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“Un consiglio? Fate musica vostra”

Incontro con il clarinettista e chitarrista bolzanino Manuel Randi, grande talento musicale e coprotagonista del Herbert Pixner Project.
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Foto: salto

salto.bz : Manuel Randi, com’è nato tutto questo?
Manuel Randi - Praticamente quando sono nato. Già a sei anni mi piaceva suonare il pianoforte, o meglio la pianola all’epoca, e anche il flauto dolce. A sette anni e cioè appena ho potuto sono entrato all’Istituto Musicale di Bolzano. Successivamente sono passato al Conservatorio. A 16 anni dovevo fare il ‘diplomino’, ma già avevo iniziato a suonare la chitarra elettrica a 11/12 anni e quindi mi sono un po’ perso…

Tu però suoni due strumenti: la chitarra e il clarinetto. Quale è arrivato prima?
Di per sé il clarinetto. Ma a me in realtà è sempre interessato capire il meccanismo della musica. E quello è stato anche il motivo per cui ho lasciato il Conservatorio perché lì con il clarinetto facevo solo melodie e non veniva approfondito questo aspetto. Ed il clarinetto in realtà è molto simile ala chitarra elettrica. 

Ah sì?
Quando ho iniziato a suonare la chitarra elettrica con la mano sinistra e il distorsore lfacevo in realtà le stesso cose che facevo con il clarinetto. La chitarra elettrica rock con i suoi assoli è uno strumento melodico più che armonico. Solo più tardi, a 18 anni, ho iniziato a capire che in realtà non sapevo veramente suonare la chitarra anche se tutti mi facevano i complimenti. Allora ho iniziato a prendere in mano la classica per capire gli accordi e quello che si può davvero fare con quello strumento. 

Quando hai iniziato ad accorgerti che le cose funzionavano e c’era per te davvero la possibilità di poter dedicare la vita alla musica?
Già a 14 anni avevo una mia band. Facevamo pezzi nostri, cover ed eravamo anche bravi per cui facevamo concerti. Lì ho iniziato a guadagnare un po’ di soldi. La mia però non era una famiglia molto benestante per cui  dopo il diploma di scuola superiore ho provato diversi lavori. Ma mi sono accorto che in realtà il lavoro che mi rendeva di più e anche piaceva di più era suonare in giro. Attenzione però: quello di suonare è un lavoro che funziona qui e ora, non puoi mai dire come andranno le cose, che ne so, fra tre anni. Per cui “avercela fatta” non vuol dire niente quando fai musica. 

Tu frequenti generi musicali diversi. Quanto bisogna essere bravi per non essere considerati ‘outsider’ dai musicisti specializzati nei singoli generi?
Mah, io non ascolto molto quello che mi dicono. Mi hanno sempre detto “tu sei un mostro” ed io invece ho sempre sentito moltissimi chitarristi che suonavano bene come me e anche meglio. Io sono cresciuto ascoltando musica classica. Quando ero bambino mi piaceva Bach e non mi piaceva Mozart. Però mi piacevano anche gli Iron Maiden e i Metallica. Per molto tempo ho suonato nell’orchestra dei musical della VBB (Vereinigte Bühnen Bozen) e lì ho sempre avuto l’esigenza di suonare diversi strumenti. Poi ho sempre guardato i miei chitarristi preferiti: Jimmy Page è un grandissimo chitarrista elettrico ma è bravissimo anche con l’acustica. Stessa cosa Ry Cooder. La chitarra è uno strumento pieno di risorse e puoi suonarci tante cose. 

C’è un’altra dinamica nella nostra realtà locale che è quella di cercare di diventare il più bravo del nostro ‘piccolo mondo’. Ma poi magari restano lì. Tu sei riuscito a superare questo scalino?
Quando avevo 15 anni e arrivavano questi chitarristi molto più grandi di me a darmi consigli io mi arrabbiavo molto. Certe volte dicevano anche cose vere, ma io ho sempre pensato che era meglio se mi concentravo sul comunicare quello che ho dentro. Io faccio il mio e tu fai il tuo. Io suono il mio blues e tu suona il tuo, insomma. Per questo quando mi chiedono “che consiglio daresti ai giovani” io dico che i giovani non hanno bisogno di consigli. 

Per Manuel Randi quanto è importante suonare musica propria rispetto alla musica di altri?
E’ importantissimo. E’ da tanto tempo che compongo musica mia. Quando sono a casa suono solo cose mie. Però suono molto volentieri anche le cover, reinterpretandole. Dalle cover impari anche a fare le tue cose, copiando.

"Fare musica propria è fondamentale. Con le cover suoni nei bar, ma se vuoi che la gente venga veramente ad ascoltare te devi fare musica tua."

Nella tua carriera sei stato coinvolto in numerosi progetti musicali. Quali sono stati quelli più significativi?
Da quattro anni sono membro fisso del Herbert Pixner Project. Con loro facciamo un sacco di concerti e stiamo benissimo. E’ una musica stupenda e sono davvero molto felice. Ho poco tempo per fare altre cose. Però in realtà in questo 2016 da gennaio a maggio eravamo in pausa e quindi ho presentato in giro per la Germania e l’Austria il mio cd con Marco Delladio e altri nuovi pezzi per sola chitarra che sto facendo insieme a Marco, che è mio collega da vent’anni. Abbiamo fatto dei bellissimi concerti, era sempre pieno. Poi ho fatto un progetto con il clavicembalo di Marco Facchin. 

Spiegami un po’ il progetto di Pixner? Si parte dalla musica tradizionale alpina ma poi ci si apre molto, in maniera anche inaspettata. Che musica è?
E’ molto difficile descrivere quello che facciamo anche perché non c’è un vero concetto. Il nostro suono è legato all’arpa, il basso e la chitarra, strumenti della Stubenmusik. Il suono è riconducibile al folk tradizionale e i primi dischi che ha fatto Herbert in trio, dove ci sono delle composizioni bellissime, sono di musica popolare anche se molto innovativa. Ad un certo punto però mi ha chiamato perché voleva espandere un po’ gli orizzonti e ora suoniamo quello che ci va. Spaziamo veramente molto. 

Nei vostri concerti passate da uno strumento e da un genere all’altro come se fosse la cosa più normale del mondo…
Proprio così. E’ bellissimo. 

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[Questa intervista è stata realizzata nell’ambito del programma radiofonico La Musica Che Gira Intorno, realizzato da Rai Alto Adige ed andato in onda il 25 settembre 2016. Il podcast della trasmissione è reperibile cliccando qui.]