Politik | Gastbeitrag

Catalogna, è tempo di politica

Con la vittoria dei socialisti a scapito degli indipendentisti alle elezioni catalane si è aperta una nuova fase. Un cambiamento che potrebbe mettere in scacco Madrid.
Catalogna
Foto: Euronews
  • Se il risultato delle elezioni catalane del 12 maggio dovesse essere riassunto in una parola, sarebbe cambiamento. Un cambiamento che potrebbe aprire una nuova fase in Catalogna e portarla fuori dal labirinto in cui è entrata con il fallito processo pro-indipendenza. Un cambiamento che potrebbe mettere in scacco il governo di Sánchez a Madrid, a seconda del gioco di alleanze che il nuovo governo di Barcellona stringerà.

  • I risultati

    I risultati delle elezioni possono essere riassunti in tre punti chiave. Il primo è la vittoria incontrastata del Partito Socialista di Catalogna (PSC) di Salavador Illa, che per la prima volta nella sua storia è diventato la forza vincente in termini di voti (28%) e seggi (42). Illa, ministro della Sanità nel governo di Sánchez durante la fase centrale della pandemia, è riuscito a condurre i socialisti in vetta con un tono pacato e propositivo, in cui il discorso sul cattivo stato dei servizi pubblici e sulla necessità di voltare pagina rispetto a un processo di indipendenza che ha lasciato una Catalogna paralizzata da più di dieci anni. Un decennio perduto in cui la Catalogna ha perso la leadership economica a favore di Madrid, frutto della sua instabilità politica in cui il discorso sull'indipendenza ha prevalso sulla gestione quotidiana dei bisogni dei cittadini in un contesto di crisi.

    Il secondo fattore chiave è il declino dei partiti pro-indipendenza, che otterranno solo 61 seggi, lontani dai 68 che costituiscono la maggioranza assoluta. Questa cifra, lontana dai 71 ottenuti alle ultime elezioni, è il peggior risultato di sempre per i partiti nazionalisti e pro-indipendenza, ad eccezione delle prime elezioni democratiche del 1980. Il campo pro-indipendenza è ancora una volta guidato dalla destra catalana di Junts con 35 seggi (21,6%). La formazione di Carles Puigdemont, che continua a fuggire dalla giustizia e ha fatto campagna elettorale dal sud della Francia per evitare l'arresto in attesa dell'approvazione della legge di amnistia, è cresciuta di tre seggi, insufficienti a compensare il crollo dei partiti secessionisti di sinistra, che hanno perso un totale di 18 seggi. ERC, il partito che guidava il governo, ha subito una tremenda punizione da parte dell'elettorato catalano, perdendo 13 seggi e scendendo a un misero 20 (13,6%), mentre l'anticapitalista CUP è passata da 9 a 4 deputati, ricevendo solo il 4% dei voti. Il successo di una nuova formazione, l'Alleanza Catalana di ultradestra, che ha ottenuto 2 seggi grazie al 3,7% dei voti, compensa in minima parte la sconfitta del movimento pro-indipendenza.

    La terza chiave è la progressiva “destralizzazione” dell'elettorato, simile a quella che si sta verificando in gran parte d'Europa, come si può vedere nella politica italiana e sudtirolese. Il Partito Popolare ha ottenuto un risultato notevole, ponendo fine alla crisi che stava subendo in Catalogna, quintuplicando i suoi risultati e arrivando a 15 seggi (11%). Il partito conservatore è riuscito ad assorbire il voto di Ciudadanos, partito completamente scomparso dalla mappa politica catalana. Dalla vittoria delle elezioni del 2017 a non ottenere nemmeno l'1% dei voti. La politica catalana si sta muovendo a rotta di collo e sta cogliendo molti di sorpresa. Forse quello che più sorprende della crescita del PP è che non ha portato a un calo di consensi per la destra radicale di Vox, che mantiene i suoi 11 deputati e un sostegno stabile all'8%. La “destralizzazione” dell'elettorato è ancora più marcata con l'ingresso nel Parlamento catalano di Alleanza Catalana, un partito guidato da Silvia Orriols, sindaca di Ripoll, condannata per i suoi discorsi xenofobi e le sue politiche anti-immigrati. Questo partito xenofobo ha costruito il suo discorso sul rifiuto dello “spagnolo”, considerato un'imposizione, e degli immigrati (soprattutto quelli di religione islamica), un discorso che non ha nulla da invidiare al rap di JWA.

  • Difficoltà per la formazione di un governo

    Le divisioni nella politica catalana vanno oltre le posizioni dei partiti sull'indipendenza. Infatti, questioni come la legge sull'amnistia, che risuonano così fortemente nella politica nazionale, sono passate quasi inosservate durante una campagna elettorale che ha ruotato intorno ad altri problemi della vita quotidiana, come lo stato della sanità, gli alti prezzi degli alloggi, l'insicurezza e l'immigrazione.

    Alla luce dei risultati, sono solo due i candidati che hanno la possibilità di essere eletti presidente. Il socialista Salvador Illa è in netto vantaggio, in quanto sarebbe in grado di articolare una maggioranza assoluta con i Comuns (6 seggi, 5.8%), che fanno già parte del governo di Sánchez a Madrid, e l'appoggio di ERC, alleato abituale di entrambi. Questa combinazione ideologicamente coerente di partiti di sinistra affronta il processo di riflessione che ERC deve avviare alla luce del disastro elettorale subito. La sua prima esperienza alla guida del governo catalano si è trasformata in un incubo, con la perdita di gran parte del suo sostegno elettorale che ha portato il presidente uscente, Pere Aragonès, a dimettersi e ad abbandonare la prima linea politica. La strategia pattizia dell'ERC, uno dei principali alleati di Sánchez, sembra aver fatto presa sugli elettori pro-indipendenza, che accusano il partito di essere diventato una forza “autonomista” che privilegia le concessioni politiche rispetto alla ricerca dell'indipendenza. In ogni caso, nonostante l'insuccesso, ERC sarà decisiva in qualsiasi possibilità di governo.

    L'altro candidato all'orizzonte è Carles Puigdemont, che dovrà non solo raccogliere l'appoggio dei diversi partiti pro-secessionisti, ma anche convincere i socialisti ad astenersi e a permettergli di governare nel caso in cui non riuscissero a ottenere il sostegno di ERC. Tutto questo una volta approvata la legge di amnistia, che gli permetterà di evitare l'arresto e di tornare in Catalogna dopo la fuga del 2017.

  • Una farfalla a Barcellona, un tornado a Madrid?

    Le elezioni catalane hanno ripercussioni che vanno oltre la Catalogna. La scarsa performance dei partiti secessionisti potrebbe essere il preludio di una nuova era, in cui un governo a guida socialista cercherà di aprire una nuova fase di intesa che aiuterà a chiudere gradualmente la frattura creata da anni di processo pro-indipendenza. Tuttavia, non bisogna sottovalutare l'impatto che qualsiasi decisione potrebbe avere sulla politica nazionale, dato che il governo di Sánchez dipende dall'appoggio di ERC e Junts.

    Non è affatto irragionevole che Puigdemont chieda che i socialisti permettano la sua investitura sotto la minaccia di ritirare il loro appoggio a Sánchez a Madrid, il che renderebbe il Paese ingovernabile e, sicuramente, porterebbe a elezioni anticipate. Sánchez potrebbe essere tentato di sacrificare Illa per mantenere il sostegno di Junts, magari con una formula intermedia in cui i socialisti avrebbero i ministeri più importanti. Tuttavia, questa scommessa è molto rischiosa. Non solo perché significherebbe cedere il ruolo di leader a una figura altamente divisiva come Puigdemont, ma anche perché l'elettorato catalano penalizzerebbe il governo catalano nelle future elezioni se dovesse essere merce di scambio per il sostegno di Madrid.

    In ogni caso, nonostante la clamorosa vittoria del PSC, Sánchez dovrebbe essere cauto nel pensare che la sua politica di indulto (indulto prima e amnistia poi) sia una garanzia di successo. La politica catalana segue regole completamente diverse da quelle del resto della Spagna. Resta quindi da vedere se questo successo possa essere estrapolato ad altri territori o se ciò che funziona in Catalogna penalizzi il resto del Paese, come spesso è accaduto all'opposizione del Partito Popolare. Solo il tempo ci dirà se il cambiamento è destinato a rimanere o se è solo un'altra tappa della turbo-politica che stiamo vivendo negli ultimi tempi.

  • Francisco Javier Romero Caro è ricercatore senior presso l’Istituto​ di studi federali comparati ​​​​​​di Eurac Research.