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Forget me not

Identificata una molecola in grado di arrestare la progressione dell’Alzheimer, una malattia di cui si parla ancora poco ma che il cinema ha spesso raccontato.

All’ultima cerimonia degli Oscar, lo scorso 22 febbraio, Julianne Moore si è aggiudicata il premio come migliore attrice protagonista per il film “Still Alice”. Era un riconoscimento che le spettava da tempo, ma l’Academy, si sa, ha le sue ragioni che la ragione (spesso) non comprende.
La storia raccontata nel film è quella di una professoressa di linguistica alla Columbia University di New York che a un certo punto scopre di avere una forma rara e precoce di Alzheimer. La pellicola, che ha il pregio di non essere ricattatoria e di tenersi a debita distanza dalle smancerie retoriche, non è la prima dedicata agli effetti devastanti di questa malattia. Qualche esempio: “On Golden Pond (Sul lago dorato)” che, anche in questo caso, fruttò l’Oscar a tutti e due, stavolta, i protagonisti: Henry Fonda e Katharine Hepburn (oltre che alla sceneggiatura) e che, pur senza una descrizione esplicita del morbo in questione affrontava con delicatezza il tema della vecchiaia e del decadimento cognitivo; “The Iron Lady” (2 Oscar) sulla vita dell'ex primo ministro britannico Margaret Thatcher; “Iris (Iris – Un amore vero)” – anche qui con statuetta al seguito – sulla storia d’amore fra la scrittrice Iris Murdoch e John Bayley.

Che l’Academy abbia un debole per la spettacolarizzazione della malattia è assodato, è vero altrettanto che il cinema ha dedicato a questa forma comune di demenza una certa, premurosa attenzione.
In Italia di Alzheimer si parla ancora troppo poco, sebbene il proliferare delle associazioni dei familiari dei malati e i gruppi di volontariato abbiano contribuito a far conoscere questa particolare patologia neurodegenerativa.
Poco risalto è stato dato anche alla notizia secondo cui sarebbe stata individuata una molecola, chiamata Brichos e presente naturalmente nel corpo umano, in grado di arrestare la progressione della malattia, interrompendo il percorso che causa la degenerazione delle cellule del cervello. A scoprirla un team di ricercatori dell’Università di Cambridge che hanno pubblicato i risultati dei loro studi sulla rivista Nature Structural & Molecular Biology.

L’Alzheimer è provocato dall’accumulo nei neuroni delle fibrille amiloidi (placche proteiche) che determinano la morte delle cellule cerebrali. Un processo di autoassemblaggio graduale che conduce ad una inarrestabile reazione a catena. La molecola identificata dagli studiosi interviene attaccandosi alle fibrille proteiche e, malgrado non riesca a impedire l’origine degli ammassi, interferisce con la loro crescita frenando la morte dei neuroni e bloccando, così, l’evolversi della malattia. Il guaio è che la molecola, che finora è stata testata solo sui topi, viene assorbita rapidamente dall’organismo prima di raggiungere il cervello. Ora l’obiettivo è quindi quello di cercare altre molecole che agiscano allo stesso modo e che possano servire come primo passo verso lo sviluppo di una terapia da troppo tempo ambita.