Chronik | Scandali

Mafia Expo, 5 aziende cacciate

Un’azienda su otto è collusa con le organizzazioni criminali. Eppure, forse, per una volta, lo Stato risponde.

E con questo fanno tre. Solo nel 2014 l’Italia è stata avvilente teatro di una serie di scandali di proporzioni mastodontiche: il Mose di Venezia, Mafia capitale e l’Expo di Milano, senza sottovalutare il lungo strascico di politici e galoppini al seguito iscritti nella lista degli indagati. L’ultima inchiesta in ordine di tempo è quella che riguarda per l'appunto l’Esposizione Universale che si terrà il prossimo maggio nella “capitale” industriale del Paese, e su cui già da tempo si è preso atto che la criminalità organizzata ha allungato gli untuosi artigli; del resto si tratta dell'evento dell’anno, quello di fronte al quale l’Italia non può fallire, costi quel che costi.

Un’impresa su 8 sarebbe, a quanto pare, vittima di infiltrazioni mafiose, scoperte grazie ai controlli a tappeto da parte di Gia (gruppo antimafia) e il Gicex (Gruppo Interforze Centrale per l’Expo 2015), oltre al sostegno di Asl, ispettorato del lavoro, vigili, funzionari della prefettura e antimafia che finora ha assicurato alla giustizia 400 persone legate ai clan calabresi.

Un articolo di oggi, 5 gennaio, apparso su Repubblica entra nella carne viva dello scandalo Expo denunciando cinque aziende colluse con le cosche mafiose, aziende apparentemente rispettabili, come l’impresa di costruzioni che ha clonato le targhe dei propri mezzi per evitare i controlli: mandava in cantiere ruspe e camion non autorizzati con targhe autorizzate, guidati quindi da dipendenti d’aziende non in regola quando non addirittura già esclusi dall’Expo.

Una delle titolari di un’altra azienda ha utilizzato il capitale sociale per le spese legali e il sostentamento dei familiari; piccolo particolare: la signora è sposata con un detenuto, un trafficante internazionale di stupefacenti. Un’altra impresa ancora, invece, ha assunto solo operai di un piccolo paese del crotonese, tutte persone – si è scoperto – con precedenti penali o affiliate ad organizzazioni criminali. La quarta e la quinta azienda sono a conduzione familiare: l’amministratore unico della prima, imparentato con un noto capomafia, “viene trovato in possesso di due pistole con matricola abrasa e un numero consistente di cartucce”; gli amministratori della seconda, fratelli, hanno la sfortuna di avere un padre poco raccomandabile che frequenta pregiudicati e ha un fascicolo penale ben imbottito. Tutti e cinque i potenziali player sono stati cacciati (interdetti, per essere precisi), anche gli ultimi citati, colpevoli, stando ai fatti, solo di avere una scomoda parentela.

Pugno duro, dunque, contro illeciti accertati o anche solo sospettati, questa la linea della prefettura e del presidente dell’Autority anticorruzione Raffaele Cantone. Basterà a restituire un po’ di senso del pudore alla dissoluta moralità pubblica italiana?