Società | estremismo

“Il problema non sono i giovani”

L’osservatorio dello Streetwork dice: situazione apparentemente tranquilla, ma terreno fertile per nuovi episodi di violenza. L’antidoto? Un lavoro serio e onesto di tipo culturale, a partire dal mondo degli adulti.

“Rispetto all’estremismo politico la situazione nel Meranese oggi è tranquilla. Non ci sono particolari manifestazioni. Tuttavia la mia percezione è che nuove situazioni di violenza fioriranno presto, perché il brodo di coltura che può produrle è molto fertile e non si trova il modo di farvi fronte”. A dirlo senza mezzi termini è Salvatore Cosentino, direttore pedagogico del team degli streetworker di Merano. “Noi vediamo un netto calo dell’inibizione rispetto all’uso della violenza come metodo di risoluzione di ogni problema”. La vera questione in ogni caso, fa capire Cosentino, non sono i ragazzi, ma il mondo che essi ricevono dagli adulti.

Lo Streetwork (“mobile soziale Jugendarbeit) è nato negli Stati Uniti oltre mezzo secolo fa, è stato poi applicato alle periferie delle città tedesche ed è arrivato a Merano da alcuni anni, proprio sull’onda degli eventi legati all’estremismo neonazista.

“Ma non è questo il nostro obiettivo principale”, sottolinea Cosentino. Gli streetworker per prima cosa si rendono presenti nei luoghi dove sanno di trovare giovani dai 12 ai 25 anni. La sera, ad esempio, davanti a un locale, a una discoteca, a un pub. Oppure di giorno in un parco, alla fermata dell’autobus, fuori dalle scuole. “Questo serve per conoscere le persone. Per parlare con loro. Il nostro obiettivo iniziale è costruire una relazione con le singole persone. Dobbiamo individuare coloro che vivono un disagio ma sfuggono alle maglie dell’aiuto strutturato”.

Una volta individuati questi anelli deboli della catena sociale, gli operatori si rendono disponibili ad un accompagnamento. Non forzano nessuno, ma indicano una possibile strada da percorrere. “In questo modo riusciamo a conoscere le persone e il loro ambiente. Riusciamo a costruire una relazione di fiducia che diventa per loro una risorsa”.

È proprio grazie a questo lavoro che gli streetworker possono a cogliere meglio di altri ciò che si agita nell’aria o ciò che cova sotto la cenere. Per quanto riguarda i simpatizzanti naziskin, tecnicamente si tratta di un “gruppo di interesse”. “Sono persone molto giovani... sarà meglio distinguere tra l’ideologia vera e propria e quello che è il ribellismo adolescenziale. Poi magari ci sono adulti che strumentalizzano la situazione. Come educatore penso che in passato c’è stata una eccessiva focalizzazione dello streetwork su questo tema”.

“Verifichiamo quanto poco questi ragazzi abbiano occasione di confrontarsi sui temi tipici dell’estremismo, ad esempio l’odio per gli stranieri”, racconta Cosentino. “Vengono subito marchiati, ma nessuno si prende la briga di discutere con loro della questione. Nessuno li ascolta. Loro, certo, dimostrano di essere molto ignoranti, hanno un background di storia e cultura quasi nullo. Parlano, ma in realtà non sanno niente di ciò che stanno dicendo. Questo anche, appunto, perché nessuno li ascolta e si confronta con loro”.

Salvatore Cosentino svolge questo lavoro da alcuni anni. Davvero la situazione, dopo i picchi del 2009, ora è tranquilla? “Diciamo che gli aspetti più eclatanti, ad esempio una marcia in piazza, si vedono meno. Chi cerca queste cose va all’estero. Qui invece si comporta in modo non appariscente. Se invece parliamo di un estremismo che si pone sulla soglia del radicalismo estremo, beh quello è molto presente. Ad esempio la xenofobia è decisamente diffusa. Però siamo onesti: non solo tra i giovani. In tutte le fasce d’età. I ragazzi perciò non ne sono esenti e non ne percepiscono la gravità. Noi lo vediamo ogni giorno: qualsiasi piccola rissa degenera subito in un discorso del ‘noi’ e ‘loro’. In questo momento il terreno è molto fecondo per la crescita di erbaccia di questo tipo”. “Noi stessi siamo sorpresi di incontrare di giorno i ragazzi molto lucidi e aperti e poi la sera, gli stessi, in un altro contesto, completamente chiusi. Sembrano altre persone. Certo, c’entra molto il consumo di alcol e di sostanze, che altera la percezione delle persone e i comportamenti”. Viene fuori quello che c’è nella pancia, insomma… “Sì, la cultura di base, quello che si assorbe a casa o nei posti dove si vive normalmente…”

Tutto questo da dove viene? Cosentino ha un sorriso amaro: “Forse da trent’anni di cultura che impone questo tipo di mentalità?” Vuole dire una cultura dominata dal mercato, dalla logica dei consumi, con un modo subdolo di intendere la libertà, di negare la responsabilità, il rispetto delle regole e delle istituzioni, di vivere le relazioni con gli altri in termini utilitaristici.

“I ragazzi crescono con la percezione che non possano esistere altri metodi che il farsi strada con la forza, ai danni degli altri. C’è una diffusa mancanza di fiducia nelle istituzioni e l’idea che sia inutile rivolgersi alle forze dell’ordine. Ma tutto questo viene dal mondo degli adulti…”

La risposta, al di là dei casi singoli, è in un lavoro di tipo culturale? “Indubbiamente. È l’unica cosa che ci potrebbe salvare, cioè che potrebbe cambiare realmente le cose”. 

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Oskar Egger Ven, 12/27/2013 - 09:06

Non sono d' accordo, almeno per una gran parte. Il vittimismo non giova nel modo piú assoluto. Mai come ora i giovani sono cresciuti accuditi ed anche viziati, mai nella storia sono stati risparmiati (almeno nelle nostre terre) da guerre, carestie, malattie e male sorti. Mai come in quest' epoca i loro diritti sono al di sopra di ogni altra esigenza sociale, mai come ora i loro interessi stanno al primo posto degli interessi della collettivitá. Mai come ora il dovere/piacere di diventare adulti é tra gli ultimi obiettivi da raggiungere. Invece di trovare la colpa del disagio nel mondo che li circonda, non sarebbe piú utile, far leva sulle proprie giovani e fresche energie per creare qualcosa di nuovo?

Ven, 12/27/2013 - 09:06 Collegamento permanente