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Marino Magliani, scrittore tra mondi

Marino Magliani, narratore e traduttore, è stato l’ultimo vincitore nella sezione editi del premio letterario regionale plurilingue Frontiere-Grenzen.
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Foto: Frontiere Grenzen

Un contributo di Stefano Zangrando

Nei suoi ultimi lavori Marino Magliani, di radici liguri ma da anni stabilitosi (o quasi) vicino ad Amsterdam, si era concesso esplorazioni in territori narrativi meno convenzionali rispetto ai romanzi che avevano segnato i suoi esordi e i loro primi sviluppi. Più dei racconti di Carlos Paz e altre mitologie private (2016, dal quale è tratto il racconto premiato al Frontiere-Grenzen), che testimoniavano la persistenza, nella misura breve, di un mondo poetico esteso fra gli aspri declivi della Val Prino, l’Olanda come nuova “casa” e un mondo ispanico oscillante fra i due lati dell’Atlantico, è nelle prose raminghe e a tratti walseriane di Canale Bracco (2015) e Soggiorno a Zeewijk (2014), come in parte ne L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (2017), che Magliani sembrava aver imboccato la via della peregrinazione attenta, con una preferenza per le periferie dunose della capitale olandese e un anelito nostalgico che guardava, per lo più da lontano, alla terra d’origine. Di costante, in questi libri imparentati nei temi e nella composizione, c’erano il ricorso alla dimensione dell’esilio, un esilio più o meno volontario e dunque sottratto ai suoi risvolti più drammatici, la presenza di deuteragonisti dall’aura paterna e una tensione linguistica che, nel saper attingere a elementi regionali o slittamenti lessicali inusitati, è la cifra stilistica di Magliani.

Alla luce di questi trascorsi, l’uscita di un nuovo romanzo in senso stretto appare, più che un ritorno alle origini – questo è semmai ciò cui anela il protagonista –, un momento di bilancio in cui converge e si cristallizza con un respiro più ampio del solito ciò che l’autore è andato saggiando per anni. Il libro s’intitola Prima che te lo dicano altri ed è uscito per l’editore milanese Chiarelettere (collana «Narrazioni», 336 pp.).

Leo Vialetti è un contadino di quasi sessant’anni, la sua vita si svolge tra i versanti di un entroterra ligure non troppo lontano dal mare e il suo presente, più in là di una manciata d’anni rispetto al nostro, è un tempo naturale, circolare, segnato dalla ricorsività delle stagioni e dai compiti che queste richiedono, si tratti di innestare, smerciare olive o cacciare cinghiali. A creare una teleologia è però il desiderio, da parte di Leo, di acquistare all’asta la casa ormai in rovina dove mezzo secolo prima viveva l’uomo che, nel corso di un’estate mai dimenticata, gli diede lezioni private prima di emigrare per sempre in Argentina. C’è anche una donna, un’olandese che evoca un po’ quel che la valle è diventata nel giro di qualche decennio, svenduta ai turisti e mutata. E c’è uno stato pervasivo, dominante, quello che tiene l’animo di Leo nel passato, nel ricordo di quell’estate e, oltre all’uomo che gli fece da maestro, della madre e degli altri adulti del paesino, nel frattempo tutti deceduti. Anche l’argentino, del resto, è dato per morto.

Ma è proprio da questo nucleo cieco, da questa sorta di mistero naturale del vivere, che l’intero romanzo trae la sua maggior forza.

Verso metà romanzo scopriamo che quest’ultimo, Raul Porti, era il padre naturale di Leo, quello che non ebbe mai nella quotidianità e che ora, venduta all’olandese la sua proprietà, Leo parte a cercare oltreoceano, nella terra dei desaparecidos, in un viaggio risolutivo. Di notevole, in questo cambio di luoghi, c’è il modo in cui il racconto vi si piega: dal lirismo trattenuto della prima parte, dove la terra madre chiede sospensione e silenzi, si scivola in un dettato meno denso, più referenziale, giusta la dimensione “avventurosa” in cui Leo è gettato. In entrambe le parti, tuttavia, risaltano momenti di una violenza oscura, tanto poco decifrabile quanto la melanconia che è il tratto distintivo dei protagonisti. Ma è proprio da questo nucleo cieco, da questa sorta di mistero naturale del vivere, che l’intero romanzo trae la sua maggior forza.

Ora, prima del fregio del Frontiere-Grenzen, il Trentino aveva già dimostrato di apprezzare il valore della letteratura di Magliani – che nel frattempo ha ottenuto vari altri prestigiosi riconoscimenti – accordandogli il Premio Gelmi di Caporiaccio per Soggiorno a Zeewijk (Amos edizioni). Di questo testo gira da qualche tempo una traduzione tedesca in cerca di editore: sarebbe bello se dall’Alto Adige-Südtirol giungesse un segno complementare a quello trentino sull’onda di quanto avviato dalla SAAV a livello regionale, che cioè un editore o l’altro dei nostri maggiori si disponesse a offrire al pubblico di lingua tedesca un primo assaggio dell’opera di questo narratore fra mondi. Il fatto è che, visto dal Grenzland alpino, Magliani è un compagno di strada, sarebbe un peccato perderlo di vista.