Società | Nuovi cittadini

Cleophas Adrien Dioma: “I clandestini non esistono”

Intervista al fondatore del festival Ottobre Africano di Parma e curatore della rubrica “Italieni” su Internazionale
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Foto: Ufficio Stampa FCS - Foto Bordoni

Il giornalista e scrittore di origine burkinabe Cleophas Adrien Dioma sarà il 10 luglio a Bolzano per la tappa inaugurale della Carovana della Libera Circolazione promossa dal Centro Pace del Comune di Bolzano e dalla Rete per i diritti dei senza voce. L'appuntamento è per le ore 18 nello spazio antistante il Café Museion, dove si susseguiranno testimonianze di immigrazione e musiche eseguite dal gruppo multietnico Arcomai di Merano. 

Cleophas Adrien Dioma: oggi in Italia sono presenti comunità di stranieri molto significative come numero, come quelle degli albanesi, rumeni e peruviani. Ma significative sono anche le comunità provenienti dal continente africano, con in testa i nuovi cittadini provenienti da corno d'africa, Maghreb ed Africa occidentale. Quanto è importante il ruolo delle di queste comunità nella prospettiva dell'integrazione dei singoli?
Cleophas Adrien Dioma - Io penso che le comunità vadano organizzate perché hanno un ruolo importante non soltanto per consentire ai nuovi cittadini interagire di interagire con la loro nuova realtà ma  anche nella prospettiva dell'accoglienza dei nuovi arrivati. E' chiaro che uno che arriva dal Burkina Faso è la prima cosa che fa è proprio quella di andare a cercare e quindi ad appoggiarsi alla propria comunità, per riuscire a trovare casa, lavoro, ed avere i documenti a posto. Il ruolo della comunità insomma dovrebbe essere quello di facilitare, accogliere e accompagnare il nuovo immigrato sul territorio.

La crisi economica acuisce le tensioni sociali attraverso meccanismi xenofobi che portano spesso a mettere in collegamento i problemi con la presenza degli immigrati (“ci rubano la casa e il lavoro!”). Qual è il miglior antidoto per contrastare questi meccanismi?
La legge Bossi Fini è una legge pericolosa. Prevede che il tuo permesso di soggiorno sia legato al tuo lavoro e se non lavori sei automaticamente clandestino. Provoca una situazione drammatica e dobbiamo evitare di avere leggi che vanno a creare alla gente più problemi che soluzioni degli sessi. Bisogna poi fare cultura, organizzare incontri e confronti tra le comunità. Perché più si conosce una cosa e più c'è la possibilità che si esca dal meccanismo “tu mi hai rubato casa e lavoro”.
C'è poi un altro grosso problema legato alla seconda generazione. Un ragazzo che nasce e cresce in Italia a 18 anni può anche ritrovarsi clandestino. Io lavoro molto con i ragazzi e c'è un ragazzo ghanese che un giorno mi ha detto: “Mio papà ha costruito una casa molto grande in Ghana, ma io non voglio emigrare lì”. Questo per dire che per questo ragazzo nato in Italia e vissuto qui, andare in Ghana è immigrare. Lui e il padre non vivono il tornare in Africa allo stesso modo.

Quanto sono utili le consulte immigrati che sono state attivate in molti comuni tra cui Bolzano?
Io sono onestamente contrario, penso che si debbano invece valorizzare le persone che si mettono in gioco.La consulta ha un difetto iniziale: è vero che è democratica perché  prevede l'elezione diretta, ma il problema è che l'albanese vota l'albanese, il marocchino il marocchino e via dicendo. Insomma: sono le persone che fanno le cose, non le comunità.

Lei è giornalista, scrittore e poeta. Qual'è lo spazio in Italia affinché i nuovi cittadini si possano affermare anche nei due ambiti giornalistico e artistico?
E' una lotta. Io da 4 anni collaboro con la rivista Internazionale per la realizzazione di una rubrica che si chiama “Italieni”. Siamo davvero in pochi però a riuscire a farcela.

Il fatto che la parola migranti abbia sostituito la parola clandestini nel linguaggio comune  è secondo te solo un cambiamento di facciata o un vero e proprio cambio di mentalità delle persone?
Le parole hanno la loro importanza e la parola “immigrato” ha un peso diverso rispetto a “clandestino”. In particolare è fondamentale riuscire a non utilizzare più la parola “clandestino”. Questo perché per definizione il clandestino “non esiste”, è una persona che si nasconde e della quale non si ha la minima considerazione. Noi che arriviamo qui abbiamo invece tutti una nostra storia, un nome e un cognome, ed ognuno sta facendo un suo percorso.

Il Maghreb e il mondo arabo stanno vivendo giorni drammatici, dopo la grande speranza suscitata solo 2 anni fa dalle primavere arabe. Come vivete questi avvenimenti?
Quando abbiamo visto quello che stava succedendo due anni fa in medio oriente, noi dell'Africa nera eravamo felici e abbiamo sperato che questo movimento potesse essere contagioso. I cambiamenti sono spesso difficili e brutali, speriamo che piano piano si aggiustino le cose e che torni la democrazia.