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"Chiusi oratori e partiti, restavano i bar"

Da fine settembre l'UniBar è chiuso e il nuovo gestore sembra arriverà tra qualche mese. Ecco il commento del Professor Farneti della Facoltà di Economia di Unibz.
unibar
Foto: SALTO
  • Da fine settembre l'UniBar è chiuso. Ad oggi sembra che ci vorranno ancora alcuni mesi prima che, attraverso il nuovo bando, un gestore possa riaprire l'attività che garantiva agli studenti i caffè, il cibo e le bevande a prezzi calmierati. Ma non solo: come messo in luce dalla lettera che segue - scritta dal Professor Roberto Farneti, della Facoltà di Economia di Unibz, che esprime un pensiero condiviso da diversi colleghi - l'UniBar offriva agli studenti e ai propri docenti dei momenti di scambio di idee e di confronto. Insomma, delle opportunità che andavano oltre la semplice consumazione. Per il momento l'Università, per colmare la lacuna, ha installato alcuni distributori automatici.
    In una città dove i giovani faticano a trovare degli spazi di aggregazione, si spegne temporaneamente un importante luogo di ritrovo del centro storico di Bolzano. Di seguito, il commento del Professor Farneti.

    La ricreazione, più che lo studio, è all’origine della creatività

    Ha chiuso l’Unibar, e francamente non credevo che ne avrebbe parlato la stampa locale. Negi articoli usciti si auspicava una riapertura in tempi rapidi, per restituire agli studenti un luogo in cui passavano, molti di loro (e di noi docenti) una parte non insignificante del loro tempo. Nell’attesa ci saranno i distributori automatici, ma il problema non è solo la ‘funzione ristorativa’ ma qualcos’altro, quel qualcosa di non insignificante che va oltre il consumo di un caffè o altro. L’Unibar raccoglieva quell’informale associazione trasversale, studenti e prof, che non ha sigle o colore politico. Che i bar abbiano a che fare con cose non secondarie come la democrazia e il capitale sociale lo ha pensato chi ha sviluppato il progetto “Democracy Cafés”, che ha vinto il premio “Changemaker of the Year” dei National Democracy Awards nel Regno Unito.

  • Il Professor Farneti: "Ci saranno i distributori automatici, ma il problema non è solo la ‘funzione ristorativa’ ma qualcos’altro, quel qualcosa di non insignificante che va oltre il consumo di un caffè" Foto: Unibz
  • Se penso alla mia vita da studente a Bologna, penso che esisteva una popolazione di universitari con una sua identità, i suoi tic e la sua capacità di incidere sul tessuto della città, una popolazione, gioia di tanti etnografi contemporanei, che si ritrovava in quei luoghi senza gerarchie, senza primati, che erano (e sono, e sempre saranno) i bar intorno alle Università. Oppure penso alle osterie (Il becco di legno, alla Cirenaica), penso all’Art Club di via dei poeti, o al Caffè dei Commercianti dove si ritrovavano i professoroni, tipo Eco e quelli della società editrice Il Mulino, lì in Strada Maggiore. C’erano le lezioni, certo, ma tolte le ore di sonno, il resto del tempo lo si passava nelle varie biblioteche della città (Archiginnasio, Biblioteca Giuridica, quella della facoltà di Economia in via delle Belle Arti), ma si sceglieva una biblioteca piuttosto che un'altra sulla base del bar lì vicino, ognuno di noi aveva il suo “Posto Ristoro”, che è un luogo dell’immaginario, una citazione dalle prime righe dal libro ‘Altri libertini’, scritto da uno di quegli etnografi, Pier Vittorio Tondelli (“Sono giorni ormai che piove e fa freddo e la burrasca ghiacciata costringe le notti ai tavoli del Posto Ristoro”). 

    Quella studentesca è una popolazione particolare, e i suoi etnografi giurano che la ricreazione, più che lo studio, sia all’origine della creatività: raccomando allora la lettura di un articolo scientifico dal titolo che è tutto un programma: Fun, Friends, and Creativity: A Social Capital Perspective (Journal of Creative Behavior, 2021) in cui si evidenzia "the importance of fun activities in generating novel and useful idea”. Ma le fun activities (innanzitutto chiacchere e cazzeggio) sono i nostri fondamentali sociali. E allora penso che forse avevano ragione, quelli che dicevano che nei luoghi in cui si respira una creatività esplosiva, come dentro il Melbourne Arts Precinct nel quartiere di Southbank o il chilometro di gallerie tra Washington Blv e La Cienega a Los Angeles, il segreto erano proprio i bar. Lì tra Washington e La Cienega oltre alle gallerie ci sono gli studi d’artista, i grafici, i pubblicitari, gli editors, gli script doctors, gli agenti, gli studi di registrazione, e tutto il resto. Ma il luogo in cui il popolo dei creativi si riuniva senza orari è un bar, Mandrake, fondato da tre artisti: live set e film quasi ogni sera e senza quello forse non ci sarebbe stato nulla di tutto il resto. Forse era un’esagerazione, ma forse no.

    Ci sono luoghi in cui ancora si fanno cose ormai in disuso come aggregarsi, fare pubblicamente conversazione

  • UniBar: garantiva caffè a prezzi più accessibili. Ci sarà un nuovo bando di assegnazione e l'attività sarà riaperta tra qualche mese. Foto: SALTO
  • Ma se c’è una piccola verità in queste considerazioni, è che il “posto ristoro” non è surrogabile dai distributori automatici, che è un luogo speciale, molto più che immaginario, come il Bar Dickens di Moehringer (per chi non vuole leggersi il libro c’è il film di Clooney, per altro guardabile, The Tender Bar) o il bistrò Balto del romanzo di Guenassia (Il club degli incorreggibili ottimisti). E restando nella letteratura, a me sembra di ricordare che i Lehrjahre di Wilhelm Meister erano trascorsi per locande, non certo in laboratori e biblioteche.

    Ma gli esempi sono infiniti, da Machiavelli a Balzac, per non parlare dei caffè viennesi (basti leggersi Il caffè dell’undicesima musa di Joseph Roth, o le pagine di Canetti sui suoi incontri con Sonne al Cafè Museum). E per chi diffida della letteratura basti un aneddoto: forse il più stretto collaboratore di Steve Jobs, Bill ‘Coach’ Campbell, aveva un bar, l’Old Pro, a Palo Alto, dove riuniva i quadri di Apple.

    Il problema allora, quel qualcosa di non insignificante di cui dicevo, è che ci sono luoghi in cui ancora si fanno cose ormai in disuso come aggregarsi, fare pubblicamente conversazione: chiusi i partiti e gli oratori erano rimasti i bar, in un tempo in cui l’aggregazione è sostituita da un suo feticcio minore, l’evento, l’incontro istantaneo, che non aggrega e che non ristora nei “giorni che piove e fa freddo”. Insomma, riaprite l’Unibar, è molto più importante quello, per la nostra salute mentale, di molti investimenti più o meno indispensabili. E pensiamo magari a una delega del Rettore… alla ricreazione!

  • Il docente

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Giancarlo Riccio Sa., 07.10.2023 - 19:22

Roberto Farneti non propone esempi o riferimenti tutti convincenti ma ha comunque perfettamente ragione. Il caffè, nel senso di luogo e talvolta di meta-luogo, è vitale, creativo e inventivo in un museo, in una libreria: e in una sede universitaria funziona benissimo anche come preambolo o coda di una lezione. Non necessariamente rispettando il rapporto allievi-docente che si definisce in un'aula. Il Caffè della Lub, quando riaprirà, potrà anche cavalcare l'occasione di offrire un servizio e prodotti migliori rispetto al passato. A due condizioni: non pensare di diventare come i Caffè viennesi o triestini e poi poter contare sull'attenzione da parte del rettore. Ecco, professor Lugli, noi ci contiamo. E grazie in anticipo.

Sa., 07.10.2023 - 19:22 Permalink