Society | Gastbeitrag

Maturaball

Chi si ostina a fare per due lire le cose nell’interesse delle generazioni future è ormai considerato un retrogrado o un frustrato. Osservazioni di un addetto ai lavori.
Schule
Foto: upi
Balli, balletti, balle.
Questo, in estrema e un po’ sfrontata sintesi, è l’esame di Stato, già “di maturità”, da almeno un ventennio a questa parte. Le percentuali risibili dei fermati (in Italia qualcosa come il 2% dei partecipi e a Bolzano circa l’1%), confermano quanto il costoso carrozzone (più o meno 200 milioni di euro l’anno su scala nazionale...), abdicando di fatto alla sua funzione selettiva, avrebbe fatto meglio a concentrare il maquillage semantico ministeriale, anziché sul secondo, sul primo termine descrittivo dell’evento: esame. 
Prendendo dunque atto onestamente di ciò che la cosa non è più. I paragoni più calzanti porterebbero infatti a parlare di ballo delle debuttanti, passerella finale, red carpet, tutto tranne che esame. Invero nel sistema scolastico italiano l’ingresso in società di ragazze e ragazzi avviene molto prima dei non più fatidici giorni delle prove finali. Inizia precocemente, con le udienze generali alla scuola materna, con il lavorio sotterraneo del discredito operato dai grupponi facebook dei genitori di alunni delle scuole primarie di secondo grado e delle secondarie di primo (continuare a chiamarle elementari e medie come tutti sapevamo è parso brutto a qualcuno...), con il diuturno mobbing esercitato su insegnanti già estremamente comprensivi dai dirigenti scolastici durante l’intero percorso superiore, a ogni minima lamentela di famiglie e  iscritti. Non si capisce in sostanza l’utilità del rito di passaggio per studenti di vent’anni, quando la società è già entrata a scuola sin dalla loro tenera età.
I paragoni più calzanti porterebbero infatti a parlare di ballo delle debuttanti, passerella finale, red carpet, tutto tranne che esame.
Quando nella cara e vecchia presidenza che la scuola delle tre I (Inglese, Impresa, Informatica, di berlusconiana memoria...) ha ridefinito dirigenza, in ossequio a criteri aziendalistici che mal s’attagliano ai transfughi della cattedra che vanno a occuparla ma anche alla complessità incommensurabile dell’opera educativa, risultano quasi esclusivamente rimproverati i lavoratori della scuola e mai gli utenti che li hanno fatti impazzire. Alle segreterie e ai dirigenti non spettano più nemmeno le telefonate per comunicare alle famiglie le eventuali, rarissime, certificazioni d’insuccesso: le cura il coordinatore di classe che, magari, ha contribuito con il suo voto a quell’esito negativo, sfidando senza rete la rabbia e gli insulti della società civile.
D’altronde, chi si ostina a fare per due lire le cose nell’interesse delle generazioni future e del Paese è ormai considerato un retrogrado o bene che vada un frustrato, comunque un corpo estraneo al sistema, dunque va da sé che non possa essere difeso dai vertici che per tenere su la farsa pigliano tra i 50 e i 90 mila euro l’anno di stipendio (la scuola è in effetti azienda solo in relazione al loro profitto economico personale e a quello di una pletora di soggetti esterni che hanno licenza d’ingaggiare, a chiamata diretta ma a spese di tutti...), proprio per eludere gli scopi principali dell’istituzione che dirigono: formare le generazioni, garantire il vomere sociale attraverso una corretta selezione tra chi è capace e meritevole e chi non lo è, come recita l’art. 34 della Costituzione. Ma tant’è, dalla riforma Gelmini del 1998 siamo in ballo e dobbiamo ballare, virus o non virus.
 
 
 
Ecco pertanto che dallo Staatsoper locale tutti gli sguardi volgono necessariamente a Roma, in attesa di un cenno di Lucia Azzolina da Floridia (22.000 abitanti, sesto centro per grandezza del siracusano dove la Ministra dell’Istruzione frequentò il Liceo Scientifico in piena riforma Gelmini, ma a sua detta era una secchiona e aveva professori eccezionali...). Qui il grossolano ballo tipico si raffina e si fa balletto, genere prediletto dai politici italiani. La coreuta floridiana in due mesi ci ha mostrato piena padronanza di un fondamentale come la pirouette, oscillando tra il “tutti promossi” e il “no al 6 politico”, tra il “tutti a scuola quanto prima” e  “le scuole quest’anno non riapriranno”, “la maturità sarà seria” e “la maturità sarà light”, “tutti ammessi all’esame di Stato ma non tutti promossi” (al 2% di pierini che rimane nella rete a maglie amplissime intessuta dalle incessanti riforme/non riforme succedutesi, mica vorremo fare un regalo vero? Quando invece si sa benissimo che l’unica modesta difficoltà sta proprio nell’ottenere l’ammissione...), “verifica in presenza” o “verifica a distanza”, “solo membri interni”, anzi no, “membri interni ma con presidente esterno”, infine l’altro giorno “maturità in presenza, il 17 giugno e solo orale (N.d.R.: 10 persone nella stessa stanza, testimoni compresi), invertendo l’usuale peso che nella valutazione hanno il percorso scolastico e le prove d’esame”, normalmente 40 il primo e 60 le seconde.
 
Causa digital divide, non solo delle famiglie italiane, ma incredibilmente anche degli istituti scolastici impreparati a fornire il servizio a distanza in gran parte della Penisola, nonostante la roboante terza I di cui si diceva sopra e gli stanziamenti operati, l’anno scolastico inferiore al minimo di legge dei 200 giorni è stato giustamente validato, ma resta comunque un’opera incompiuta per ogni ordine e grado, foriera di grande impegno da parte di tutti alla ripresa delle attività e di qualche taglio alle vacanze non solo estive (settimana Sharm?). Lungi dal saper accompagnare la ministra nel difficile pas de deux, de trois o de quatre, che le spetta ora per la fine del lockdown con ministeri quali quelli all’Industria, Turismo, Pari opportunità e famiglia o del Lavoro, potremmo abbozzare invece qualche soluzione, parimenti derogatoria rispetto alla normativa, proprio per l’esame di Stato.
 
Con la situazione kafkiana in arrivo ai piani bassi dell’istruzione (genitori di nuovo al lavoro, figli ancora piccoli e scuole chiuse, divieto di nursing da parte dei nonni, dunque un estremo dinamismo ancora tutto da negoziare sui permessi parentali nelle aziende che riaprono...), con l’insostenibile mole di ricorsi vincenti che in una situazione d’emergenza come questa si abbatterebbe sulla giustizia in caso di bocciature (“chi avrà 8 meriterà 8, chi avrà 4 meriterà 4, ma da inizio di settembre dovrà recuperare quelle competenze, altrimenti il prossimo anno scolastico sarà più difficile”, ma se di 4 ne aveva dieci mica puoi bocciarlo...), la Ministra ha affermato di voler ugualmente far sostenere un esame ancora più bislacco qual è quello di terza media, salvo poi prodursi in una fouetté en tournant delle sue col dire invece che “basterà una tesina”.
 
La nostra proposta per le superiori è altrettanto semplice: un’uscita onorevole tipo tutti maturi senza dare l’esame e parallelamente un’uscita trionfale attraverso una forma d’accertamento, vista l’esiguità del numero a quel punto anche in presenza, a porte chiuse ed esentandoli come ricompensa tangibile dal test d’ingresso ai corsi universitari, solo per coloro che possono aspirare al 100. Il voto dei primi potrebbe essere stabilito a cura dei loro stessi consigli di classe sulla scorta dei crediti scolastici, di un progetto o una tesina eventualmente svolti e di un giudizio complessivo sul triennio finale (nel frattempo biennio per gli sperimentatori più incalliti che non hanno preso atto che i primi due anni di superiori già vanno persi nel dare ai gruppi le competenze della seconda e terza media auspicabili fino vent’anni fa); il voto degli altri da una commissione anche a ranghi ridotti d’interni, esterni e presidente, nella disponibilità a quel punto di tutti gli spazi fisici per far svolgere scritti e orali in piena sicurezza. Alla fine, come si fa in Piazza San Marco per i laureati dell’ateneo veneziano a ogni anno accademico, basterebbe una bella festa per tutti i diplomati nelle piazze principali delle città che ne hanno ospitato e accompagnato gli sforzi. Ovviamente quando gli assembramenti saranno di nuovo ammessi, seppur non tutti promossi...
La possibilità di esentare dall’esame gli studenti uscirebbe corroborata se le famiglie fossero al corrente delle sue modalità di svolgimento. Urge una specie di satori che, a maggior ragione in una provincia come Bolzano che ci investe sopra una bella fetta di risorse, è ovviamente impedito in tutti i modi dalla spessa cortina fumogena alzata dal potere attraverso i suoi sodali. Anziché ripartire da lì, si censurano gli impietosi dati Istat sul rendimento complessivo degli studenti altoatesini.
Quanti sanno che in appena sessanta chilometri tra Bolzano e Trento, nei loro ultimi otto anni di scuola, i nostri figli fanno registrare un gap formativo che arriva a dimezzarne le capacità espressive e di calcolo rispetto agli aquilotti? Il livello è infimo, poco superiore a quello delle depauperate scuole del Mezzogiorno più arretrato, davvero vale la pena di verificarlo?
Quanti sanno che in appena sessanta chilometri tra Bolzano e Trento, nei loro ultimi otto anni di scuola, i nostri figli fanno registrare un gap formativo che arriva a dimezzarne le capacità espressive e di calcolo rispetto agli aquilotti?
Il fallimento è evidentemente un prodotto del separatismo linguistico, della negazione della possibilità di confronto e di crescita comune tra i figli di questa terra, con una comunità italiana sempre più isolata e asfittica, mai messa in grado di capire a fondo la realtà locale che si esprime con un altro idioma e del pari tenuta distante dall’Italia nella presunzione d’essere europeista.
Dopo tredici, dico tredici, anni di scuola, proprio alla maturità si scopre che tutti pensano che qui viga il bilinguismo: un risultato sublime che dimostra quale efficacia micidiale abbia la propaganda mistificatoria del regime locale amplificata dalle scuole e con buona pace della materia Cittadinanza e Costituzione, con la quale qualche Solone ha voluto anche riaprire in extremis una partita che per i più si era fortunatamente chiusa all’assolvimento dell’obbligo scolastico.
 
 
In un’ideale colonna sonora dell’esame di Stato, dal lato insegnanti si canta dunque “Far finta di essere sani” di Giorgio Gaber, mentre dal lato studenti, nonostante si parli ormai di un’operazione a rischio zero, rimane inspiegabilmente “Notte prima degli esami” di Antonello Venditti che risale ormai a quattro anni prima della riforma Gelmini e, allora, aveva ancora tutto il suo senso. Siamo in pratica giunti al capolavoro di una rappresentazione della paura in vista d’una selezione che tutti sanno bene non avvenire più, al termine di un percorso scolastico che è pura creazione della fantasia e, nel nostro caso, dipanatosi per giunta in una specie di non-luogo. In virtù dei crediti scolastici accumulati e della risoluta bonomia dei presidenti di commissione, spesso dirigenti incrociati per prudenza dalle nomine a comandare le operazioni d’esame negli istituti reciprocamente diretti, con la seconda materia scritta sempre affidata  a un membro interno che, visto il basso livello dei suoi studenti ammessi, si dice scherzosamente essere lui il vero destinatario delle normalmente pretenziose tracce elucubrate da un MIUR che ha smarrito il polso reale della situazione, ecco che la promozione è davvero a un nulla. Si passa e non vedo come si potrebbe altrimenti senza una profonda revisione dell’intero sistema scolastico, anche con tutti gli scritti insufficienti, due cosine dette agli interni durante il colloquio orale in percorsi semiconcordati e, siccome non basta, anche guidati dal proprio insegnante, scena muta o figure barbine con tutti gli esterni, il raccontino abborracciato di un’esperienza d’alternanza scuola-lavoro in un grammelot tedesco o inglese spesso difficile da distinguere.
A voler largheggiare, quattro o cinque su una ventina sostengono il colloquio su un piano perfettamente paritario con i commissari, per gli altri è un’immancabile gogna a lieto fine. Nel ritmo in levare preso ormai dalla scuola (via le insufficienze già a giugno e alla peggio via ad agosto, via la nota disciplinare perché anche l’insegnante avrebbe potuto comportarsi meglio, via le bocciature per non sfigurare nelle statistiche europee...), lo scorso anno il MIUR ha provato a cancellare anche quest’effimero retrogusto di vergogna per il nulla che s’è imparato, arrivando a elaborare per mano del leghista Bussetti che reggeva il dicastero nel Governo Conte 1, l’orale dove non si possono fare domande o rivolgere richieste dirette ai candidati (!!). Gli argomenti sui quali la Commissione avrebbe desiderato discutere ma non poteva chiedere, nelle intenzioni ministeriali li avrebbe dovuti indovinare lo studente per conto suo, raccogliendosi cinque minuti in silenzio davanti a un’icona scelta dagli esaminatori e da lui pescata fra tre buste chiuse come in ogni telequiz che si rispetti. I non dotati di poteri paranormali, erano resi edotti sul percorso mentale che avrebbe dovuto sottendere, non so, la foto di Greta o di Ghandi in materie come tecnica bancaria, lingua e letteratura spagnola, topografia, latino o matematica.
Dopo tredici, dico tredici, anni di scuola, proprio alla maturità si scopre che tutti pensano che qui viga il bilinguismo:.
In quasi tutti i casi è toccato così ripiegare sul più collaudato esame di conoscenza del fascismo, dei suoi autori, dei suoi scienziati, dei suoi martiri, delle sue battaglie, della sua persistente attualità, in cui consiste la maturità da quando l’ultimo anno di scuola è stato con piglio modernista dedicato al solo ‘900, immancabilmente ridotto ai trent’anni dal ‘15 al ‘45 che sono proprio quelli dai quali il Ministro intendeva forse prendere un po’ le distanze, più che idealmente temiamo, solo per non indurre arditi paragoni con la figura del suo moderno Comandante.
A costo di rinunciare a sondare se i maturandi dei licei riuscirebbero per sbaglio nella vertigine di collegare il Covid19 all’influenza spagnola del 1918, a costo di tenerci il dubbio su dove trascorreranno l’anno sabbatico che li ristora dallo stress da diploma, che ne dite allora di lasciar tentare l’exploit per una volta a quelli che avrebbero potuto saperne il triplo ma hanno dovuto ballare con la scopa negli anni migliori della loro crescita intellettiva?

Daniele Barina, nato nel 1962, bolzanino d’adozione é Docente di Diritto ed Economia al ITCAT di Bolzano. Esperienze in campo giornalistico, autore di numerosi libri, rocketaro e collaboratore di Radio Tandem e RAI Bolzano.