Società | intervista

Primo giorno di scuola

I dati e le sfide della scuola altoatesina di lingua italiana. Oltre ventimila alunni, più di mille classi. I fiori all’occhiello: il plurilinguismo e l’integrazione. Intervista al direttore di ripartizione Renzo Roncat.
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Foto: Mauro Franceschi

5 settembre, primo giorno in aula. La scuola di lingua italiana conta 20.025 iscritti (di cui 3.051 nelle scuole dell’infanzia), distribuiti in più di mille classi nei diversi circoli didattici, istituti comprensivi e istituti superiori. Il dato ricalca più o meno quello dell’anno scorso, benché negli ultimi tempi si sia registrato un aumento costante del numero degli alunni.

Renzo Roncat è direttore di ripartizione all’Intendenza scolastica italiana.

Quella altoatesina sembra una scuola in buona salute. Sono finiti i tempi dei cali numerici e della chiusura di classi e sezioni?
La gestione delle classi è legata all’organico che noi forniamo alle scuole e che a sua volta dipende dal numero degli alunni. Si calcola un insegnante ogni 20 ore di lezione. Dopo di che le scuole, nella loro autonomia, formano le classi, gestiscono il cosiddetto “organico funzionale”. Questo fa sì che in media abbiamo classi di venti alunni.

Dappertutto?
No, è chiaro che ci sono delle classi più numerose e altre meno. È il caso delle scuole dei centri minori dove si vuole comunque garantire l’offerta formativa relativa a determinati indirizzi anche con classi, ad esempio, di 12 alunni. L’organico degli insegnanti si compone di 1.840 unità (dalle elementari alle superiori) e questo, come dicevo, ci consente di avere classi composte in media di venti alunni.
Diciamo che la soglia minima per partire è di 15 alunni, ma si fanno delle eccezioni di natura geografica. Poniamo il caso di Dobbiaco: lì i numeri possono essere molto risicati. Quindi per queste realtà c’è un’attenzione particolare, per consentire alle scuole di fare il loro lavoro.

È una precisa scelta politica…
Da sempre c’è quest’attenzione. Lo dice anche la nostra normativa. Si prevedono deroghe se le distanze consigliano di mantenere in certe località una certa offerta formativa.

Il plurilinguismo è davvero un punto forte della scuola italiana in Alto Adige?
Certo. Abbiamo lavorato parecchio sulle basi curriculari. Ovunque c’è stato un potenziamento del tedesco e dell’inglese, introducendo la didattica veicolare delle discipline. Cioè si usa il tedesco e l’inglese per insegnare geografia o arte, ad esempio. Rispetto ad altre realtà è macroscopica la presenza delle altre lingue.

Quindi l’affermazione “andiamo verso una scuola trilingue” non è solo uno slogan…
No, anzi, è un impegno quotidiano. Costa lacrime e sangue perché è anche un grosso impegno finanziario. Nelle primarie assumiamo docenti di madrelingua tedesca anche per l’insegnamento di altre discipline. Pure per l’inglese cerchiamo di avere docenti titolati. Pensiamo poi all’insegnamento precoce delle seconda lingua nelle scuole dell’infanzia… No, non è uno slogan ma una realtà tangibile.

In questo settore come sono evoluti i rapporti con la scuola tedesca?
I rapporti e i gemellaggi tra le scuole sono in costante aumento. Anche la scuola tedesca si è resa conto del bisogno formativo del relativo gruppo nell’apprendimento della seconda lingua. Riceviamo richieste e proposte con sempre maggiore frequenza.

Quali sono i punti deboli della scuola altoatesina?
Più che punti deboli vedo obiettivi di innovazione. Cioè si tratta di avere una prospettiva. L’innovazione è una necessità in tutti i settori. La scuola deve fare la sua parte su questo piano. I traguardi di innovazione per noi sono le competenze ad ampio raggio e la maggiore preparazione degli studenti ad affrontare la vita, il lavoro, le nuove sfide. Non solo una trasmissione di nozioni, ma l’attivazione delle risorse personali, la partecipazione intelligente e consapevole alla vita sociale. Ciò vale soprattutto per la scuola superiore che non deve essere separata dalle altre esperienze della vita. Il nostro Servizio innovazione e buone pratiche serve a questo. Naturalmente non è uno specifico altoatesino. Ci si riflette in tutta Europa.

La presenza di ragazzi stranieri è in aumento? Nella scuola italiana l’anno scorso erano più del 22 per cento, la metà dei quali nati all’estero…
Sì, ma anche la scuola tedesca comincia ad avere un incremento di questa presenza. I centri linguistici, per i quali si è raddoppiato il finanziamento, sono una risposta efficace e necessaria. Il loro scopo è il miglioramento delle competenze linguistiche dei ragazzi stranieri. Poi nelle scuole ci sono i programmi specifici e ovunque c’è un referente per l’integrazione che si coordina coi centri linguistici.
Negli ultimi 15 anni diciamo pure che l’attenzione a questi alunni è stata enorme. I risultati si vedono con una integrazione reale, ad esempio a Bolzano, nel mondo associativo e del lavoro. È uno dei fiori all’occhiello della nostra realtà formativa.

Si è parlato ultimamente di abbandoni scolastici. Il fenomeno è rilevante?
Diciamo che l’abbandono di chi è ancora in età di obbligo formativo o scolastico riguarda parecchie decine di studenti. Non abbiamo dati sufficienti, in particolare a riguardo degli esiti di questo abbandono. In prima superiore la percentuale di chi non passa all’anno successivo è di circa il 25 per cento. Ci vuole però una sorta di anagrafe personalizzata per capire le ragioni del fenomeno e farvi fronte. Il problema va indagato seriamente. Va prevenuto ad esempio sul piano dell’orientamento scolastico e degli stili didattici, non sempre adatti una certa tipologia di adolescente. In ogni caso anche qui non siamo di fronte ad uno specifico altoatesino, ma ad un problema presente a livello nazionale.