Politica | Indipendenza

Selbstbestimmung? Of course!

L’autodeterminazione futuribile concepita dalla Volkspartei è molto diversa da quella dei partiti della destra sudtirolese che la vorrebbero praticare fin da subito.

Alle ultime elezioni provinciali i partiti della destra tedesca che innalzano, nel loro programma, la bandiera del separatismo dallo Stato italiano hanno ottenuto oltre 78.000 voti, pari a più del 27 per cento dei voti validi espressi. A questa massa di consensi vanno aggiunti anche quelli ottenuti dal Movimento 5stelle che, pur non sostenendo l'ipotesi politica del distacco dall'Italia, è favorevole all'esercizio del diritto all'autodeterminazione.

Basterebbe questo dato numerico per imporre all'attenzione il tema dell'autodecisione, ritornato di stretta attualità in questi giorni con la vicenda del referendum scozzese.
Vale la pena, dunque, di recuperare alcune annotazioni di carattere storico sul percorso che la richiesta della "Selbsbestimmung" ha compiuto, nel quadro della questione altoatesina. 

La data di nascita è unica: i soldati italiani hanno appena fatto il loro ingresso a Bolzano, nel novembre del 1918, e già i sudtirolesi, paventando l'annessione, chiedono di poter decidere nelle urne la loro sorte. Una richiesta che non è presa in considerazione dai vincitori né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale. L'unico tragico simulacro di consultazione cui la popolazione altoatesina viene chiamata è quello, ben diverso, delle opzioni del 1939. 

Tutte le ricostruzioni storiche coincidono nell'escludere che, sia dopo il '18 sia nel secondo dopoguerra, l'idea di permettere un referendum sull'autodecisione in Alto Adige sia stata anche solo presa in considerazione. Ad impedirlo considerazioni diverse tra cui quella, probabilmente decisiva, che imponeva di non creare pericolosi precedenti in un'Europa la cui carta era e resta piena di zone abitate da minoranze etniche e linguistiche.

Arrivò invece l'autonomia, con il testo dell'accordo di Parigi e, da quel momento in poi, la questione dell'autodecisione ha assunto, in Alto Adige, un carattere del tutto particolare.
Dal 1946 in poi i politici della Suedtiroler Volkspartei hanno affrontato il tema dell'autodeterminazione con un approccio praticamente immutabile nel tempo, una sorta di "mantra" ripetuto sino allo sfinimento nei documenti ufficiali dei congressi annuali, nelle risoluzioni politiche, nelle dichiarazioni rese a Bolzano, a Roma, a Vienna. Diverse, nel passare del tempo, le parole, ma identica la sostanza, che può essere sintetizzata con le seguenti due affermazioni. 

"L'aver accettato l'autonomia politica nell'ambito dello Stato italiano non significa che i sudtirolesi abbiano rinunciato al diritto all'autodeterminazione.” 

“Questa scelta politica non è oggi attuale, ma potrà essere invocata in ogni momento se le circostanze lo richiederanno."

La prima frase dell'enunciato non ha bisogno di troppi commenti. 
L'unica cosa da notare è che essa sottintende un dato che spesso sorprende gli osservatori esterni. L'autonomia che le minoranze tedesca e ladina hanno reclamato e per la quale hanno combattuto viene vissuta in termini emotivi come una soluzione di ripiego e compromesso. Ecco perché, tra l'altro, è così difficile, a Bolzano, festeggiare l'anniversario del "De Gasperi Gruber".

E' sicuramente  più complesso interpretare la seconda frase. 
Gli esponenti della SVP, da Magnago in poi, hanno sempre riconosciuto che parlare di autodeterminazione è assai poco realistico , in specie dopo gli accordi di Helsinki sulla sicurezza europea e l'intangibilità delle frontiere, dopo l'entrata dell'Austria nell'Unione, l'introduzione della moneta unica e l'abolizione dei confini. Meglio dunque puntare su un ampliamento dell'autonomia tale da farla divenire una sorta di autogoverno quasi totale. 
Resta da capire quali sono le circostanze particolari che giustificherebbero invece il ritorno alla richiesta di autodeterminazione. Su questo non c'è mai stata molta chiarezza anche perché in passato l'argomento è stato utilizzato in modo, per così dire, creativo. 

Era il 1974 quando il senatore Peter Brugger, esponente di vertice dell'ala più intransigente del partito, dichiarò in una celebre intervista rilasciata al quotidiano l'Adige, che la SVP avrebbe dovuto chiedere l'autodeterminazione se il Partito Comunista Italiano avesse vinto le elezioni e fosse andato al potere.
L'evoluzione delle vicende storico politiche non ha permesso di mettere alla prova questa ipotesi e alla fine il partito della stella alpina ha trovato ottime forme di convivenza politica sia con gli eredi di Togliatti sia, anche se con minor enfasi, con quelli di Almirante.
Si può allora immaginare che i casi nei quali i sudtirolesi potrebbero in futuro reclamare la "Selbsbestimmung" sono sostanzialmente due.

Il primo, il più ovvio e tradizionale, è quello nel quale uno Stato italiano, improvvisamente travolto da un vortice assoluto di centralismo revocasse improvvisamente tutte le istituzioni autonomistiche e le relative garanzie. Non si sta parlando, è bene chiarirlo, del perenne conflitto a bassa intensità sull'entità dei bilanci provinciali o sui limiti di qualche competenza, ma di una vera e propria cancellazione dell'autonomia in quanto tale.

La seconda ipotesi è quella, che nel corso degli ultimi anni è divenuta meno remota di un tempo, di un improvviso crollo dello Stato italiano in quanto tale, provocato magari da un default finanziario, sollecitato e ampliato dalle tensioni secessioniste di una parte delle regioni settentrionali.

È per questo che, in casa SVP, le pulsioni separatiste presenti soprattutto nel Veneto sono state osservate da molto lontano e senza coinvolgimenti di alcun genere ma con estrema attenzione. In questa chiave anche la costruzione dell'euro regione tirolese è sempre stata considerata come una sorta di utile paracadute per il futuro. Anche la tanto discussa proposta di dotare tutti i sudtirolesi di passaporto austriaco va considerata come un passaggio utile, in caso di eventi politicamente catastrofici, a facilitare possibili cambiamenti.

È su questo piano che l'autodeterminazione futuribile concepita dalla Volkspartei s'incontra e anzi si scontra con quella che i partiti della destra sudtirolese vorrebbero praticare ora e subito.
Non è inutile, forse, ricordare che sino alle elezioni provinciali del 1983, nell'assemblea altoatesina non venne mai eletto nessun rappresentante di forze apertamente schierate a favore dell'autodecisione. Da allora quest'area politica non ha fatto che allargarsi. Il clamoroso successo dell'ultima consultazione è spiegabile con l'assommarsi di due correnti di pensiero politico: la prima, quella tradizionale, è rappresentata fisicamente da Eva Klotz, seguace senza compromessi del pensiero per il quale è intollerabile che da un secolo si prolunghi la sudditanza dei sudtirolesi allo Stato italiano. La seconda, figlia della crisi economica di questi ultimi anni, appartiene a chi giudica semplicemente scandaloso che l'Alto Adige continui a essere governato da uno stato inetto e corrotto come quello italiano. Sono fenomeni come questo ad aver portato al riemergere prepotente del secessionismo varie parti d'Europa, dalla Catalogna alla Scozia.

Resterebbe, volendo, qualcosa da dire sull'autodeterminazione e gli italiani dell'Alto Adige. Qui occorre fare i conti con alcune credenze di una banalità incredibile che circolano non solo sui forum di Internet, moderni eredi delle "chiacchiere da bar" ma che si ritrovano anche nelle analisi di qualche giornalista o commentatore. La prima è quella secondo la quale molti italiani ormai sarebbero pronti a dare il loro voto per il distacco da uno Stato italiano considerato ormai decotto. La seconda, eguale e opposta al tempo stesso, vuole che invece sarebbero i sudtirolesi se chiamati al voto a non aver nessuna voglia di lasciare l'Italia e i suoi ricchi finanziamenti.

Affermazioni a dir poco superficiali per una ragione semplicissima. Se un domani si andasse veramente a votare sul tema dell'autodeterminazione altoatesina, ciò avverrebbe, come abbiamo visto sopra, in una situazione drammatica dal punto di vista geopolitico e dopo indicibili tensioni e contrapposizioni etniche. Sarebbe una sorta di ultima spiaggia nella quale ben poco resterebbe di quel che oggi si pensa e si dice.
È anche per questo che, forse, è meglio augurarsi che non vedere mai quella scheda e quelle urne.