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Non lasciatele sole

"Tutto parla di te", regia di Alina Marazzi, con Charlotte Rampling e Elena Radonicich, 2012.
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È attorno al vuoto della figura della madre che ruota sempre il cinema di Alina Marazzi: nel senso più doloroso e letterale nello struggente Un'ora sola ti vorrei (2002); ascoltando le parole dei diari di tre giovani donne che scoprono la sessualità in Vogliamo anche le rose (2007); e ora mettendo al centro del lungometraggio Tutto parla di te il ventre materno e quell'intenso e talvolta difficile rapporto che si instaura tra la madre e il neonato. Andando al di là dei consolatori stereotipi da pubblicità o da catechismo che ammantano la nascita con i toni pastello; mostrandoci invece anche la fatica e il terrore che vengono rimosse dalla coscienza collettiva, e da un welfare state che non garantisce figure istituzionali che aiutino le donne nel loro lavoro di neomadri.

C'è una scena che sembra centrale per Marazzi: il ritrovamento di una scatola che fa riemergere dal passato una vita spezzata, attraverso lettere, diari, nastri registrati; un baule salvato dal naufragio, che dà spazio al reale rimosso, attraverso tutta la sua terribilità e il dolore che ha lasciato le sue tracce nel presente. Gli "oggetti desueti" conquistano la scena, e sono frammenti di super8 casalinghi, fotografie ingiallite, brani di diari e lettere. Le tracce del passato sono macchie di Rorschach da interpretare, macchia di Rorschach è la scena ossessiva del volo degli uccelli, e di macchie di Rorschach parlano, nei nastri ritrovati, la madre e l'analista.

Poi ci sono le donne di oggi, che nelle registrazioni di un centro di aiuto per le mamme raccontano le loro storie di depressione e dolore. Pauline, matura etologa che torna nella natia Torino per una ricerca (che non è solo ricerca scientifica, ma anche ricerca del proprio passato), le visiona e studia, e assieme a lei le sentiamo anche noi, queste donne, viviamo anche noi la loro angoscia, le loro paure, le loro depressioni. Al centro Pauline incontra Emma, una giovane neomamma chiusa nel mutismo, sconvolta da un evento che non permette che nulla sia come prima ("Non sono più una coppia, ora sono tre", sintetizza Valerio, il regista-coreografo). Emma ha abbandonato la sua compagnia di danza, lascia un compagno troppo bambino per prendersi cura di un bambino, non sa rispondere al pianto di una creatura che a lei sembra fragilissima. Ma "i bambini sono più forti di noi", le rivela Pauline. Che la accompagnerà, svelandole il "segreto" che si porta dietro dall'infanzia, in un comune percorso di riscoperta di sé.

"Io sono io, e lui è lui. E io posso essere io nonostante lui", dice alla fine Emma, quando finalmente percepisce che il bambino è altro da sé, e riconquisterà il sorriso e la fiducia nel potercela fare. E ha capito forse quello che Valerio dice a Pauline, paragonando il destino della danzatrice-mamma a quello di una ballerina senza braccia: Dovrebbe portare il pensiero di suo figlio sul palco, solo così potrebbe riconquistare quella speciale luce che emana da lei quando danza.

Alla fine, con Emma gioiamo anche noi: dopo che lo spezzone di uno dei momenti televisivi più intensi degli ultimi anni (la "storia maledetta" di Mary Patrizio intervistata da Franca Leusini), i bellissimi inserti in stop motion che animano una casa di bambole, e il ricordo di Pauline ci hanno mostrato come può essere terribile il volto del reale. Ma Emma no, ha avuto un destino diverso: "Perché tu non sei stata lasciata sola, come mia madre", chiosa alla fine (forse un po' troppo didascalicamente) Pauline.

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Alessandra Abbona So., 14.04.2013 - 22:53

non ho ancora potuto vedere il film, ma soltanto a leggerne e in vista del tema, lo farò quanto prima. detto questo, senza per fortuna risvolti tragici, so per esperienza personale che cosa è il baby-blues (che come immaginerete non è un genere musicale per bebè, ma ben altro).
la sensazione di perdere un pezzo di sé, e di sentirsi senza più alcuna forza, nonchè inetta, e di avere talvolta sentimenti contrastanti verso la creatura che si è generata, è un qualcosa di spiazzante e da tenere sotto controllo. una neomadre è spesso sola. anche con mille persone intorno. e talvolta non ce la fa.

So., 14.04.2013 - 22:53 Permalink
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no name Mo., 15.04.2013 - 07:26

Ho trovato in questo saggio quanto avrei voluto far passare nella discussione attorno all legge sulla famiglia..."den Kindern ein Zuhause.." che alla fine si é ridotta al solito ritornello...l'uomo deve essre ugualmente coinvolto nelle gestione del figlio...Gianluca risponde egregiamente al fatto che, infin dei conti, é l'arte che puó dare la miglior risposta alla natura umana.

Mo., 15.04.2013 - 07:26 Permalink