Society | Intervista ad Isacco Chiaf

Il giornalismo del futuro

I giornali annaspano cercando di sopravvivere ricorrendo a gadget in allegato ed attingendo ai fondi per l'editoria, finché ci sono. La televisione dal canto suo si trasforma sempre più in un media dedicato alla terza età. Mentre ciò accade c'è però chi si muove in modo agile e creativo nel complesso oceano dove risiede la vera innovazione del mondo comunicativo. Abbiamo incontrato Isacco Chiaf, giovane visualjournalist bresciano formatosi alla facoltà di design dell'università di Bolzano. I suoi lavori sono caratterizzati da grande visionarietà e impegno sociale.

Isacco, com'è nato il tuo interesse passione per il visual journalism?
Il primo approccio l'ho avuto durante la preparazione della tesi di laurea alla Libera Università di Bolzano. Stavo cercando un modo nuovo per raccontare una storia e dare visibilità ad alcuni fatti ignorati dai media italiani. Si trattava del traffico di armi gestito dalla principale industria armiera italiana, la Beretta. Su questi fatti si poteva leggere molto in molti blog, giornali, riviste. Ma dal mio punto di vista un fatto così complesso come quello del traffico di armi avrebbe avuto più impatto se i fatti e i dati venissero "mostrati" invece che semplicemente elencati all'interno di un testo. Ho iniziato a sperimentare con le infografiche e le immagini per cercare di raccontare una storia. E nei momenti liberi continuo a portare avanti questa ricerca personale e questa mia passione.

Quale il motivo di questa attenzione privilegiata alle tematiche di impegno sociale?
Penso che al giorno d'oggi diffondere fatti legati all’impegno sociale sui media stia diventando sempre più difficile. Ovviamente ci sono innumerevoli persone che si occupano di questo, ma sensibilizzare il pubblico sovraccaricato da un enorme quantità di informazioni è molto più complicato di quanto si pensi. Anche perché spesso le tematiche a sfondo sociale sono legate ad una grande mole di fatti, documenti e avvenimenti di difficile fruizione. Cercare di riorganizzare grandi quantità di informazioni in un unico prodotto spesso diventa quasi una sfida. 

Nel progetto “Strage di piazza Loggia- Facebookumentario” hai addirittura scelto Facebook come piattaforma per la tua ”azione”. Il social network in realtà è concepito per chiacchierare e comunicare in tempo reale, non come spazio performativo. Qual è il perché di questa scelta?
Io sono di Brescia. Una sera parlando con un amica riflettevamo sul fatto di come molti giovani bresciani non fossero al corrente del significato storico della strage. Decisi allora di fare delle ricerche e su internet e negli archivi dei giornali e trovai  una quantità mostruosa di materiale riguardante lo stragismo italiano degli anni ’70-’80. La mia amica, vedendo la quantità di materiale raccolto, mi disse “dovremmo trovare il modo per organizzarlo su di una timeline che ricostruisca gli eventi". Ascoltando la parola “timeline”, come nei migliori cartoni animati, mi si accese subito una lampadina in testa . Pensai allora di ricostruire la storia della strage attraverso la timeline di facebook, un mezzo che tutti usiamo quotidianamente. Abbiamo riscosso molto successo soprattutto tra i più giovani, scatenando sul tema discussioni molto interessanti.

Un altro lavoro molto importante in cui ti sei impegnato è quello relativo ai Giornalisti minacciati. Com'è nata la collaborazione con Andrea Fama e Jacopo Ottaviani? 
Ci siamo conosciuti a Firenze ad una conferenza di giornalismo digitale chiamata dig.it. Ad organizzare la conferenza sul Data Journalism era stato Andrea Fama. Io ero stato chiamato a presentare il lavoro sulla strage di piazza della Loggia, mentre Jacopo (classe 87 come me), era lì per presentare il lavoro “Patrie Galere”, pubblicato dal Fatto Quotidiano, uno dei primi esempi di Data Journalism in Italia. A quella conferenza abbiamo incontrato anche Alberto Spampinato, direttore dell'osservatorio Ossigeno per l'informazione. Abbiamo deciso di unire gli sforzi per dar voce ad un tema poco trattato dai media italiani. Ogni anno in Italia più di 300 giornalisti subiscono infatti minacce a causa del loro lavoro. E’ un fatto allarmante, soprattutto se si considera che le statistiche dicono che il nostro paese è al 70esimo posto per la libertà di informazione, subito dopo la Moldavia.

Quanto è difficile per un giovane come te farsi spazio nell'odierno mondo dell'informazione? Nel contesto giornalistico, che vede una continua emorragia, lo sviluppo continuo della multimedialità e del web 2.0 ptrebbero promuovere anche nuovi posti di lavoro?
Senz’altro, anche se non è facile trovare i soldi per questo tipo di cose. Noi siamo riusciti a farci finanziare il progetto da fondazione ahref di Trento. Mentre i progetti precedenti sono stati realizzati a titolo gratuito e per puro interesse personale.
Spesso un giovane, se non ha un piccolo supporto almeno finanziario, stenta a perseguire una passione. Questo vale anche per me. In questo lavoro ci metto molte energie, ma lo devo fare fuori dall’orario d’ufficio, lavorando fino a notte inoltrata. A volte anch’io mi chiedo chi me lo faccia fare. Anche perché con la passione e l'amore le bollette non le paghi.
Nonostante io sia un sostenitore dell'idea che le informazioni su internet non vadano pagate, penso che le possibilità/potenzialità di farne un business ci siano. Anche se è proprio perché le informazioni sono gratuite che moltissima gente si reca su portali, blog e siti per informarsi. Resta di fatto che nel modello di giornalismo 2.0 vi è ancora molto da sperimentare, proprio perché quello di internet è un mondo che sta vivendo un’evoluzione rapidissima.