Society | disabilità

"La disabilità non è una condanna"

Intervista alla Vice Presidente della Sorriso Academy, Alessandra Marcucci, per capire come la narrazione sulla disabilità debba cambiare i propri paradigmi
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Foto: sorriso academy

Quando si parla di disabilità, soprattutto di disabilità cognitiva, difficilmente si considerano le possibili opportunità lavorative e formative. Ci si limita spesso a raccontare le difficoltà delle famiglie, affrontando il problema secondo la sola versione pietistica, che vede come unica prospettiva quella della compassione per i genitori o per i parenti ai quali è capitato un enorme, insormontabile problema. Eppure la disabilità si compone di tante sfaccettature, non sempre assimilabili tra loro, che richiedono narrazioni diverse, ma soprattutto, approcci differenti. Se ci si sposta infatti dalla ormai vetusta visione di compatimento, si inizia finalmente a pensare quanto le persone con disabilità siano parte della società e quanto spetti loro un ruolo in tutti gli ambiti, compreso quello lavorativo. Purtroppo, però, il nostro sistema scolastico e formativo si ferma spesso alle scuole superiori, mentre difficilmente si trovano programmi per chi vuole continuare il percorso. Fortunatamente alcune associazioni si battono per fornire alternative valide e tra queste c’è la Sorriso Academy, impegnata da anni nel riscrivere il futuro per ragazzi con sindrome di Down. Noi abbiamo intervistato la sua Vice Presidente, Alessandra Marcucci

Salto.bz: Alessandra Marcucci, la Sorriso Academy è un progetto che coinvolge un’esperienza lunga 18 anni, com’è nata quest’idea? 

Alessandra Marcucci: La fondazione è nata dall’idea di tre genitori, in un iniziale piccolo progetto che si è poi allargato a coinvolgere un numero più grande di famiglie. Ci siamo accorti che troppo spesso si trattava la disabilità come un unico grande pacchetto, mentre si tratta di un mondo variegato che non può essere oggetto di una risposta generica, nonostante le valide terapie del sistema sanitario. Abbiamo iniziato con dei ragazzi, che sono poi cresciuti e diventati maggiorenni. Abbiamo quindi visto cambiare le loro esigenze e abbiamo deciso di costituire una cooperativa, anche per poter partecipare ai bandi. 

Nel tempo siete diventati una realtà importante, avete ricevuto sostegno dalle istituzioni? 

Ancora no, ci siamo sempre sostenuti da soli, ma speriamo che la nostra cooperativa possa accedere ai finanziamenti dei progetti, cogliendo anche l’occasione del PNRR. 

Quali sono le attività che offrite ai ragazzi? 

Danza, teatro, sport…che rappresentano non solo occasioni per imparare ma anche per partecipare a momenti di aggregazione e per sviluppare la socialità: organizziamo, per esempio, anche ritiri di calcio. Le nostre iniziative diventano anche un modo per promuovere l’integrazione, poiché nel gruppo di circa 15-20 ragazzi che ospitiamo, alcuni provengono da famiglie con un passato migratorio.

Nel tempo è cambiato il modo in cui si guarda alla disabilità? 

Negli anni, fortunatamente, abbiamo assistito ad un cambiamento. C’è una diversa prospettiva, sia in una maggiore consapevolezza generale, come nel caso dell’istituzione della giornata mondiale della sindrome di Down, alla quale noi abbiamo sempre partecipato, sia in una vicinanza diversa nella nostra comunità. Sta cambiando l’idea di disabilità: qualche anno fa era ancora associata alla sola idea di malattia, mentre ora si inizia finalmente a parlare di persone con diverse caratteristiche. Noi facciamo la nostra parte per diffondere questa nuova sensibilità, aiutando anche i genitori nel percorso di formazione e trasmettendo ciò che abbiamo imparato. 

 

Anche la percezione delle famiglie verso la disabilità è cambiata? 

Si inizia finalmente a capire che il racconto della disabilità come croce che si abbatte sulle famiglie è errata e non veritiera. Anche le famiglie che incontrano la disabilità possono sperimentare una vita serena e ambire alla felicità. La disabilità non costituisce una condanna, purtroppo negli anni però questo è stato il solo modo di considerarla. Attraverso la nostra azione cerchiamo invece di far capire che ci sono alternative possibili e che i nostri ragazzi riescono a vivere un’esistenza piena, ben inserita nel proprio contesto sociale. 

La partecipazione alla società è un argomento chiave, ancora troppo spesso si relegano le persone con disabilità ai margini, non permettendo loro di godere del diritto al lavoro, alla socialità, alla sessualità, la quale costituisce ancora un tabù. Anche voi vi siete ritrovati ad affrontarla? 

Anche i nostri ragazzi, come tutti, sperimentano la scoperta del loro corpo, le pulsioni sessuali, l’interesse verso l’affettività e verso le esperienze di coppia. Noi cerchiamo di sostenerli ed accompagnarli durante il percorso, ma anche di lasciare il giusto spazio per permettere loro di fare esperienze fondamentali. Non è semplice per un genitore trovare l’equilibrio, ma non si può precludere loro l’intera sfera della sessualità, anche perché questi ragazzi interagiscono con un mondo complesso, che dà loro molti stimoli. 

Purtroppo manca l’idea che una persona con disabilità possa continuare il percorso formativo. I ragazzi abituati a vivere il contesto scolastico vengono poi tagliati fuori

Un altro problema è proprio quello dell’esclusione dalle relazioni e dal contesto scolastico. Finite le superiori esistono ben poche alternative e i ragazzi che fino a qualche mese prima vivevano un contesto variegato si trovano a dover rinunciare alla formazione e alla socialità…

Purtroppo manca l’idea che una persona con disabilità possa continuare il percorso formativo. I ragazzi abituati a vivere il contesto scolastico vengono poi tagliati fuori, ma se vengono lasciati soli, se non vengono stimolati, rischiano di regredire, soprattutto se si considera il mondo di oggi, in cui si possono tenere i contatti via social con una realtà alla quale loro non possono più partecipare. Bisogna creare dei progetti che permettano loro di crescere e di rimanere parte della comunità in cui vivono. 

Proprio per questo voi avete deciso di offrire un percorso formativo…

I nostri ragazzi hanno affrontato un percorso di un anno al cibus, durante il quale hanno avuto la possibilità di imparare l’arte culinaria, grazie anche agli insegnanti che hanno trovato varie strategie per favorire l’apprendimento. 

Un’occasione formativa che si è poi concretizzata in un’opportunità lavorativa? 

In seguito ad un articolo sulla nostra attività siamo stati contattati dall’amministratore delegato della Thun, che ci ha voluti incontrare. Proprio grazie a questo incontro è nata l’idea di una collaborazione e da gennaio 2022 abbiamo in gestione il bistrot presso il Thuniversum di Bolzano. Uno spazio in cui aiutiamo i nostri ragazzi a dare il loro contributo nella società, mentre ci occupiamo di caffetteria e ristorazione per i nostri clienti.