Le facili soluzioni che danneggiano i bambini

Peppe Dell'Acqua, direttore della collana 180 di Alphabeta e storico collaboratore di Franco Basaglia, interviene sul caso del tredicenne bolzanino allontanato dai genitori ed ospitato in una struttura terapeutica di Forlì.

Peppe Dell'Acqua, psichiatra, ex direttore del dipartimento di Salute mentale di Trieste, recente vincitore del Premio Nonino, è stato uno storico collaboratore di Franco Basaglia, l'uomo che ha elaborato la legge che ha chiuso i manicomi italiani. Pur in pensione, Dell'Acqua non ha smesso di interessarsi delle questioni legate al disagio mentale. Per questo dirige la collana 180 delle edizioni Alphabeta e per questo è attivamente impegnato nella campagna Stop Opg.  Gli abbiamo chiesto come sia possibile che si verifichino casi come quelli che riguardano il tredicenne ospitato da mesi in una struttura protetta di Forlì di cui Salto si è occupato in numerose occasioni

● Dell'Acqua, come si può pensare di fare il bene di un bambino allontanandolo dalla famiglia  e dagli amici per mesi? 
“Non conosco con precisione i dettagli della vicenda, ma questi casi sono figli di due questioni: Primo, l'assetto legislativo è impostato sulla preoccupazione delle istituzioni di tutelarsi rispetto alle responsabilità. Se si tratta di un bambino, il giudice valutato cosa dicono i “tecnici”, non può che applicare la legge che non consiste soltanto nel ricorso a strutture, anche se la scelta dell’allontanamento finisce per essere apparentemente obbligata nonostante possa essere dannosa per la crescita del bambino stesso. L'altro aspetto riguarda le culture tecniche, psicologiche, psichiatriche e neuropsichiatriche che rinforzano, quando non determinano, le ordinanze del giudice e si rapportano con quel bambino allo stesso modo. Ragionano nell'ottica della medicalizzazione che finisce per essere deresponsabilizzante e salva tutti gli attori sulla scena”.

● Sono numerosi i casi come quello del bambino ospitato a Forlì?
“Purtroppo, la storia di cui vi siete occupati non è unica né eccezionale.  Nasce da una persistente cultura delle psichiatrie e neuropsichiatrie che tendono a oggettivare e a ridurre a sintomo, a diagnosi, a malattia i comportamenti che i bambini e gli adolescenti mettono in atto. Sembrano non comprendere che la crescita di un individuo non è un percorso lineare, ma è contraddittoria e talvolta dolorosa. Dispiace dire che anche la scuola, troppo spesso, si sottrae al suo compito educativo e delega alle psicologie e alle psichiatrie”.

● Soluzioni possibili?
“Credo che i servizi assistenziali, psichiatrici, di neuropsichiatria infantile ed i distretti scolastici dovrebbero mettersi in gioco assumendo la dimensione esistenziale ed evolutiva dell'infanzia e dell'adolescenza. Ricercare percorsi reali di cura. Non è necessario ricorrere ai tribunali e ai luoghi deputati all’allontanamento. Li definisco così anche se, ovviamente, non nascono allo scopo di segregare, ma che finiscono per farlo perché non possono rispondere al compito che viene richiesto: la cura, l’emancipazione, la crescita. Il bambino viene privato del vitale rapporto con la sua famiglia, le relazioni, i luoghi delle sue naturali esperienze. Ripeto, il problema non sono le strutture ma le culture che vi stanno dietro, poi, ovviamente, questo ha a che fare con interessi economici”.

● Può spiegare meglio quest’ultima affermazione?
“Certo, non sostengo che occorra ridurre le risorse per l'infanzia, ma il bambino ospitato a Forlì costa alla comunità centinaia di euro al giorno, ovvero oltre 10.000 euro al mese e oltre 100.000 in un anno. Con le stesse risorse, meglio con la metà, si possono tranquillamente avviare politiche sul territorio coinvolgendo giovani educatori del luogo, che magari parlano entrambe le lingue dei genitori. Si possono programmare interventi di sostegno che possano sviluppare un’efficace rete territoriale locale di sostegno. Un aiuto, quindi, non basato sull’allontanamento. I vantaggi sono enormi e verificabili dove queste politiche territoriali sono state attuate”. 

● Da questo punto di vista come giudica il lavoro svolto in Provincia di Bolzano?
“Mi spiace notare che in Alto Adige è permanente e perdurante una cultura psichiatrica che sostiene queste pratiche di oggettivazione, e non mi riferisco solo al caso del bambino ospitato a Forlì. Pratiche che si basano sulla falsa profezia della scienza credendo nelle “strutture buone”. La medicalizzazione e la psichiatrizzazione del disagio offrono soluzioni semplici, e costose a magistrati, famiglie e amministratori pubblici. Ma così facendo, invece di risolvere il problema, rischiano di fare danni enormi a tutti: bambino, famiglia e società”.  

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Roland Albertini Fri, 05/02/2014 - 22:13

Intanto il ragazzo, ch’è tutt’oggi a Forlì, neanche Pasqua ha potuto passare con la sua famiglia! Oltre un'anno lontano dalla famiglia! Visite e colloqui solamente in ambiente protetto! Neanche i criminali in prigione sono trattati in questo modo!
Nient'altro che vendetta delle assistenti sociali dei minori … non amano essere criticate in pubblico!! Fregandosene di un minore sofferente che non perde occasione di ripetere che vuole tornare a casa; per non parlare del resto della famiglia! Classico comportamento arrogante e prepotente e forma particolare di sadismo!
Guai criticarle in pubblico!
Invece é ora di cambiare rotta! Rendere tutti questi abusi pubblici e fare sí che queste Sozialhelfer facciano i Helfer e non danneggino minori e lo segnino negativamente per tutta la vita come fanno in questi periodi!

Fri, 05/02/2014 - 22:13 Permalink