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Politik | Governo

Per conto di Dio e della nazione?

Ricevere il consenso elettorale, fosse anche maggioritario, non significa ottenere un mandato illimitato a parlare in nome e per conto dello Stato, diventarne l’oracolo esclusivo.
  • Difendere Dio. Difendere la Nazione. Difendere l’identità. Tutte queste cose per la Presidente del Consiglio coincidono con difendere “the rights of people”. Lo ha detto nella Budapest di Orban. 

    Questo modo di pensare non ci è affatto nuovo e gli ammiccamenti sloganistici ad un elettorato che sembra fidarsi più delle parole che dei fatti non bastano a spiegare il senso di queste parole. 

    Noi sappiamo che nel passato si è cercato più volte e da più parti di subordinare i “diritti” - “rights” nell’eccellente inglese della Presidente - a qualcosa di più grande dei diritti stessi. La Chiesa ierocratica li subordinò ai suoi scopi di dominio politico, i rivoluzionari li subordinarono agli scopi della rivoluzione e infine lo Stato li subordinò agli scopi del gruppo dominante in un dato momento. 

    Hegel ci spiegò chiaramente che i diritti degli individui potevano diventare realtà concreta soltanto entro la struttura solida di uno Stato sovrano, solido, potente e se necessario guerresco. Nella sua “Philosophie des Rechts”, il grande filosofo dell’Ottocento argomentava così: i diritti dell’individuo sono certo importanti, ma senza uno Stato che li tuteli e li “protegga”, questi non valgono nulla e si riducono ad una melensa poltiglia del cuore. Dunque, secondo Hegel, occorreva subordinare quei diritti allo Stato e anche se lo Stato avesse dovuto calpestare e violare quei diritti, ne sarebbe valsa la pena, giacché in fondo lo Stato era considerato il valore supremo, l’altare sul quale sacrificare, se necessario, ogni diritto e ogni persona. Queste idee incoraggiarono il macello dell’espansionismo ottocentesco e della prima guerra mondiale, giustificarono l’idea ancora oggi vigorosa dello “stato di necessità”, secondo la quale nell’ora dell’emergenza lo Stato può fare tutto quello che vuole. Queste idee celebrarono rinnovato un culto della ragion di Stato e della sua potenza. E giacché ogni Stato si considera valore supremo, è naturale che prima o poi tra valori supremi statali si scateni la guerra per determinare chi tra loro abbia “maggior diritto”. L’idea di subordinare i diritti alla collettività statale, come abbiamo visto, non è stata poi così geniale. 

  • Sostenitrici di Giorgia Meloni in piazza Matteotti prima del comizio dell'anno scorso Foto: Salto.bz
  • Ma che cosa significa subordinare i diritti alla collettività? Difendere Dio, difendere la Nazione. Di per sé non ci sarebbe niente di sbagliato nel difendere Dio. Le cose cambiano un po’ quando Presidenti del Consiglio o ex aspiranti tali ritengono che Dio abbia bisogno di essere difeso da loro o, peggio ancora, quando pretendono di interpretarne addirittura il volere o di asserire in tutta serietà di conoscerne i disegni. Allo stesso modo, le cose cambiano quando i politici dell’ultima ora credono di interpretare il sentimento dell’intera nazione e di farsi portavoce non solo di chi li ha votati, ma dell’intero corpo politico. Ricevere il consenso elettorale, fosse anche ampiamente maggioritario, non significa in alcun modo ottenere un mandato illimitato a parlare in nome e per conto della nazione, diventarne l’oracolo esclusivo. Se così fosse, se davvero noi vantassimo al governo o all’opposizione l’oracolo di Delfi o gli interpreti esclusivi della volontà divina o dei sentimenti della nazione, beh, allora potremmo fare a meno di andare a votare e consentire loro di guidare i nostri destini e di fare qualsiasi cosa perché in fondo è una misteriosa entità più grande di tutti noi che li ispira. Magari! La realtà però è diversa: si nomina Dio (invano) e ci si appella alla Nazione per legittimare la classe politica e sociale che domina al momento e il politico che dice di proteggere la divinità intende invece dire che vuole proteggere se stesso, legittimarsi e autoproclamarsi.

    Tutto questo avviene nel silenzio assordante delle opposizioni, che ormai sembrano ridotte ad un apparato burocratico senza contenuti reali. Anche per loro i diritti sono diventati altro da quello che sono, qualcosa di astratto dalla realtà e di valenza specialmente mediatica. Quei diritti sono diventati così astratti che possono essere promessi ed elargiti indiscriminatamente e illimitatamente, come l’aria. Peccato che a quanto pare i sondaggi ci dicono che questo mercato dei diritti rassicuri soltanto la piccola e media borghesia, mentre il vecchio proletariato non si sente affatto garantito dai diritti scritti sulla carta o distribuiti in campagna elettorale. Se guardiamo i numeri, i partiti di opposizione non fanno presa al di fuori della classe media. In una competizione verbale a chi è più buono, più giusto e più verde e ad elargire indistintamente prebende giuridiche a destra e a manca, non è più dato percepire da che parte stanno veramente i partiti di opposizione e anche così si è lasciato campo libero alle forze populiste, che in quanto ad acrobazie verbali sono molto più esperte e convincenti, se non imbattibili. 

    In mezzo a tutto questo frastuono, si può dire di tutto e vorremmo dire che il Paese ha ancora risorse e anticorpi da opporre, li vorremmo trovare da qualche parte, ma le magagne del corpo politico sono in fondo lo specchio di quello sociale, che si è assuefatto alle medesime logiche, anche se non hanno colore, né Dio, né patria.