Gesellschaft | Lavoro & diritto

“Precarietà, ricattabilità e stigma”

Le molestie sul lavoro sono un fenomeno ampio, sottovalutato e sommerso. Lara Ghiglione, responsabile delle Politiche di genere all’interno della CGIL, viene a Bolzano per aumentarne la consapevolezza all’interno della CGIL.
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Lara Ghiglione
Foto: Cgil
  • Lara Ghiglione fa parte della Segreteria nazionale confederale della CGIL e dal 2022 è responsabile delle Politiche di genere all’interno del sindacato. A fine febbraio si è recata a Bolzano per formare la direzione locale del sindacato sul tema delle molestie sessuali sul posto di lavoro.

  • Foto: Cgil
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    SALTO: Nell’estate del 2023 la Commissione Europea ha proposto una direttiva per contrastare la violenza di genere e le molestie sul lavoro. Nella sua versione originale la direttiva afferma che ciò che è senza consenso è violenza. Qual è il valore simbolico e concreto di questa direttiva?

    Lara Ghiglione: Per noi ha un grande valore perché colloca una responsabilità su chi mette in atto un comportamento lesivo verso una persona - nel 99 percento verso una donna - che non è in grado di dare il consenso. Anche nel nostro paese ci sono stati molti casi in cui la vittima è diventata colei da mettere sotto processo, da colpevolizzare. Purtroppo abbiamo ancora molti casi di vittimizzazione secondaria, dove, attraverso domande inopportune, viene chiesto alle donne come erano vestite, cosa stavano facendo … Dimostrare di aver subito violenza può essere molto complicato e può necessitare del tempo, sopratutto nei casi in cui nel momento della violenza non c’è una consapevolezza chiara di starla subendo. Faccio un esempio molto concreto: Spesso, donne vittime di violenze sessuali denunciano dopo molto tempo perché al momento della violenza o erano sotto gli effetti dell’alcool o le era stata somministrata quella che viene chiamata la droga dello stupro. Il tempo di cui una donna ha bisogno per denunciare non deve essere la ragione per la quale si mettono in dubbio le sue parole. E il fatto che ci sia un principio che afferma che se io non sono nella condizione di poterti dare un consenso deve essere considerato stupro, è un grande passo avanti. 

    Sia la Polonia che l'Ungheria hanno fatto pressione perché si stralcino parti di questa direttiva europea - ovvero l'Articolo 5 sopra citato. Qual'è la paura di questi paesi?

    In rete, questi paesi stanno portando avanti una politica nei confronti delle donne che consideriamo totalmente sbagliata e un passo indietro per le conquiste che le donne hanno ottenuto a livello internazionale. Aver prima inserito questo passaggio e poi deciso di stralciarlo è un atto molto grave. Abbiamo intenzione di prendere parola in rete con altri sindacati europei chiedendo ai paesi o di astenersi o di votare contro. Se l’obiettivo è di continuare a colpevolizzare la donna e metterla nella condizione di non poter vivere liberamente la propria vita - quindi non poter uscire e di non poter fare quello che le donne hanno il diritto di fare con la stessa libertà degli uomini - noi non possiamo minimamente accettarlo.

     

    Le molestie sul lavoro sono un fenomeno ampissimo, sottovalutato e sommerso

  • Oltre all’Articolo 5, viene proposto di stralciare la parte della direttiva che va a normare le molestie sul lavoro.

    Le molestie sul lavoro sono un fenomeno ampissimo, sottovalutato e sommerso a causa della precarietà del lavoro delle donne, la ricattabilità del lavoro delle donne, ma anche la paura dello stigma di essere etichettate come generatrici di quel tipo di comportamento. Ovviamente la paura è sempre quella della colpevolizzazione, che qualcuno possa dire o pensare: “chissà lei che cosa ha fatto”. Avere una direttiva europea nella quale si mette in evidenza il principio del rapporto sessuale senza consenso e che faccia delle molestie sul lavoro una fattispecie a sé stante è fondamentale. Le molestie sul lavoro hanno delle caratteristiche diverse rispetto agli altri tipi di violenza.

    Può darci qualche esempio?

    La specificità di queste molestie sta proprio nel disequilibrio di potere che intercorre tra chi le mette in atto e chi le riceve. Tale disequilibrio nasce da una cultura che tende a marginalizzare le donne, a oggettivarle e quindi a considerarle un oggetto del quale gli uomini possono usufruire nella maniera in cui vogliono. Molto spesso le donne si sentono sotto ricatto - anche dal punto di vista lavorativo e sopratutto quando precarie - quando temono che una denuncia possa sortire degli effetti negativi, anche rispetto alla loro reputazione. Questo disposto crea la vittima perfetta.

    Quando si parla di molestie sul lavoro: chi sono le persone maggiormente colpite? 

    Dal nostro osservatorio risulta che sono sicuramente le persone in una posizione di precarietà maggiore. Mi è successo molte volte di dover per esempio assistere lavoratrici straniere che venivano prese di mira e molestate in maniera pesante. Quando arrivano a denunciare la situazione al sindacato, molte, purtroppo, sono ormai in una condizione di stress psicofisico tale che non  accettano soluzioni che prevedono la loro permanenza in quel luogo di lavoro. Agiscono, però poi decidono di andarsene. Questo per noi è una sconfitta. Noi dobbiamo evitare che questo accada, introducendo anche nei contesti di lavoro una formazione specifica, che vada non solo a individuare quelle che sono le molestie per esserne tutti e tutte più consapevoli, ma anche a dare alle lavoratrici quella chiave di lettura e quei percorsi atti a farle uscire da questi contesti. Le donne devono sapere quando questi comportamenti sono sbagliati e a chi rivolgersi. La direttiva europea era fondamentale per introdurre anche nel nostro paese una normativa specifica su questo tema. 

     

    Molto spesso le donne si sentono sotto ricatto 

     

    Al momento una normativa simile nel diritto penale italiano non c’è, ma le molestie sul lavoro vengono sussunte in altri reati a seconda del grado di gravità. Che problemi comporta l'assenza di una tale normativa? 

    Il fatto che tutto si gioca in contesti dove diventa difficile sia  denunciare che trovarsi una difesa. Esistono quindi lavoratrici che - con la speranza che siano il più possibile sostenute  dalle organizzazioni sindacali - cercano di fuoriuscire da questo contesto. Da una ricerca fatta dall'Università di Trento emerge però che molto spesso le donne non sanno a chi rivolgersi. Non sanno che si possono  rivolgere alle consigliere di parità, ai sindacati ... Dobbiamo lavorare molto perché sappiano che nei luoghi di lavoro ci sono delegati e delegate formati*e e in grado di accogliere questo tipo di denuncia e di portarla avanti evitando conseguenze negative per la lavoratrice. Innanzitutto succede che quando questi fatti accadono è poi la lavoratrice a essere trasferita in un altro ambito di lavoro o un atra sede. Questa è una cosa sbagliatissima. Non deve essere la lavoratrice a pagare il prezzo di questi eventi. Qui noi abbiamo moltissimo da lavorare. Ma senza una norma che evidenzia la fattispecie, che spieghi chiaramente cos'è possibile fare, come agire e quali possono essere le conseguenze per chi mette in atto le molestie, noi non abbiamo uno strumento atto a favorire questi percorsi. Diventa tutto più difficile.

    Attualmente al parlamento si discute il Disegno di legge A. S. 89 che dovrebbe andare a normare proprio le molestie sul lavoro. Voi sostenete l’approvazione di questa legge?

    Noi stiamo facendo un’enorme pressione, sia per quanto riguarda questa precisa fattispecie, sia per la violenza di genere che si verifica nei luoghi di lavoro più ampiamente compresa. I provvedimenti che sono in discussione hanno sicuramente sia aspetti positivi che limiti. La cosa che noi chiediamo dell’approccio generale è quella di avere una visione orientata, non solo alla punizione dei comportamenti, ma soprattutto alla prevenzione. L’aspetto della pena è importante, ma una volta che il reato si è verificato è troppo tardi. Noi dobbiamo prevenirlo, e l’unico modo per farlo è cambiare la cultura.

     

    Non deve essere la lavoratrice a pagare il prezzo di questi eventi. 

     

    Voi come vi impegnate per cambiare questa cultura?

    Chiediamo sempre che ci sia una forte attenzione alla cultura paritaria. Questi temi non possono essere slegati dalla condizione delle donne - a partire dal lavoro e la retribuzione. Perché nel momento in cui io ti dico che tu non meriti di fare i percorsi di carriera dei tuoi colleghi o che non meriti di avere la loro retribuzione, io sto svilendo il tuo ruolo e ti sto mettendo nelle condizioni di essere considerata un elemento fragile e quindi favorisco anche tutte le forme di discriminazioni, molestie e violenze. Far cultura quindi vuol dire anche tutto questo. La condizione della donna va considerata e bisogna agire su tutti i fronti. 

    Per esempio? 

    A partire da tutto il lavoro formativo che può essere fatto. Riteniamo che si debba iniziare dalle persone più giovani, introducendo l'educazione al rispetto, alla sessualità e all’affettività nei percorsi formativi di ragazzi*e e bambini*e. Purtroppo la cultura che genera la violenza è sedimentata in tutti noi. Siamo un paese che fino a qualche decennio fa aveva normato le violenze sulla donna: il matrimonio riparatore che avveniva dopo gli stupri, il delitto d’onore o lo ius corrigendi che permetteva agli uomini di intervenire fisicamente per correggere eventuali comportamenti sbagliati da parte della donna. Non stiamo parlando di secoli fa, ma di qualche decina di anni fa. Quella cultura che colpevolizza la donna e ritiene che l’uomo possa agire anche in modo violento purtroppo è ancora introiettata nelle persone. Quindi promuovere una cultura che vada nella direzione opposta è il nostro dovere e dobbiamo farlo agendo già sui*lle più giovani. Ma non è sufficiente: bisogna sostenere le famiglie dal punto di vista educativo, introducendo per esempio sportelli di consulenza per genitori che ne sentono la necessità, e agire nei luoghi di lavoro. Serve inserire un modulo specifico nella formazione obbligatoria di salute e sicurezza.

     

    Il sindacato può intervenire sia attraverso la contrattazione, sia provando a rendere le delegate e i delegati più preparati possibili.

     

    Lei è qui a Bolzano per tenere una formazione sulle molestie sessuali sul posto di lavoro. A chi si rivolgono queste formazioni e cosa ci si può aspettare?

    Il sindacato può intervenire sia attraverso la contrattazione, sia provando a rendere le delegate e i delegati più preparati possibili. Non è facile stare in un luogo di lavoro ed essere un punto di riferimento per le lavoratrici che subiscono questo tipo di ingerenze. È necessaria una formazione adeguata. Noi siamo qui per parlare con delegate e delegati e con chi compone l’Assemblea generale della CGIL, proprio perché poi a cascata si costruisca una consapevolezza e soprattutto la voglia e la capacità per muovere quelle leve che abbiamo a disposizione. Una su tutte la contrattazione. Prima facevo l’esempio in cui non deve essere spostato chi subisce le violenze, ma chi le mette in atto. Questo deve essere un principio inserito nei contratti, come tanti altri. Noi abbiamo dunque la possibilità di usare strumenti diversi da altre associazioni che si occupano di questi temi e averne la consapevolezza è importante. Quindi il compito che abbiamo qui a Bolzano è trasmettere questi messaggi a tutti*e i*le dirigenti della CGIL. Perché non è un problema che riguarda le donne della CGIL, ma è un problema del quale devono prendersi cura uomini e donne della nostra organizzazioni. 

    Se io subisco una molestia sessuale al lavoro, posso rivolgermi dunque alla CGIL e sarò adeguatamente accompagnata?

    Assolutamente sì. La formazione ovviamente è un processo continuo e non si è mai formati*e una volta per tutte. Adesso noi abbiamo inserito nel nostro statuto l’obbligo e la formazione su questi temi e siamo dentro ad un percorso per formare 4.000 delegate e delegati. Quello che dobbiamo fare è comunicare meglio che le persone possono trovare sostegno anche su un tema che non riguarda prettamente il lavoro, ma il modo in cui si vive il posto di lavoro. In più, dobbiamo fare rete con le altre associazioni sul territorio, come i centri antiviolenza e le università.

     

    L'intervista è stata condotta da Valentina Gianera