nel concorso ufficiale nel 2008, avendo tematizzato in maniera originale e con grande sensibilità un argomento insolito quale sesso e amore nella cosiddetta terza età. Accenniamo questo particolare, in quanto in Wanda… per certi versi c’è un richiamo a esso, sebbene poi il film vada in tutt’altra direzione. Il titolo si riferisce alla protagonista femminile Wanda (interpretata dall’attrice polacca Agnieska Grochow), una badante che giunge dalla Polonia per prestare servizio presso una benestante famiglia in Svizzera. Deve seguire Josef, colto da un ictus alla soglia dei suoi 70 anni, per cui parzialmente paralizzato, ex imprenditore e padre di due figli. La moglie Elsa, tuttora una bella ed elegante signora con le sembianze fisiche della nota attrice svizzera Marthe Keller, tira al ribasso la già misera paga, ma Wanda accetta il dover essere presente giorno e notte per Josef ai fini di mantenere la propria famiglia a Varsavia, due figli piccoli e i suoi genitori, la cui vita segue a distanza sul suo smartphone. Il film inizia in modo quasi documentaristico con una particolare attenzione verso i gesti di cura, mentre Josef benedice estaticamente il ritorno di Wanda (presumibilmente dopo una breve pausa passata in Polonia), benedizione che si comprende meglio nelle inquadrature successive, dove si assiste a un servizio notturno che Wanda assolve con la solita (apparente) dedizione: far giungere all’orgasmo il vecchio signore sdraiato, mentre lo cavalca sul letto. 

Quelle: ZFF Zurich Film Festival


Fin qui tutto è nella routine, pare, compreso l’invaghimento per lei da parte di Gregor, il figlio minore dell’ormai anziana (ex) coppia, un po’ timido, destinato alla futura gestione dell’impresa paterna, ma di fatto amante di uccelli che accumula imbalsamati nella sua stanza. “Belli, ma morti”, gli dirà Wanda in modo secco. Una battuta preludio della vita emotiva di questa famiglia, cui si aggiunge Sophie (impersonata in modo potente dalla pluripremiata attrice tedesca Birgit Minichmayr), donna frustrata in carriera con un marito assai sterile più interessato ai clienti che a lei. Un primo nodo esplode quando Sophie sorprende Wanda nel contare dei soldi che crede rubati alla famiglia. Questa si era riunita nella stupenda tenuta sul lago per festeggiare il compleanno di Josef… Viene da pensare ai drammi familiari portati sullo schermo dal danese Vinterberg, data l’intensità di narrazione e l’aderenza a una critica interna del modello borghese, ma ciò che scopriamo essere un primo capitolo del film finisce con una scena romantica tra Gregor e Wanda sulla barca Joselsa, simbolo dell’unione dei due coniugi. La struttura narrativa continua per capitoli, sono tre con un epilogo, dove ognuno ha un cappello introduttivo simile: l’arrivo di Wanda in bus dalla Polonia, dove la persona che l’attende è ogni volta diversa e il racconto che segue è declinato secondo quel punto di vista. 

Qui però sta il punto in cui l’intera struttura del film vacilla per assumere un coté di sapore cattolico e assai moralista: l’essere donna inteso completo se coronato dalla maternità…

Per non togliere tensione e curiosità a chi guarderà il film, non sveliamo troppo della storia di per sè, piuttosto accenniamo i grandi temi affrontati: le contraddizioni tra le donne (e gli uomini) delle due società, capitaliste borghesi occidentali da un lato e real-socialiste degli ex stati dell’est facenti parte dell’Unione sovietica dall’altro, (dove in una inquadratura sembra scorgersi persino un riferimento alla morte di Stalin e di tutto ciò che lui aveva rappresentato). Se quindi da una parte si insiste (anche) su tanti luoghi comuni, rappresentati non privi di humour nero, da un’altra si punta sulla critica feroce di numerosi aspetti nella nostra società, oggi, come l’accantonare di anziani e malati, figli maschi costretti a intraprendere carriere non volute, figlie femmine che per rivalsa si orientano a modi di fare maschili, lasciando a secco la loro femminilità. Dove femminilità vuol dire un agire con gradi di responsabilità a tutto tondo. Qui però sta il punto in cui l’intera struttura del film vacilla per assumere un coté di sapore cattolico e assai moralista: l’essere donna inteso completo se coronato dalla maternità…

Peccato. I numerosi input presentati con tempi a volte superveloci, quasi da mozzafiato paragonabili alla suspence di un action movie, conducono verso un unico centro: l’amore filiale come denominatore per l’Amore contro un mondo privo di sentimenti. Se non fosse per l’attimo di luce che irrora il cuore di Elsa nel finale che apre uno spiraglio. Forse l’unico personaggio maturato verso un mondo migliore…? 

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Emil George Ciuffo Sab, 04/17/2021 - 14:06

A me invece il film è piaciuto molto anche senza finale femminista.
Lo protagonista ha finalmente deciso di vivere per se stesso e non più per gli altri. Non basta questo messaggio per un mondo migliore delle donne?

Sab, 04/17/2021 - 14:06 Collegamento permanente
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Emil George Ciuffo Sab, 04/17/2021 - 21:47

A me, invece, il film è piaciuto molto anche senza finale femminista.
La protagonista ha finalmente deciso di vivere per se stessa e non più per gli altri. Non basta questo messaggio per un mondo migliore delle donne? O deve seguire per forza la via femminista per essere donna vera?

Sab, 04/17/2021 - 21:47 Collegamento permanente