Society | La solita Pasqua

La Pasqua di Günther

Un immaginario racconto di un immaginario cinquantenne sudtirolese che trascorre un'immaginaria giornata di Pasqua in un immaginario piccolo paesino in un'immaginaria valle sudtirolese.

Ferie finite, si torna al lavoro. Un'altra Pasqua è passata, come sempre. Domenica mattina mi sono svegliato presto, una bella doccia e poi ho indossato il vestito da festa che mia moglie aveva già preparato e messo sul letto. Per andare in chiesa, come al solito, ho preso la macchina. So che sarebbero stati solo 500 metri, ma lavoro tutta la settimana, e la domenica non ho voglia di fare altra fatica. Maria, mia moglie, è partita prima di me, e la stessa cosa hanno fatto i miei quattro figli. Spero che siano andati tutti in chiesa, altrimenti cosa penseranno le altre persone della mia famiglia? Sono bravi figli però. Ogni domenica li vedo in prima fila davanti all'altare. Io invece sto dietro, insieme ai vecchi amici, lontani dalle mogli e dai bambini. È stata una bella messa quella di Don Peter. Durante l'omelia ha parlato dell'importanza della famiglia e del rispetto del creato. Mi sono un po' distratto, perché non sapevo più dove avevo messo le chiavi della macchina. Una macchina nuova, appena comprata. Un Suv da 300 cavalli che va come un fulmine. Tutti me la invidiano in paese, così come mi invidiano anche la casa che ho appena costruito. Bella, grande e con tutti i confort. Per vivere bene servono tanti soldi, per quello lavoro come un matto. Ma in fondo so che sono un brav'uomo, tutti lo sanno in paese. Bella la preghiera dedicata al mio primogenito che purtroppo si è tolto la vita qualche anno fa. Povero Christian, non l'ho mai capito. Come tutte le settimane, dopo l'eucarestia e la fine della messa, sono uscito dalla chiesa e, insieme ai miei amici sono andato nel bar lì vicino a bere un paio di bicchieri. Il nostro bar è proprio attaccato alla canonica, ogni tanto viene anche Don Peter. Il bar delle mogli e dei figli invece è più in giù, verso il centro del paese, ma non mi piace che Maria ci vada, perché a casa deve pulire e poi preparare il pranzo della domenica. Come spesso accade infatti, anche oggi, quando sono arrivato a casa la tavola non era ancora preparata. È una cosa che mi fa proprio arrabbiare. Ho guardato un po' di televisione e subito dopo pranzo sono andato a riposare un po'. Quando mi sono svegliato non c'era più nessuno in casa, allora sono uscito a fare una piccola passeggiata. Maria e i ragazzi erano a mangiare un gelato, ma io ho preferito andare in cantina a mettere a posto una cosa. Non bisogna mai lasciare indietro il lavoro. La sera poi trascorre veloce. Una piccola merenda dove si parla un po' con gli amici che vengono a bere un caffè a casa nostra e poi si va pian piano a letto, anche se quasi sempre mi addormento sul divano mentre guardo la tv. Sono orgoglioso della mia vita, anche mio padre lo sarebbe. Papà mi ha insegnato cosa vuol dire essere uomini e credo di aver imparato tanto da lui. Spero di insegnarlo anche ai miei figli, anche se con me non hanno tanta voglia di parlare e non so perché. Forse è perché dicono che devono sempre studiare per la scuola. A proposito, non ricordo più in quale scuola vanno.

 

 

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Sylvia Rier Mon, 04/01/2013 - 16:57

come la voterei, su o giù, questa tua triste nel senso del tedesco "trist" storia ma penso che dovresti andarla a raccontare a chi predica le domeniche in famiglia e comunque sante quando si discute delle aperture domenichali dei negozi. quanta ipocrisia in giro! Anche se, pensandoci bene, il tipo d'uomo qui da te descritto dovrebbe essere, teoricamente, in via di estinzione?!

Mon, 04/01/2013 - 16:57 Permalink
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Matteo Pozzi Mon, 04/01/2013 - 17:02

In reply to by Sylvia Rier

Fra i miei coetanei è fortunatamente in via d'estinzione, anche se ancora presente (ti parlo della vita di un paesino di 3mila persone). La storia è comunque una provocazione aperta, ma non una condanna.

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Matteo Pozzi Mon, 04/01/2013 - 17:02

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Fra i miei coetanei è fortunatamente in via d'estinzione, anche se ancora presente (ti parlo della vita di un paesino di 3mila persone). La storia è comunque una provocazione aperta, ma non una condanna.

Mon, 04/01/2013 - 17:02 Permalink
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Annalisa Badiali Mon, 04/01/2013 - 18:57

In reply to by Matteo Pozzi

Spero che "l'abitudine" cambi e si apra in una vera e propria inter-relazione con gli altri non solo per "apparire", ma soprattutto per dare, perchè, penso ogni persona abbia qualche cosa da dare agli altri, anche un piccolo contributo, una piccola scintilla che possa far scaturire dialogo, responsabilità, interazione e comprensione.

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