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Zelig, gli artigiani del documentario

Conversazione con Ferruccio Cumer, ex professore di lettere, appassionato di cinema e di didattica e presidente della scuola di documentario che da venticinque anni rappresenta un fiore all’occhiello nell’ambito della formazione professionale altoatesina.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Via Brennero. Fuori piove. Alcuni ragazzi sono raccolti sotto una tettoia, parlano in inglese, qualcuno fuma. All’interno, un signore dai capelli bianchi è al centro di un capannello di persone e spiega qualcosa in modo un po’ concitato. Ma sorride.

E’ con la trepidazione di un “padre precario” che Ferruccio Cumer, presidente della cooperativa ZeLIG, racconta la storia venticinquennale dell’omonima scuola professionale di documentario, televisione e nuovi media. Una trepidazione dovuta essenzialmente a questioni di carattere finanziario, visto che i costi molto elevati di gestione – “i materiali che usiamo sono generalmente cari e soggetti a rapida obsolescenza” – dovevano e dovranno essere sempre coperti di volta in volta, senza cioè avere mai la sicurezza completa di poter guardare molto oltre l’anno scolastico che ogni volta si è riusciti ad impostare.

“La cooperativa – ricorda Cumer - è stata fondata alla fine degli anni Ottanta da un piccolo gruppo di persone che si occupavano a vario titolo di cinema e televisione. Io posso essere considerato uno dei soci fondatori, ma non ero uno degli ideatori. Tra i soci attuali vorrei citare Lorenzo Paccagnella, che è stato l’anima di questo gruppo iniziale e rimane una delle colonne portanti della scuola, assieme alla nostra instancabile Heidi Gronauer”. La scuola in realtà era in origine solo uno dei progetti messi in cantiere dalla cooperativa. Quasi immediatamente, però, è diventata l’impresa che ha assorbito le energie maggiori. Ed è proprio per poterla far crescere che il problema finanziario al quale accennavo è diventato stringente: “In una prima fase abbiamo lavorato con il Fondo sociale europeo, poi fortunatamente siamo stati riconosciuti dalla Provincia, dai due assessorati di lingua tedesca e italiana alla formazione professionale, e così abbiamo potuto usufruire di un finanziamento appropriato. Ma di recente i presupposti sono mutati, la legislazione europea ha imposto alla Provincia che il finanziamento venisse ratificato in base ad un bando. Adesso posso dire che siamo stati a un passo dalla chiusura. Poi, fortunatamente, abbiamo partecipato al bando e vinto. Così abbiamo ottenuto l’incarico per altri tre anni, sufficienti a farci stare tranquilli per tutta la durata del prossimo corso. Alla fine dei prossimi tre anni dovremo probabilmente partecipare a un altro bando e continuare a sperare. Rimango comunque fiducioso”.

Cumer desume questa fiducia dalla qualità dell’insegnamento e dai risultati conseguiti dagli allievi della scuola: “Mentirei se non affermassi con orgoglio che è proprio la qualità il vettore che ci ha permesso di arrivare dove siamo. Se dovessi rispondere alla domanda sul perché abbiamo sempre potuto contare su un cospicuo numero di partecipanti alle selezioni dei nostri corsi, mi vengono in mente numerose cose. Per esempio la possibilità di apprendere i contenuti in tre lingue – italiano, tedesco ed inglese –, ma anche la preparazione dei professionisti che scelgono di lavorare con noi, l’altissima percentuale di allievi che dopo aver finito la scuola riescono a trovare quasi subito un impiego, e ovviamente il riconoscimento ottenuto ai vari concorsi, i premi vinti, le attestazioni di stima provenienti da istituzioni che magari consigliano la visione di alcuni nostri film (è successo a proposito di “Wie ich bin”, un documentario basato sulla storia di un ragazzo autistico, consigliato da una delle più importanti associazioni bibliotecarie statunitensi)”.

Gli allievi, le trenta persone provenienti da vari paesi che frequentano il corso, sono in genere ragazze e ragazzi compresi tra un’età di 20 e 30 anni. “Le condizioni per iscriversi – spiega Cumer – sono queste: possesso di un diploma di scuola superiore, meglio una laurea, e disponibilità ad apprendere le lingue che vengono parlate durante l’attività didattica. Tutti, alla fine del corso, padroneggiano almeno due lingue e possiedono ottime conoscenze passive di una terza. Requisiti ideali, per poi intraprendere la carriera della quale stiamo parlando”. Cumer ci tiene molto poi a precisare che l’orientamento professionale, l’artigianato, pur se in primissimo piano (“da noi non arrivano docenti universitari, ma persone coinvolte attivamente nel mestiere e interessate a mostrare come lo si può svolgere al meglio”), non esclude, anzi per certi versi implica una formazione culturale a tutto tondo: “Ai nostri allievi offriamo perciò anche corsi di storia ed estetica della pratica documentaria”.

Il percorso di studio prevede che nel primo anno si acquisiscano competenze nell’ambito delle riprese, del montaggio, della regia e ricerca del soggetto. Queste sono le competenze di base. Poi il secondo anno comincia la specializzazione vera e propria, culminante - il terzo e ultimo anno – con la produzione di un film. “La cura del prodotto finale – così Cumer – è pienamente nelle mani dei ragazzi. Sono loro che devono scegliere un argomento, selezionare i collaboratori e organizzare tutto ciò di cui hanno bisogno per girare”. Il soggetto è perlopiù individuato con la massima libertà, anche se temi di carattere etnografico, sociale ed economico sono quelli più comuni. Ma il fatto che la Provincia risulti determinante per il finanziamento obbliga gli studenti a tenere sempre conto del contesto ambientale? “No, questo in realtà non accade, in realtà è quasi inevitabile che un po’ della nostra terra e del nostro paesaggio filtri, come sfondo, in alcune delle nostre produzioni. E sicuramente la Provincia ha piacere che vengano girati film attinenti al nostro territorio. Ma non esistono assolutamente pressioni in tal senso, e alla fine ognuno è libero di concentrarsi sulla storia che preferisce”.

Alla fine della nostra chiacchierata le note positive hanno completamente diluito quel velo di amarezza che all’inizio, ricordando le difficoltà del finanziamento, si erano intonate alla mattinata di pioggia nella quale è stata fatta questa intervista. “Sì è vero, l’unica cosa che ci manca, in fondo, è la sicurezza. Ma continuando a lavorare come abbiamo fatto non voglio credere che in futuro i problemi o le trepidazioni riusciranno mai a superare le soddisfazioni, che infatti sono state già moltissime”.

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Elena Covi Ven, 01/17/2014 - 16:07

Bellissimo esempio di cooperativa di successo in Alto Adige, dalle parole di Cumer traspare una grande passione, come del resto quella degli altri fondatori, che ho avuto il piacere di conoscere, e di tutto il team della Zelig.
Congratulazioni e in bocca al lupo per il futuro!

Ven, 01/17/2014 - 16:07 Collegamento permanente