Politica | Gastbeitrag

Un equilibrio ragionevole

Le ragioni del SÌ spiegate da un professore di Diritto elettorale dell'Università di Firenze. Una specialità (più) saldamente tutelata dalla riforma Renzi-Boschi.
42747-thumb.jpg
Foto: Salto.bz
Sul tema “riforma costituzionale e regioni a statuto speciale”, in questa campagna per il sì o per il no (chi scrive è un convinto fautore della riforma e lo dichiara lealmente) se ne sentono di tutti i colori: e con fortissime differenziazioni di giudizio da parte dell’opinione pubblica in una regione o nell’altra.
 

Cavalli di battaglia

I cittadini del Trentino e dell’Alto Adige/Südtirol devono sapere, innanzitutto, che le disposizioni riguardanti le regioni speciali contenute nella riforma sono uno dei maggiori cavalli di battaglia del campo del no nelle regioni ordinarie.

Chi scrive è giunto quasi a 100 incontri con persone di ogni genere nei più diversi contesti: dibattiti con il campo avverso, riunioni per mobilitare a favore del sì. Ebbene oserei dire che in due terzi e forse più di questi incontri la questione delle regioni speciali viene sollevata con accenti ferocemente critici.
„I cittadini del Trentino e dell’Alto Adige/Südtirol devono sapere, innanzitutto, che le disposizioni riguardanti le regioni speciali contenute nella riforma sono uno dei maggiori cavalli di battaglia del campo del no nelle regioni ordinarie.“
Aggiungo che non sono tanto regioni come la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste o il Trentino Alto Adige/Südtirol o anche il Friuli Venezia-Giulia a suscitare queste reazioni quanto altre, e segnatamente la Sicilia, soprattutto a causa della sua fama di regione amministrata particolarmente male. E poi, naturalmente, non possiamo nasconderci che un problema di risorse è pure avvertito, a torto o a ragione: infatti dove il tema della specialità assume rilevanza oserei dire parossistica (al punto che ci sono molti cittadini intenzionati a votare no solo per questa ragione) è nel vicino Veneto, regione ordinaria che confina con due regioni speciali.
 

Le regioni speciali

Non che ciò di per sé costituisca – come dire – implicita garanzia che la riforma è l’ideale per le regioni a statuto speciale: ma certamente è un elemento sintomatico, un indicatore del quale il lettore deve essere consapevole.

Seguendo opinioni dottrinali che condivido (a partire da Massimo Carli), la mia valutazione è che la riforma contenga disposizioni equilibrate e ragionevoli, ed effettivamente non costituisca alcuna minaccia alla specialità regionale, ponendo al contrario le basi per affrontare la questione della differenziazione fra regioni – nel futuro – in modo appropriato.
„La mia valutazione è che la riforma contenga disposizioni equilibrate e ragionevoli, ed effettivamente non costituisca alcuna minaccia alla specialità regionale.“
Mi spiego.
Prima di tutto la riforma contiene aggiornate disposizioni sulla differenziazione fra regioni a statuto ordinario. Il nuovo art. 116.3 – anche per iniziativa della singola regione e con maggioranza ordinaria e non più qualificata, alla ragionevole condizione che la regione abbia il bilancio in ordine – sulla base di un’intesa Stato-regione, consente ampie ulteriori forme di autonomia. Ciò indirettamente rafforza la posizione delle regioni speciali ed è un utile presupposto di ulteriori sviluppi: proprio nella misura in cui potrà permettere, poniamo al Veneto (ma naturalmente anche ad altre regioni ben gestite) di differenziarsi e diventare a loro modo (in qualche più limitata misura) “speciali”. Politicamente dal punto di vista dei fautori della specialità regionale è un elemento di notevole peso.
Venendo direttamente alle regioni speciali, queste sono notoriamente disciplinate non dalla Costituzione, ma – per volontà della Costituzione stessa – da leggi costituzionali che hanno varato i rispettivi statuti. Questa è la ragione di fondo per la quale, considerazioni strettamente politiche a parte, l’art. 39 comma 13 della legge di revisione costituzionale prevede (e non poteva non prevedere) che le disposizioni del capo IV di essa (quelle che riformano il celebre Titolo V) non si applicano alle regioni speciali e alle province autonome fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome.
 

La Corte costituzionale

Esiste un orientamento consolidato della Corte costituzionale in base al quale sono estese alle regioni speciali solo le norme costituzionali che prevedano (eventualmente) maggiori forme di autonomia (quelle previste dalla riforma l. cost. 3/2001) oltre che i principi supremi della Costituzione. In più ad esse si applicano le disposizioni sul coordinamento della finanza pubblica ex nuovo art. 81 Cost.

 
Di qui anche l’esclusione delle disposizioni del Capo IV di cui ho già detto. L’art. 29 sulle province non si applica perché le regioni speciali hanno competenza primaria in materia di ordinamento delle autonomie locali. L’art. 30 sull’autonomia differenziata indirettamente già citato non si applica per definizione. L’art. 31 è quello che modifica l’art. 117 e lì ci sono i singoli statuti (che definiscono la competenza legislativa). Ma su questo torno fra un attimo. L’art. 32 modifica l’art. 118 che non si applica perché nelle regioni speciali vige il criterio del parallelismo delle funzioni. L’art. 33 modifica il vigente art. 119 e non si applica perché le regioni speciali hanno una finanza totalmente diversa scritta negli statuti. All’art. 34 si disciplina ex novo il potere sostitutivo del governo e anche questo sta negli statuti. L’art. 35 riguarda il tetto alle indennità dei consiglieri regionali, altra legge quadro che non riguarda le regioni speciali. L’art. 36 sopprime la Commissione per le questioni regionali.
 

L’interesse nazionale

In sostanza cosa possono perdere le regioni a statuto speciale? Direi solo quelle limitate forme di autonomia (esempio in materia di professioni) che erano state ad esse estese dalla riforma del 2001 in virtù del principio che non è ammissibile che esse non abbiano una competenza che le regioni ordinarie hanno: una volta sottratta alle ordinarie, l’estensione dovrebbe cessare, senza ultrattività. Sul punto, peraltro, studiosi seri come Pajno e Rivosecchi la pensano diversamente. Vedremo: ma si tratta di un’area competenziale estremamente limitata.
Restano due questioni. Una è quella che potrebbe porre l’art. 31 di riforma dell’art. 117. E’ infatti nel nuovo art. 117.4 che viene introdotta la clausola di unità nazionale (o di supremazia o di salvaguardia che dir si voglia). Questa disposizione però non si applica alle regioni speciali. Ma devo ricordare che l’interesse nazionale è previsto come limite della potestà legislativa primaria da tutti gli statuti speciali, ad eccezione di quello della Sicilia (che precedette la Costituzione), cui però è stato esteso da giurisprudenza costituzionale consolidata.
„Ma devo ricordare che l’interesse nazionale è previsto come limite della potestà legislativa primaria da tutti gli statuti speciali, ad eccezione di quello della Sicilia (che precedette la Costituzione), cui però è stato esteso da giurisprudenza costituzionale consolidata.“

L´intesa

Quanto all’intesa (che è a sua volta oggetto di critiche asperrime) si possono dire ai critici due cose: i rapporti fra Stato e regioni speciali sono improntati in moltissimi ambiti già oggi al principio pattizio dell’intesa (basti vedere proprio lo Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol); inoltre ben quattro statuti speciali su cinque prevedono l’intesa per le leggi in materia di finanza regionale; lo stesso vale per i piani di rientro in caso di deficit in materia sanitaria, laddove applicabile (non dove la sanità è totalmente a carico della finanza provinciale, come a Bolzano); per non parlare del regime delle norme di attuazione. Infine proprio in tema di autonomia differenziata (per le regioni ordinarie) è prevista l’intesa.
In secondo luogo, in una recentissima pronuncia della Corte costituzionale (sent. 1/2016) si affermano principi molto rilevanti in ordine alla questione dell’intesa. Cito testualmente:
 
«occorre precisare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, gli strumenti di cooperazione tra diversi enti debbono prevedere meccanismi per il superamento delle divergenze, basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione. Se, da un lato, il superamento del dissenso deve essere reso possibile, anche col prevalere della volontà di uno dei soggetti coinvolti, per evitare che l’inerzia di una delle parti determini un blocco procedimentale, impedendo ogni deliberazione, dall’altro, il principio di leale collaborazione non consente che l’assunzione unilaterale dell’atto da parte dell’autorità centrale sia mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa entro un determinato periodo di tempo (ex plurimis, sentenze n. 239 del 2013, n. 179 del 2012, n. 165 del 2011) – specie quando il termine previsto è, come nel caso, alquanto breve – o dell’urgenza del provvedere.
Il principio di leale collaborazione esige che le procedure volte a raggiungere l’intesa siano configurate in modo tale da consentire l’adeguato sviluppo delle trattative al fine di superare le divergenze. Interpretata alla luce dei suddetti principi, la disciplina di cui al d.lgs. n. 281 del 1997, richiamata dalla disposizione impugnata, richiede che l’eventuale determinazione unilaterale da parte del Governo in caso di mancata intesa sia corredata da una motivazione esplicita, specifica e concreta, ove si dia conto degli scambi intercorsi e dei perduranti punti di dissenso e, alla luce di ciò, si illustrino le ragioni per cui si ritiene urgente una determinazione della sola parte statale, o comunque non più praticabile – eventualmente anche dopo la scadenza del previsto termine di 30 giorni – un ulteriore protrarsi delle trattative. Degli eventuali difetti di questa motivazione e della dialettica ad essa retrostante, le Regioni e le Province autonome potranno eventualmente dolersi nei modi appropriati, anche dinanzi a questa Corte».
 
La sentenza, insomma, descrive una serie di adempimenti e condizioni complessi, come si vede: essa prefigura però modalità procedimentali tali da conciliare opposte esigenze, in modo che la prevista e richiesta intesa garantisca sia i soggetti che intende tutelare sia al tempo stesso non impedisca, in ultima analisi, una deliberazione. E’ per questo che a me pare che la riforma delinei un equilibrio ragionevole, e comunque forse più spostato verso la garanzia della specialità che non in direzione opposta. Infatti, un punto è pacifico: oggi l’intesa (incluso l’obbligo di cercarla lealmente per tutto il tempo necessario) non c’è! Quindi, come che stia la questione, siamo di fronte a una maggior tutela della specialità: e ciò infatti spiega le critiche da parte di molti, cui facevo riferimento all’inizio.