Politica | Mondi in movimento

Immigrazione: tra politiche e umanità

Intervista con Cristina Franchini, responsabile relazioni esterne e comunicazioni UNHCR Italia
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Si sono concluse sabato 24 settembre a Castel Mareccio a Bolzano le “Giornate della cooperazione allo sviluppo: Mondi in movimento” che hanno visto il coinvolgimento di importanti personalità nel panorama della cooperazione allo sviluppo. Grazie alla stretta collaborazione con le Botteghe del Mondo Alto Adige, noi di Legacoopbund abbiamo avuto la fortuna di incontrare Cristina Franchini, che si occupa di relazioni esterne presso l’ufficio regionale di Roma dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). In Italia la questione dei rifugiati è ormai un tema all’ordine del giorno, incontrare la dottoressa Franchini non è stata solo una grande opportunità ma anche l’occasione per fare un po’ di chiarezza su alcuni aspetti riguardanti questo fenomeno.

L’avventura di Cristina Franchini con UNHCR inizia nel 2007 come Protection Officer, l’area legale destinata alla protezione dei rifugiati. In seguito, ha lavorato all’interno delle Commissioni territoriali per la valutazione delle domande di asilo per poi iniziare ad occuparsi delle relazioni esterne. Coinvolta al cento per cento nella questione dell’immigrazione in Italia, Cristina Franchini sembra positiva riguardo al numero dei richiedenti asilo nel corso del 2016: l’anno scorso nello stesso periodo si contavano 132 mila arrivi contro i 130 di quest’anno. Contemporaneamente si è registrato un aumento dei posti di accoglienza che oggi sono 158 mila. Questo rispecchia lo sforzo del governo nel garantire un’assistenza adeguata.

Il 19 settembre si è tenuto a New York il Summit delle Nazioni Unite sui Rifugiati e i Migranti durante il quale il Premier Matteo Renzi ha ribadito la mancanza di sostegno da parte dell’Unione Europea sulla questione dell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati e dichiarato che “l’Italia farà da sola”. Non è la prima circostanza in cui si sente parlare della distanza dell’UE su questo fronte. Sarebbe opportuna una maggiore europeizzazione dell’emergenza accoglienza? A questa domanda, Cristina Franchini risponde dicendo che “il meccanismo della solidarietà è importante anche a livello di stati dell’Unione Europea. Quello che si è evidenziato a livello globale durante il Summit di New York, è stato proprio l’incentivo ad applicare il principio solidaristico, che è anche alla base della Carta delle Nazioni Unite. Il punto centrale da considerare è la presenza di un alto numero di rifugiati nel mondo, che vede particolarmente coinvolti gli stati limitrofi alle zone di crisi. Il principio di solidarietà prevede però che questi stati non vengano lasciati soli nell’affrontare il problema, ma che ci sia un maggior coinvolgimento e una maggior cooperazione tra stati.” Questo principio, secondo Cristina Franchini, ha portato ad un aumento di fondi a livello globale per garantire maggiori aiuti umanitari e anche in Italia è previsto un aumento del 30% per gli aiuti alle emergenze. Inoltre l’ampliamento delle quote di accoglienza per i rifugiati permetterà agli stati di ospitarne un maggior numero in modo da evitare che queste persone cadano, ad esempio, nelle mani di trafficanti. Un’altra questione sulla quale l’UNHCR e il governo italiano stanno cooperando è la risoluzione del problema dei minori non accompagnati.  Si sta infatti cercando di potenziare questo aspetto ed applicare efficacemente la normativa italiana relativa all’inserimento di minori non accompagnati, affinché si possa garantire a questo gruppo particolarmente vulnerabile una protezione specifica.

Se la quantità di arrivi in Italia non è sicuramente da sottovalutare, Cristina Franchini ci fa notare come spesso a livello mediatico si tende a far credere che la crisi delle migrazioni forzate a livello mondiale sia un fenomeno che riguarda solamente l’Europa, ma non è così. “Se si guardano attentamente i dati”, spiega Cristina Franchini, “il 39% dei rifugiati nel mondo sono accolti nelle regioni del Medio Oriente e Nord Africa, 29% in Africa, 14% negli stati del Pacifico, il 12% negli stati delle Americhe, mentre solo il 6% delle persone costrette fuggire da guerre e persecuzioni è accolto in Europa. “Se si considerano queste percentuali mettendole in relazione con il numero di abitanti degli stati europei” continua la rappresentante dell’UNHCR, “il problema viene certamente ridimensionato”.

Da paese d’emigrazione, l’Italia è diventata paese di immigrazione. Eppure spesso sembra che gli Italiani abbiano dimenticato quali sono stati i problemi affrontati dai loro nonni che dopo la Seconda Guerra Mondiale emigravano alla ricerca di migliori condizioni sociali ed economiche per se stessi e per i loro figli. Oggi però abbiamo due diverse categorie migratorie: i migranti, coloro che lasciano il loro paese per trovare condizioni di vita migliori, e i rifugiati, coloro che fuggono dal loro paese perché costretti a farlo per situazioni di guerra ad esempio. Ad ogni modo, chiunque può richiedere la protezione internazionale. “Esistono circostanze specifiche che fanno sì che una persona abbia bisogno della protezione di un altro paese anche se questa persona non proviene da un paese in cui è in corso un conflitto” Cristina fa chiarezza spiegando che, “ad esempio anche donne vittima di violenza o abusi, o persone LGBTI che non hanno diritto di vivere liberamente la propria condizione, rientrano in quella categoria di persone che rischiano la vita e necessitano di protezione”.

Un po’ di confusione esiste anche in materia di politiche di regolamentazione e richiesta d’asilo. Attualmente è in vigore Dublino III. Ma in cosa consiste? Il regolamento di Dublino III ha lo scopo di identificare all’interno degli stati membri dell’Unione Europea quale è lo stato competente per la valutazione della domanda di protezione internazionale. Uno dei criteri che viene utilizzato è quello della domanda d’asilo nel territorio di arrivo. “Questo criterio” spiega Cristina Franchini “dovrebbe essere l’ultimo criterio applicabile, nel senso che se la persona ha avuto un visto o ha dei famigliari in un altro paese dell’Unione Europea, il regolamento prevede che sia quel paese a valutare la sua domanda di protezione internazionale. Con la crisi dell’anno scorso in Grecia, il sistema Dublino non ha offerto tutte le possibilità per fare in modo che i richiedenti asilo venissero distribuiti all’interno degli stati dell’Unione Europea. Per questo motivo è stato poi anche creato il sistema della ricollocazione dei richiedenti asilo, per cui gli stati dell’UE si sarebbero prese in carico un certo numero di richiedenti asilo arrivati in Grecia e in Italia. Sistema che purtroppo è in difficoltà” conclude Cristina Franchini.

A questo punto sorge spontanea una domanda, “ma allora, a che punto siamo a livello di accoglienza?”. Secondo Cristina, c’è sicuramente molto da fare, ma c’è stato anche un grande sforzo da parte del governo italiano per la salvaguardia della vita in mare e per aumentare il numero delle persone accolte sul territorio italiano. “L’importante” ribadisce la dottoressa Franchini “è, dal nostro punto di vista, l’applicazione del principio di solidarietà per fare in modo che sia data un’accoglienza e delle prospettive adeguate ai rifugiati e che questo non debba essere solo un dovere dei paesi di primo arrivo”.

Mettersi nei panni di queste persone e cercare di comprendere il fenomeno a livello umano è davvero difficile. Da questa necessità, è nata la campagna #WithRefugees, una campagna globale dell’UNHCR organizzata con l’obiettivo di chiedere agli stati una maggiore consapevolezza e collaborazione tra di loro nel prendersi carico della situazione dei rifugiati. Colonna portante del progetto è stata la possibilità dei rifugiati di raccontare in modo diretto e con la propria voce la loro storia. “Dalle numerose storie emerse, si è capito che c’è un valore positivo nell’accoglienza, nell’apertura nei confronti degli altri, che rappresenta un’opportunità anche per le società che ricevono i rifugiati. Fare in modo che queste persone abbiano la possibilità di raccontare personalmente la propria storia aiuta tutta la società a conoscere quello che c’è alla base della richiesta di protezione internazionale. I rifugiati non sono persone che hanno scelto di venire qui ma sono stati costretti a farlo. Nessuno affronterebbe volontariamente il deserto o salirebbe su un’imbarcazione instabile rischiando la vita se non fosse stato assolutamente necessario” così Cristina Franchini e l’UNHCR cercano di dare un aspetto più umano al problema. Uomini, donne e bambini molto probabilmente continueranno ad arrivare, ciò che bisogna cercare di cambiare è la mentalità delle persone e la loro percezione del problema.