Politik | Tabù

Il vero problema

Coraggioso intervento di Arno Kompatscher davanti agli Schützen. Osa pronunciare la parola proibita: nazionalismo.

Non poteva esserci miglior prologo alle celebrazioni bolzanini per il 70º anniversario della Liberazione del discorso pronunciato sabato dal presidente della giunta provinciale Arno Kompatscher davanti alle compagnie degli Schuetzen radunate in piazza Walther. E non solo per le cose dette, una in particolare, ma anche per il pubblico a cui sono state rivolte e per come sono  state pronunciate.

Toccare certi temi, usando anche la lingua italiana, davanti un piccolo esercito di cappelli piumati provenienti da tutte le regioni del vecchio Tirolo costerà probabilmente abbastanza caro al presidente Kompatscher, come del resto confermano già le prime reazioni e il modo con cui l'avvenimento è stato trattato dalla stampa in lingua tedesca.

Il punto centrale, però, è un altro. Kompatscher, volutamente, parlando degli orrori causati dalle guerre del novecento ha additato come responsabile il nazionalismo. Per una volta, finalmente, si è pronunziata quella parola che, in Alto Adige, viene usata pochissimo, per motivi ben facili a comprendersi. L'abitudine, generalmente invalsa, è quella di mettere sul banco degli imputati i singoli regimi, le dittature, i personaggi che hanno condotto l'Europa ed il mondo nell'oscuro tunnel delle guerre, dei genocidi, dei massacri compiuti a ripetizione. I bersagli preferiti sono ovviamente fascismo e nazismo, sui quali viene fatto ricadere  interamente l'orrore per gli avvenimenti più drammatici del nostro recente passato, ma che non ne esauriscono le cause profonde.

Ci sono altri responsabili , ed il nazionalismo è il principale di essi, che esistevano prima del fascismo e del nazismo, che ne rappresentano la tragica spina dorsale, e che ai due nefasti regimi, ma anche a molti altri, sopravvivono sino a giungere, purtroppo intatti e vitali ai giorni nostri.

Nessuno o quasi, di questi tempi, si proclama più fascista o nazionalsocialista se si eccettuano gruppi di giovani dal grande fanatismo e dall'incerta matrice culturale. Ben più vasta sottile e pervasiva, specie in una regione di confine come la nostra, è la presenza del nazionalismo in tutte le sue forme. Difficile, oggi come oggi, trovare anche chi si definisca coscientemente come un nazionalista. Eppure basta osservare gli atti politici, le prese di posizione, i modelli culturali per capire che il problema vero è proprio quello messo all'indice nel discorso di Kompatscher. Lo è, in questa terra, da quasi due secoli, da quando cioè la nascita dell'idea di nazione porta ad iniziare nei territori dell'antico Tirolo una battaglia furibonda, combattuta solo a tratti con le armi, ma non per questo meno dura e accanita. È una guerra che si avvale di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla letteratura, perfino dalle arti, da una scienza ed da una tecnologia che vissero in quell'epoca  una stagione di enorme progresso. La battaglia tra gli opposti nazionalismi giunse ad innervare, in particolare nelle zone come la nostra dove due grandi aree culturali venivano a contatto e a contrasto, molte manifestazioni del pensiero sino a divenire un tutt'uno con la cultura e il sentimento popolare.

Vi sono pensieri e azioni prima sconosciuti che si affermano e divengono dominanti. Uno di essi, ed è un esempio che non citiamo a caso, è quello dell'utilizzo delle vette alpine, nel momento in cui esse emergono dal regno dell'ignoto in cui erano state relegate per secoli e secoli, come teatro di conquista, come campi di battaglia su  cui piantare le bandiere nazionali o le croci, simbolo di appartenenza religiosa. È una storia intrigante che non da molto viene studiata e analizzata. Ne fa una cronaca vivace e completa uno storico aostano, Marco Cuaz, in un agile volumetto  sulla storia delle Alpi scritto alcuni anni or sono. Dalle nostre parti, di quell'epopea, si tende a ricordare solo l'ascesa compiuta, nel luglio del 1904, dal nazionalista roveretano Ettore Tolomei, ad una delle cime poste al vertice della Valle Aurina denominata, da lui stesso, Vetta d'Italia, ma in realtà quello non fu che uno degli episodi più eclatanti di un generale assalto alle cime compiuto da alpinisti italiani e tedeschi, con la contemporanea costruzione di una rete di rifugi, di vie ferrate, di sentieri. Una grande epopea alpinistica, segnata però, anche se oggi si preferisce non ricordarlo, da una tensione nazionalista che anticipava il sanguinoso scontro che su quelle stesse cime sarebbe avvenuto dal 1915 in poi. Come non interrogarsi, alla luce di tutto ciò, sulla simbologia precisa che la decisione degli Schuetzen di ricordare i loro morti (e solo i loro) tornando sulle cime di quelle montagne con decine e decine di croci nere,  vuole rappresentare.

Il nazionalismo, dunque. Non è chiaro fino a che punto il presidente Kompatscher, si sia reso conto, sabato scorso di aver evocato un fantasma così presente nella nostra realtà di oggi da condizionarne molti sviluppi. Certo è che il suo richiamo potrebbe essere, se raccolto da tutti i sudtirolesi e dagli altoatesini di buona volontà, un punto di partenza importante per ripercorrere questi due secoli evitando di chiudere gli occhi, come quasi sempre si è fatto fino ad oggi, sui guasti che l'idea nazionalista e un malinteso patriottismo hanno provocato in queste terre di confine. Cominciando, magari, da quelle celebrazioni per il 25 aprile che a Bolzano, da sempre, sono la triste vetrina di una società che da decenni preferisce non fare i conti con il proprio passato e con i propri errori.

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Benno Kusstatscher Di., 21.04.2015 - 07:50

Maurizio, d'accordo con il termine nazionalismo come lo usa Kompatscher, ma per gli eventi dell'ottocento che descrivi tu, non basta. Era una combinazione di nazionalismo e imperialismo, di cui ti volevo ricordare.

Di., 21.04.2015 - 07:50 Permalink
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Stefano Di., 21.04.2015 - 09:41

Achtung Schützen, d'ora in poi è necessario il permesso anche per respirare. Speriamo che Kompatscher e Ferrandi siano generosi.

Di., 21.04.2015 - 09:41 Permalink