Società | salute

“Basta lamentarti, è solo mal di pancia”

Migliaia di persone soffrono di malattie croniche e invalidanti che non vengono riconosciute. Perché la medicina ufficiale banalizza e normalizza il dolore delle donne?
invisibile
Foto: Unsplash

Vulvodinia, neuropatia del pudendo, fibromialgia. Malattie invisibili ma non per questo meno invalidanti. Invisibili perché il dolore non si palesa con sintomi percepibili dall’occhio umano, invisibili perché nonostante colpiscano in Italia ogni anno migliaia di donne e soggettività AFAB (assegnate femmina alla nascita) non vengono diagnosticate né tantomeno riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale. Un problema medico, sociale e politico basato sulla minimizzazione e normalizzazione del dolore femminile, assieme al controllo e il disciplinamento del corpo delle donne e delle persone AFAB. Oggi il dolore diventa visibile grazie alla mobilitazione nazionale che porta il nome di “Presidio sensibile-invisibile”, una questione che da intima, privata e fonte di vergogna diventa pubblica, come pubblica deve essere la soluzione e la presa di consapevolezza che si fa collettiva. Tra le animatrici dell’iniziativa che si svolgerà oggi in diverse città italiane (per questione logistiche, la regione del Trentino Alto Adige è stato anticipato a Trento la settimana scorsa) troviamo anche Rosanna Piancone, infermiera professionale di Bolzano e fondatrice del sito web diventata poi associazione cistite.info, uno dei maggiori punti di riferimento sul web per l'approfondimento delle diverse patologie pelviche e le possibili cure.

 


salto.bz: Piancone, come è nata l’idea di questa piattaforma e come è stata portata avanti nel corso del tempo?

Rosanna Piancone: Tutto nasce da una grande sofferenza personale. Dal 2002 ho cominciato a soffrire di cistiti ricorrenti tali da aver cominciato a sviluppare una serie di altre patologie che i medici non conoscevano e che pertanto hanno continuato a diagnosticare come cistiti. Per quattro anni la mia vita è stata scandita dagli antibiotici, facevo cicli da venti giorni perché sette non bastavano. In un periodo sono stata costretta ad assumerli per sei mesi senza interruzioni. Questo ovviamente ha provocato tutta una serie di effetti collaterali che ho dovuto compensare con altri medicinali. Inoltre sono infermiera, allora praticavo in sala operatoria, cosa non compatibile con la frequenza urinaria e ho dovuto pertanto abbandonare il lavoro.
Per quattro anni sono stata imbottita di farmaci e nonostante gli esami delle urine continuavano a negare che si trattasse di cistite sono stata “curata” comunque così. Ho cominciato dunque a cercare sul web, confrontandomi con altre donne nelle mie stesse condizioni, a consultare testi scientifici in altre lingue. Ho capito che non ero affetta dunque dalla patologia che mi hanno diagnosticato in questi anni, ma che il suo carattere cronico l’ha fatta evolvere in una vulvodinia con un ipertono del pavimento pelvico. Ho cominciato pertanto a indirizzare le mie cure in questo senso e ne sono uscita completamente dal 2006 non ho avuto praticamente più nessun problema.

E poi cosa è successo?

Una volta guarita mi sono resa conto di aver accumulato tantissime informazioni in merito a questa patologia, le quali mi hanno permesso di curarmi adeguatamente e stare di nuovo bene. Ho voluto pertanto metterle a disposizione di chi ne avesse avuto bisogno. Le ho raccolte nel 2008 all’interno di un sito, cistite.info, in è stato inserito anche un forum di discussione, il primo incentrato esclusivamente alle problematiche pelviche. L’affluenza è stata sin da subito notevole. Solo il forum ha raggiunto diecimila iscrizioni, così come il gruppo Facebook. Dodicimila le persone iscritte al nostro canale Instagram. La newsletter settimanale viene recapitata a ventottomila indirizzi e la pagina web riceve ogni mese 170 mila visite. Questi numeri fanno capire l’enorme portata di un problema che ancora oggi viene negato o minimizzato e ci hanno spinto a costituirci in associazione. Attualmente abbiamo quattromila soci e socie in tutta Italia. Al momento stiamo cercando di tradurre il sito in tedesco così da raggiungere anche le popolazioni tedescofone, passando poi per altre lingue.

Non esiste formazione ufficiale a riguardo e finché lo Stato non riconoscerà queste patologie non ce ne sarà mai alcuna: se per il Sistema Sanitario Nazionale vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia non esistono allora nemmeno per il medico esisteranno

Un elemento che colpisce è che nonostante la sua formazione in ambito medico-sanitario sia stata costretta ad affidarsi al web e all’autoformazione per conoscere la patologia da cui era afflitta e le modalità con le quali era possibile curarsi.

Non esiste formazione ufficiale a riguardo e finché lo Stato non riconoscerà queste patologie non ce ne sarà mai alcuna: se per il Sistema Sanitario Nazionale vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia non esistono allora nemmeno per il medico esisteranno. Nelle mie difficoltà sono stata comunque più avvantaggiata, far parte del mondo medico mi ha permesso di circoscrivere e indirizzare in maniera efficace le mie ricerche. Ho girato comunque quattro anni, un’eternità prima di riuscire a trovare una soluzione. Ho conosciuto persone che di anni ne hanno impiegati venti per dare anche solo un nome alla propria malattia. 

Se non c’è preparazione in ambito medico come è possibile trovare personale sanitario in grado di curare queste patologie?

Quando ne soffrivo io c’erano solo due medici in Italia. Attualmente ce ne sono un paio per ogni regione. Questo incremento è frutto di una spinta proveniente dal basso: gli specialisti in questione erano oberati di richieste, potevi impiegare più di un anno per farti visitare. Loro stessi hanno cominciato a formare i loro colleghi affinché potessero cominciare a ad accogliere le pazienti in attesa. Rimane il problema che tutte le prestazioni restano private. Se il Sistema Sanitario non riconosce la malattia non si assume nemmeno i costi della cura e le spese sono altissime. Con la nostra associazione cerchiamo di supportare economicamente le pazienti nella prima fascia ISEE affinché riescano ad accedere alle cure ma non è sufficiente. Il Ministero deve riconoscere vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia come malattie croniche ed invalidanti. Servono diritti, tutele, sostegno economico, cure adeguate e convenzionate.

 Le donne si sentono continuamente dire che il loro è un problema psicosomatico, che è ansia, isteria, che se fanno un figlio poi passa, oppure si sentono suggerire di cambiare partner e bere un bicchiere di vino prima dei rapporti sessuali, così da sentire meno il dolore.

Tra le premesse della mobilitazione nazionale del presidio sensibile-invisibile vi è anche la volontà di denunciare e superare il sistema che ruota attorno a quella che viene definita medicina patriarcale, che invisibilizza le patologie femminili alimentandosi degli stessi pregiudizi che normalizzano il dolore delle donne. Quanto è importante invece trasferire questo problema dal piano intimo e privato al piano pubblico, collettivo e quindi visibile?

Essendo patologie che ufficialmente non esistono, le donne si sentono continuamente dire che il loro è un problema psicosomatico, che è ansia, isteria, che se fanno un figlio poi passa, oppure si sentono suggerire di cambiare partner e bere un bicchiere di vino prima dei rapporti sessuali, così da sentire meno il dolore. Con la mobilitazione nazionale si urla al contempo la nostra ribellione e la nostra rabbia nei confronti di questa clausura che ci è stata imposta, dandoci la possibilità di chiedere aiuto. Molte donne non parlano, rimangono chiuse nel proprio dolore pensando che sia normale soffrire anche durante i rapporti a tal punto di non dire nulla al partner, convinte di essere loro sbagliate. La medicina patriarcale ha normalizzato lo stesso dolore mestruale e quello del parto, perché è considerato appunto normale che una donna debba soffrire per tutto quello che riguarda la dimensione pelvica e sessuale. Tra le conseguenze di questi retaggi c’è anche che le donne non si conoscono e di conseguenza perdono il controllo del proprio corpo, costrette a delegare la propria salute alla medicina ufficiale che però si concentra solo sul loro aspetto riproduttivo. Se una donna è in menopausa e ha dei fibromi, la tendenza è quella di asportare l’utero perché non serve più a procreare, nonostante continui a secernere ormoni di cui la donna ha ancora bisogno fino alla morte. In questo modo si priva la donna di un organo fondamentale, nonostante esistano pratiche come l’embolizzazione meno invasive che permettono di ridurre i fibromi. Ma tale pratica, che è addirittura convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale non viene fatta nemmeno conoscere, non si implementa e quindi si finisce con l’asportarti l’utero perché tanto alla società, in un’ottica patriarcale, non serve più. E questo è solo uno dei tanti esempi. 

L’iniziativa di oggi fa parte del percorso che ha portato diverse realtà a presentare una proposta di legge in parlamento per il riconoscimento e la tutela di queste patologie. Ce ne puoi parlare?

Vista l’urgenza di questo riconoscimento si è deciso assieme ad altre associazioni di presentare una proposta di legge che possa andare in questo senso. Una era già stata depositata dall’onorevole Scanu. Il 12 novembre si presenterà una seconda proposta di legge più elaborata da un comitato scientifico composto da tutte le diverse associazioni che si occupano di neuropatia e vulvodinia, assieme ai medici che si occupano di curarla.
Oltre al riconoscimento patologie chiediamo la presa in carico delle cure da parte del Sistema Sanitario. La mattina del 12 novembre i medici illustreranno al Parlamento gli aspetti scientifici delle patologie, nel pomeriggio verranno presentate le complesse problematiche che le donne devono affrontare a causa del ritardo diagnostico, comprese le spese altissime e le migliaia di chilometri che sono costrette a fare per raggiungere un professionista. Basti pensare che in tutto il Trentino Alto Adige c’è solo una fisioterapista che riesce a fornire un trattamento di cura basato sulla manipolazione muscolare. In questa proposta di legge si chiederà inoltre che vi sia una formazione universitaria, almeno in ambito specialistico: le scuole di ginecologia devono essere in grado di preparare medici in grado di curare queste malattie e che la ricerca, totalmente assente a livello istituzionale, sia indirizzata in questo senso. Sarà un iter molto difficile e non è detto che riesca andare a buon fine. Resta importante continuare a parlarne e sensibilizzare a riguardo. È importante che le donne imparino a conoscere il proprio corpo. Senza consapevolezza non potrà esserci alcuna guarigione.

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Non Una di Men… Dom, 10/24/2021 - 18:54

Qualcuno ci ha detto "partorirai con dolore" e da quel momento il dolore del corpo delle donne è stato dato per scontato, connaturato alla nostra "essenziale" funzione riproduttiva.
Vulvodinia, endometriosi, cistite cronica, ovaio policistico e altre malattie femminili sono spesso invisibilizzate, sminiute e soprattutto non riconosciute dall’impianto patriarcale della medicina, ancora troppo a misura e al servizio degli uomini.
C’è invece urgente bisogno di una medicina di genere-specifica perché, come dice Mariapaola Salmi (che dirige l'Italian Journal of Gender Medicine), “la medicina negli ultimi 50 anni ha considerato e studiato i pazienti indipendentemente dal genere e dalle caratteristiche socio-culturali e ambientali. Un esempio sono i trial, ovvero gli studi clinici sperimentali composti principalmente da campioni di popolazione maschile. La conseguenza è una ridotta personalizzazione delle cure e una loro standardizzazione misurata sul soggetto maschile e senza tener conto di variabili come il genere, lo status sociale, l’istruzione, la cultura, l’educazione, ecc. Lo stesso approccio al sistema sanitario è per così dire “neutrale” rispetto al genere. È tuttavia risaputo che le diseguaglianze nella salute sono strettamente correlate ad altre diseguaglianze ed è quindi fondamentale studiarle per capire come esse influenzano le condizioni di salute di uomini e donne. Dunque, riconoscere le differenze di genere diventa essenziale per delineare programmi, per organizzare l’offerta dei servizi, per indirizzare la ricerca, per raccogliere e analizzare dati statistici, per promuovere la salute, per informare e comunicare in modo corretto, per garantire appropriatezza, nell’accezione più allargata del termine, e personalizzazione delle cure”.
https://www.ingenere.it/articoli/perche-abbiamo-bisogno-medicina-di-gen…

Dom, 10/24/2021 - 18:54 Collegamento permanente
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Karl Trojer Mer, 10/27/2021 - 10:53

Wenn man heute noch gewisse Medikamente gleichermassen an Männer und Frauen vergibt, obschon sie für Frauen nicht geeignet sind, dann zeigt dies, wie mangelhaft unsere Gesellschaft immer noch mit Frauenrechten und mit der Gleichstellung der Geschlechter umgeht.

Mer, 10/27/2021 - 10:53 Collegamento permanente