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Guardare l’invisibile

731 sono i suicidi registrati in Alto Adige dal 2004 al 2018. Il fenomeno non può più essere ignorato né considerato un tabù.
Cammino
Foto: Georg Hofer

Dal 2004 al 2018 sono stati 731 i suicidi registrati in Alto Adige. Una cifra preoccupante che, se da un lato negli ultimi anni sembra essere fortunatamente in calo, dall’altro ci pone davanti ad un fenomeno che non può più essere ignorato, né considerato un tabù.

“Nella malattia psichica io stesso divento la malattia”, racconta Richard Santifaller, 58 anni, di Bressanone. In passato l’uomo ha sofferto di depressione e bipolarismo, disturbi che lo hanno trascinato in un tunnel buio da cui, per qualche tempo, ha pensato non sarebbe mai potuto uscire. Fino ai 25 anni la sua sembrava una vita tutto sommato normale, malgrado una costante sensazione di inferiorità nei confronti degli altri e l’incapacità di mantenere la concentrazione. Per molto tempo ha taciuto il suo malessere. “Fino a quando non si ammette a sé stessi di stare male e di aver bisogno di aiuto, la cosa non emerge”, sottolinea l’uomo che ha ignorato il problema fino a che la sofferenza si è fatta insopportabile.

 

 

Quando la malattia emerge “le persone vicine non riescono a comunicare con chi soffre, che a sua volta non riesce a trovare una via d’uscita da sé stesso” racconta Richard, che descrive una situazione in cui  “è impossibile incontrarsi”. L’isolamento rappresenta molto spesso la normalità per chi soffre di disturbi psichici e, anche per questo, è difficile parlarne e ammettere di esserne colpiti. “Quando si soffre di depressione si entra in una spirale che diventa sempre più avvolgente, in cui si perde il controllo dei propri sentimenti e dei pensieri”, afferma l’uomo, che sottolinea la distanza incolmabile che si crea tra chi soffre e il resto del mondo. “Da un lato c’era la depressione, volevo scomparire e ogni contatto mi causava dolore” e allo stesso tempo, l’uomo si trovava a vivere “momenti di massima euforia in cui mi sentivo catapultato in cielo direttamente dall’inferno”. Richard ha tentato il suicidio, poiché in quel momento quella sembrava l’unica opzione per porre fine alla sua sofferenza.


Crisi e prevenzione


“Dal punto di vista medico la depressione è senza dubbio la maggiore causa di suicidio, seguita dall’alcolismo”, afferma il primario del reparto di Psichiatria di Bressanone, Roger Pycha. Questi dati derivano da un’“autopsia psicologica” che ha voluto indagare il passato clinico e psicologico delle persone che avevano completato il suicidio in Alto Adige. La depressione, che secondo le previsioni dell’OMS entro il 2030 sarà il disturbo più diffuso nel mondo, è caratterizzata da tono dell’umore depresso, perdita di energia fisica e mentale e di interesse per le proprie passioni. La persona comincia a rinchiudersi in sé stessa, creando una sorta di muro attorno a sé che però può essere scavalcato e abbattuto. Il dottor Pycha racconta come, negli ultimi dieci anni, in Alto Adige si sia assistito non solo ad un calo dei sucidi, ma anche ad un graduale aumento dell’interesse nei confronti della malattia mentale e della prevenzione del disagio psichico, così come della marginalità che ne deriva. “La provincia ha sovvenzionato dal 2004 al 2008 l’iniziativa “Alleanza europea contro la depressione” per sensibilizzare la cittadinanza rispetto a questo disturbo e riuscire a curarlo in maniera efficace” sottolinea lo psichiatra, che aggiunge “combattere questi due fattori, depressione e alcolismo, può aiutare a ridurre di molto il tasso dei suicidi”. Nel 2007, a seguito di queste misure, il tasso dei suicidi in Alto Adige era calato significativamente. In quegli anni, inoltre, l’allora vescovo Wilhelm Egger invitò i parroci di tutta la provincia a recitare un’omelia su crisi e depressione almeno una volta l’anno, con il supporto de “La pastorale per una situazione di crisi” da usare durante la messa e nel caso di bisogno. Un altro ambiente in cui è stato necessario agire, racconta Pycha, è stato quello scolastico. Pubblicato solo in lingua tedesca il libro “Alti e bassi, la crisi come materia scolastica”, nasce nello stesso periodo per supportare gli insegnanti nella gestione di situazioni complesse.

 

 

“Nel 2008 il progetto europeo e i finanziamenti sono venuti meno”, racconta il dottor Pycha e aggiunge che “le attività di prevenzione al suicidio sono diminuite fino a quando, nel 2017, è nata la Rete di prevenzione del suicidio, composta da numerosi attori – dalla sanità alle organizzazioni del terzo settore, dai consultori telefonici alle intendenze scolastiche”. Ad oggi la Rete organizza corsi di “pronto soccorso per l’anima” volti a diffondere le regole basilari per proteggere chi si trova in uno stato di forte crisi e a rischio suicidio, promuovendo anche l’auto protezione. La Rete mira a una legge provinciale per la prevenzione del suicidio e a ottenere costanza e continuità nell’informazione e nella sensibilizzazione grazie a fondi dedicati e a personale qualificato. Tuttavia, una decisione così definitiva come quella di togliersi la vita, non trova la sua causa solo in disturbi di tipo psicologico o nelle dipendenze, ma anche in momenti di crisi che derivano da situazioni complicate e da momenti decisivi nella vita di chiunque. “Stai bene? Tutto ok?”: queste sono le domande, semplici e dirette, che si trovano sull’opuscolo della “Rete di prevenzione del suicidio”. Guido Osthoff lavora alla Caritas di Bolzano ed è uno dei membri della Rete: un’unione di competenze ed esperienze sparse sul territorio che si pone come alternativa concreta all’inferno descritto da Richard Santifaller. “La Rete di prevenzione propone attività di sensibilizzazione ed educazione per aiutare le persone a non voltarsi dall’altra parte quando, nel contesto familiare e amicale, qualcuno si trova in crisi” afferma Osthoff, che sottolinea l’importanza di “fornire gli strumenti per affrontare il discorso e offrire la possibilità ad una persona di aprirsi”. Molti sono i servizi gestiti dalla Rete, come ad esempio il servizio di ascolto telefonico o l’aiuto di specialisti, il tutto coordinato da vari enti che collaborano per lo stesso obiettivo. Ovviamente l’approccio telefonico è solo un primo passo, ma può fare la differenza nei momenti più difficili e di sconforto.

 


Parliamone, ma come?


Peter Koler, psicologo e direttore del Forum Prevenzione, a sua volta parte della “Rete di prevenzione del suicidio”, racconta di quanto sia difficile parlare di questa tematica e di come, molto spesso, nei media tutto ciò che riguarda lo stato di crisi e l’eventuale suicidio venga taciuto. Questo fatto, in Alto Adige, è dovuto alla serie di suicidi avvenuti negli anni ’90 e riportati su tutti i media nei minimi dettagli con un taglio quasi spettacolare. Quegli articoli sortirono un effetto indesiderato e spinsero molti giovani ad uccidersi con lo stesso metodo, “addirittura ascoltando le stesse canzoni”, sottolinea Koler. Di fronte a questo fenomeno, si stipulò un accordo con i media e si decise di non parlare più del suicidio, così da evitare il rischio di emulazione. Questo “effetto Werther”, ispirato dalla serie di suicidi che seguì alla pubblicazione de “Il dolori del giovane Werther” di Goethe, ha fatto sì che per molti anni non si facesse minimamente cenno al tema. “Oggi sui giornali il tema non viene quasi mai trattato direttamente” afferma Koler, che sottolinea come “c’è una discussione tutt’ora sull’approccio nei media, da un lato c’è il rischio di emulazione, ma dall’altra c’è la necessità di superare questo tabù in maniera accorta e fornendo tutte le informazioni per aiutare chi vive una condizione di forte crisi”.

 

 

Uno degli avvenimenti che più scosse l’opinione pubblica locale fu l’improvviso suicidio di Alexander Langer nel 1995 di fronte al quale fu impossibile tacere, tuttavia ci vollero anni affinché in Alto Adige il suicidio e soprattutto la prevenzione cominciassero a diventare nuovamente un tema. Di questo argomento è necessario parlare, ma facendo leva su un effetto opposto a quello “Werther”, ovvero l’“effetto Papageno” che si fonda su storie di realizzazione raccontate in prima persona da chi ha attraversato un momento buio, ma è riuscito a superarlo e a rifarsi una vita. Per quanto sia un argomento tabù, il suicidio in realtà è molto discusso anche su internet e nei social media in generale che, come spesso accade, divengono un’arma a doppio taglio. Koler, inoltre, afferma che “il suicidio è un tema chiave, ad esempio nel mondo musicale” e ribadisce come “soprattutto nell’adolescenza la vita e la morte sono temi centrali, ci si chiede ad esempio “Come mai sono qui? Che cosa succederebbe se non ci fossi più?” e tutto questo è piuttosto normale”. Parlare di questo tema è necessario, ma da una prospettiva di prevenzione non solo del suicidio, ma anche della depressione, dell’alcolismo e della marginalità affinché si possano fornire le informazioni corrette e offrire prospettive, senza lasciar spazio ai rischi della spettacolarizzazione.


Un compito per l’intera comunità


Le statistiche parlano chiaro: “Gli uomini che si suicidano sono quattro volte più delle donne” afferma Roger Pycha. “Da un lato abbiamo persone anziane che decidono di togliersi la vita e lo fanno in silenzio, senza alcun preavviso”, mentre “l’altro gruppo è quello delle ragazze giovani che se ne andrebbero senza volersene andare, sopravvivono e ottengono l’attenzione che prima non c’era e che è socialmente utile” sottolinea lo psichiatra. Le richieste d’aiuto e di attenzione vanno ascoltate e accolte e, soprattutto, richiedono un cambiamento strutturale nel clima famigliare, arrivando fino al clima scolastico e lavorativo. Certe azioni non vanno sottovalutate e, soprattutto, dimostrano quanto sia importante avere una forte rete di relazioni su cui poter contare. Il primario sottolinea come la miglior protezione, in questi casi, sia rappresentata dalla “connessione con il futuro, cioè avere progetti e programmi, sentire che la propria vita ha un significato” e in secondo luogo dalla “connessione sociale, che si basa su buone relazioni con i figli, con i genitori, con il partner e con gli amici”. La prevenzione al suicidio è un compito che non chiama in causa solo il sistema sanitario o il servizio psicologico, ma ha a che fare con l’intera comunità e con il modo in cui ci si rapporta a queste tematiche e a chi soffre. Il modo migliore di fare prevenzione secondo lo psicologo Koler “è offrire una relazione seria e chiara, usare le parole che puoi, oppure anche solo passeggiare in silenzio”

La forza della prevenzione sta soprattutto nella capacità di costruire un ponte con chi, nella crisi, non si sente compreso e capito. Ma come si fa ad approcciare una persona che soffre? Quali sono le parole giuste da dire? “Il primo passo è chiedere ad una persona come sta” afferma Roger Pycha, “ciò che vorremmo ottenere è un cambiamento di atteggiamento nei confronti di chi pare sofferente dal punto di vista psichico”. Una delle cose più complicate è senza dubbio chiedere ad una persona se ha mai considerato di togliersi la vita, come sottolinea Osthoff “ci vuole coraggio per porre questa domanda, perché la paura sta nel pensare a cosa fare se la persona risponde di sì”. A rifletterci bene sono molti i casi in cui, nella vita di tutti i giorni, si preferisce voltarsi dall’altra parte anche e forse soprattutto per proteggere sé stessi. Provare a rendere visibile l’invisibile dovrebbe essere un compito dell’intera comunità: interessarsi all’altro, prestare ascolto, prendersi del tempo e magari mettere una mano sulla spalla di chi soffre quando serve. Questi sono gesti che possono fare la differenza, soprattutto in una società come quella attuale dove lo stress, l’ansia da prestazione e la precarietà costante rendono le relazioni più numerose, ma spesso più fragili. Una comunità pronta ad accogliere la vulnerabilità e la fragilità dell’altro, è una comunità che può prevenire il suicidio e che può rendere visibili le problematiche che, se ignorate, possono diventare rischiose.


Un’altra vita


Arrivare a considerare la propria morte come opzione plausibile, significa aver perso di vista tutte le alternative. Fare prevenzione, dare ascolto e soprattutto togliere lo stigma dalla malattia mentale e dal disagio psichico sono i primi passi per rendere visibile chi soffre e la sua possibilità concreta di avere nuove prospettive di vita. Richard Santifaller, oggi uscito dalla depressione, è convinto che “è importante sapere che la malattia esiste, che non si è colpevoli quando se ne soffre e, soprattutto, che esistono degli aiuti per stare meglio”. Ad oggi, guardando indietro, l’uomo si rende conto di quanto “la depressione è stata una scuola dura per imparare a concentrarsi sul qui e ora”, ma anche di come sia stata proprio la consapevolezza del presente a salvarlo. Per l’uomo esistono due stanze: “la stanza del passato, dove si rischia di rimanere imprigionati, e quella del futuro, in cui è possibile andare avanti e continuare a scrivere la propria storia”. In cinese “crisi” è composto dalle parole “pericolo” e “possibilità” e Richard Santifaller lo sa bene. “Il pericolo è che la persona arrivi a togliersi la vita” afferma l’uomo, “la possibilità però sta nel riuscire ad imparare qualcosa del mondo e di se stessi” per riuscire così a darsi un’altra opportunità.

 

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Hartmuth Staffler Sa., 15.02.2020 - 23:19

Derartige verlogene Panikmache-Artikel sollten verboten werden, da sie - wie viele Studien beweisen - nur den Nachahmer-Effekt bestärken. Die Suizidrat ist in Südtirol erfreulicher Weise wesentlich geringer als in allen vergleichbaren Gebieten. Anstatt todbringende Panik zu verbreiten, sollte man daher die gute Botschaft verkünden: Seht her, in Südtirol lebt es sich gut, es gibt zum Glück nicht sehr viele Menschen, die ihre Probleme nicht in den Griff bekommen, aber wenn diese Probleme zu groß werden, dann gibt es Hilfe. Niemand muss verzweifeln - aber ich drohe zu verzweifeln an der Hirnlosigkeit derartiger Artikel.

Sa., 15.02.2020 - 23:19 Permalink
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Max Benedikter So., 16.02.2020 - 11:28

Antwort auf von Hartmuth Staffler

Haben Sie den Artikel überhaupt gelesen? Wie sollte ein Artikel in dem Fachpersonal über Therapie und Prävention reden den Nachahmer-Effekt bestärken? Es wird doch von keinem spezifischen Suizidfall berichtet.
Das sollten Sie mir bitte erklären.

So., 16.02.2020 - 11:28 Permalink