Politik | Storia

Il Mein Kampf e noi

Considerazioni a margine di un'iniziativa editoriale a dir poco inopportuna.

La copia del "Mein Kampf" che da sempre conservo nella mia libreria e che ho davanti mentre scrivo è tra quelle stampate alla fine degli anni 30 dall'editore Bompiani. Le spese della prima edizione furono pagate da Mussolini stesso, ma anche quelle successive furono un buon affare perché acquistate e distribuite dal regime fascista, ansioso di compiacere l'alleato germanico che, lusingato, si prestò anche a scrivere alcune righe di prefazione. Sarei bugiardo se affermassi di aver letto tutto intero il tomo. L'ho sfogliato dedicando ovviamente una particolare attenzione alle pagine che riguardano il pensiero del caporione nazista in merito alla sorte dei sudtirolesi. So quanto basta comunque per potermi permettere alcune considerazioni, spero non inutili, sulla vicenda che in questi giorni ha riportato agli onori della cronaca un pessimo libro e il suo ancor più riprovevole autore.

L'ovvia premessa, tanto per non lasciar dubbi, è che l'operazione editoriale de "Il Giornale", il cui direttore ha deciso di distribuire il libro come allegato offerto a tutti i suoi lettori, non è solo riprovevole ma anche inutile e patetica. Riprovevole perché la giustificazione ufficiale, quella di dimostrare ai lettori carte alla mano l'orribile realtà del nazismo, fa acqua da tutte le parti. Ci sono intere biblioteche composte di opere imperniate proprio sul racconto dell'analisi degli orrori del nazionalsocialismo che potrebbero essere meglio utilizzate a tale scopo. È chiaro che dietro la giustificazione stessa c'è la strizzatina d'occhi alla platea di un certo credo politico con sottintesa ribalderia nell'aver ancora una volta violato le regole del "politically correct" in barba all'eterno nemico catto-comunista. L'operazione, tuttavia, è anche abbastanza insensata. Non solo perché, c'è da crederlo, non aiuterà ad invertire le declinanti fortune editoriali del quotidiano in questione, ma anche perché, svanita la bolla mediatica delle polemiche, le copie del libro vendute con questa trovata rimarranno probabilmente intonse, a prender polvere su qualche scaffale.

Proprio per averlo sfogliato posso confermare che, come ben più autorevolmente è stato scritto in questi giorni, il "Mein Kampf" è un libro bruttissimo, scritto molto male, confuso e confusionario. Adolf Hitler riuscì a dominare la Germania grazie alla sua personalità magnetica e ad un oratoria che ipnotizzava le masse, non certo per le sue doti letterarie. A differenza del suo maestro e sodale Benito Mussolini, che invece la penna la sapeva adoperare, il dittatore tedesco era completamente negato  per la pagina scritta. Le sue memorie e il suo programma, dettati durante un breve (purtroppo) periodo di detenzione sono degni di attenzione, quasi un secolo di distanza da quando furono composti, solo perché chi li ha scritti riuscì a trascinare il suo paese, l'Europa e il mondo in una folle cavalcata in un mondo pieno solo di violenza, di distruzione, di morte.

Il "Mein Kampf" non è dunque null'altro che un simbolo. Per questo la sua ripubblicazione, la sua diffusione suscitano ancora oggi inquietudine e ribellione specie da parte di quei popoli, come quello ebreo, che in quelle pagine rileggono all'infinito l'annuncio del più spaventoso delitto contro l'umanità mai compiuto.

Tutto questo è naturale e giusto. Noi giudichiamo l'opera con il senno di chi ha visto che cosa è stato capace chi l'ha scritta. Se tuttavia ci fermassimo ad inquadrarla semplicemente nel momento storico e nella realtà politica e culturale in cui fu scritta potremmo arrivare anche ad altre e non meno interessanti conclusioni.

Il libro non contiene nulla di originale. Le sue pagine propongono solo un affastellarsi di concetti politici e di analisi economiche e sociali che all'epoca erano di comune circolazione non solo nella Germania della Repubblica di Weimar ma in tutta Europa. Dalla carneficina della grande guerra il continente era uscito totalmente impoverito dal punto di vista economico, sconvolto sul piano sociale, percorso da fremiti rivoluzionari indirizzati,  sull'esempio della Russia bolscevica, al totale sovvertimento dell'ordine sociale. Di fronte a questo fenomeno si ergevano le barriere alzate dai ceti abbienti, disposti a organizzare qualsiasi tipo di resistenza, finanche la più violenta, pur di non soccombere. I demagoghi della destra populista, dal Portogallo alla Polonia, dalla Spagna all'Ungheria, dall'Italia alla Grecia sono l'avanguardia armata di questa reazione. Nel loro arsenale armi appuntite come l'insoddisfazione per le guerre perse o per i pochi vantaggi derivanti da quelle vinte, la frustrazione degli eroi la trincea ridotti alla normalità della vita civile, la rabbia sorda di chi, dopo anni di violenza autorizzata, non riesce a riadattarsi alle regole.

E poi, a cementare il tutto, c'è il nazionalismo trionfante. Roba vecchia ormai, nel primo dopoguerra. In Europa il veleno circola liberamente ormai da decenni. Grazie al plagio di concetti scientifici portati in auge dalla cultura positivista, anche alla sorte dei popoli si applicano le regole dell'evoluzionismo rilevate in natura. La storia, proclamano con toni enfatici tutti piccoli e grandi Hitler, è dura battaglia per la sopravvivenza e per la conquista di uno spazio adeguato allo sviluppo di ciascun popolo ( il "Lebensraum" hitleriano, il "posto al sole" di Mussolini e così via). Per vincere occorre essere più forti e determinati di tutti gli altri e la condizione necessaria è quella di formare, ad ogni costo, una massa compatta di individui votati ad un unico scopo e guidati da un unico capo. Ogni incrinatura può essere fatale ed è da questo concetto che nasce la ripulsa violenta non solo per l'esistenza, all'interno di uno Stato, e minoranze linguistiche o etniche diverse da quella dominante ma anche di individui singoli: i malati, i disabili.

Da questo concetto nasce la forma più feroce e definitiva di antisemitismo. Sia ben chiaro che, anche in questo caso, Adolf Hitler, nel suo libro e nella prassi politica che ad esso seguì non fa che rigurgitare un pastone di cui, all'epoca, si alimentava la cultura reazionaria di mezzo continente. Basti pensare alla caccia agli ebrei scatenata a cavallo tra otto e novecento nella Francia, di cui il celeberrimo caso Dreyfus fu solo l'episodio più eclatante. Basti pensare all'antisemita Karl Lueger, popolarissimo sindaco di Vienna in quegli stessi anni, al cui credo si deve essere forse abbeverato lo stesso giovane Hitler. E poi c'era, diverso nelle sue connotazioni ideologiche ma non meno potente e pericoloso, l'antisemitismo religioso. Non si pensi al credo ignorante di qualche parroco di campagna ancora votato al culto di santi inesistenti come il Simonino di Trento. Parliamo, all'epoca, delle avanguardie culturali della Chiesa. Le folate antisemite più violente arrivano dalle pagine della rivista dei gesuiti "civiltà cattolica" o dagli scritti di quel padre Agostino Gemelli del quale portano ancora oggi orgogliosamente il nome una grande università e un paio almeno di ospedali.

È da questa enorme massa di materiale che Adolf Hitler pesca confusamente i temi chiave del suo progetto politico in maniera altrettanto disordinata espone nel suo libro. Ripeto: se non fosse per quello che il suo autore ha fatto fra il 1933 e il 1945, il " Mein Kampf" non sarebbe più conservato nemmeno nelle biblioteche specializzate. Di opere come questa in quegli anni ne furono scritte a decine, quasi sicuramente migliori per stile e lucidità.

Tutto ciò ci porta, tuttavia, ad un'altra considerazione non meno importante. Se l'abborracciata ideologia nazista, non diversamente da quella fascista, da quella della Spagna di Francisco Franco, da quelle dei loro solerti imitatori, non è affatto originale ma deriva da spunti ideologici ben preesistenti, c'è il rischio, chiarissimo, che noi oggi corriamo quando accettiamo l'idea che nelle dittature di destra tedesca Europa del novecento venga racchiuso tutto il male, lasciandoci mondati ed assolti. Il nazionalismo, la teoria della purezza razziale dei popoli presupposto indispensabile perché essi occupino nel mondo il ruolo che la storia ha loro assegnato, la caccia ai "diversi" come ebrei, omosessuali, disabili, malati, zingari sono fenomeni ben precedenti all'ondata reazionaria che si scatena nel continente dagli anni venti in poi. Sono precedenti ad essa e ad essa purtroppo sopravvivono. Il trucco di far intendere che il male è annidato solo nelle vicende storiche di questi regimi, che si sono concluse che sopravvivono solo nell'esaltata fantasia di qualche gruppo di nostalgici, è un artifizio molto pericoloso perché viene utilizzato proprio da coloro che, sotto altre spoglie, ripropongono in chiave moderna antiche e malate suggestioni.

Tornando al "Mein Kampf", le pagine dedicate alla minoranza dei sudtirolesi, sono un esempio più che calzante di questo discorso. Adolf Hitler proclama la riunione sotto il simbolo della croce uncinate di tutti i popoli di madrelingua tedesca dispersi nell'Europa postbellica. Gli austriaci, suoi concittadini per nascita, prima di tutto, ma anche i tedeschi dei Sudeti, gli alsaziani. Lo scopo? Formare un popolo compatto nella sua realtà linguistica e culturale che può aspirare a conquistare tutto quello spazio geografico e politico che gli compete. La logica efferata del nazionalismo o, meglio detto, di quel patriottismo che, per citare Samuel Johnson, altro non è se non l'ultimo rifugio delle canaglie, ammette ed anzi impone delle vistose eccezioni. Se, per spianare la strada alla rinascita vittoriosa della Germania all'umiliazione del trattato di Versailles, si ritiene utile l'alleanza con l'Italia fascista, ecco che i diritti alla propria lingua, alla propria cultura, a poter coltivare l'una e l'altra sulla terra occupata da secoli, divengono per i sudtirolesi carta straccia, inutili orpelli da spazzar via senza un'ombra di rimorso. Ecco che i tedeschi a sud delle Alpi non devono solo essere ignorati nella trionfante ascesa patriottica del nazionalismo tedesco, ma devono essere fatti scomparire, come una macchia da cancellare sulla carta della nuova Europa. Ecco la radice delle opzioni forzate del 1939 in Alto Adige, come di quelle che vengono organizzate, negli stessi mesi e con le stesse modalità, negli Stati baltici. Uomini considerati bestie a spostare da un capo all'altro del continente, da reimpiantare nei territori conquistati. Questa la prassi storica del nazionalsocialismo, ma, come detto, le origini affondano ben più indietro nel tempo e fanno parte di una vicenda storica e politica che ha profondamente toccato, sin dalla metà dell'ottocento lo sviluppo di una terra di confine come la nostra.

Ecco perché il pericolo di ritenere che tutto il male sia condensato in dieci anni di storia tedesca come in vent'anni di quella italiana è enorme. Giustissima, in proposito, l'analisi di Ian Buruma, pubblicata sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Ci si scagli pure contro il revisionismo strisciante che propone la lettura di testi come il "Mein Kampf", ma senza dimenticare che le tossine che rendono abbiette quelle pagine sono le stesse che liberamente circolano nei nostri sistemi politici e che vanno a formare buona parte della cultura di terre di frontiera come quello in cui viviamo.

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Guido Gentilli Mi., 15.06.2016 - 10:34

Il livello raggiunto da certa stampa nazionale si commenta da solo.
Credo che queste disperate iniziative editoriali servano solo a far parlare di sé.
Il risultato non sarà quello desiderato di alzare le vendite, ma al contrario porterà ad un'ulteriore squalificazione e marginalità di un giornale che - ormai - di tale ha solo il nome.

Mi., 15.06.2016 - 10:34 Permalink
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pérvasion Mi., 15.06.2016 - 12:09

"Demnach waren es nationalsozialistische Konkurrenten oder Gegner Hitlers, die früh die Behauptung in Umlauf brachten, nicht einmal führende Parteimitglieder hätten die Geduld gehabt, dieses angeblich schlecht geschriebene und törichte Buch zu lesen. Nach 1945 wurde dies zu einem wichtigen Punkt des Rechtfertigungsdiskurses: Man habe dieses Buch nicht gelesen, weil es praktisch nicht lesbar sei - stilistisch ungenießbar, inhaltlich konfus und von unerträglicher Monotonie."

http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/buecher/eine-lektuere-von-mein-ka…

Mi., 15.06.2016 - 12:09 Permalink
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Mensch Ärgerdi… Mi., 15.06.2016 - 14:37

Il livello del giornalismo in Italia può essere dedotto dalla trasmissione sulla "moschea" di Bolzano:
http://www.video.mediaset.it/video/dallavostraparte/full/martedi-14-giu…
Tenendo a mente che Hitler riempiva le sue sale in buona parte con disoccupati, ubriaconi e tutto quello che una prima guerra mondiale persa aveva prodotto e noi oggi in confronto viviamo nel lusso, c'è veramente da preuccuparsi.

Mi., 15.06.2016 - 14:37 Permalink