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Politics | Riflessioni

Populismo e diritti umani

Oggi assistiamo alle prime incrinature dell’ideologia populista e possiamo constatare alcune avvisaglie di una crisi delle facili mitologie diffusesi negli ultimi anni.

Il populismo ha contrabbandato se stesso per una assoluta novità e - nelle sue numerose varianti - ha sbandierato l’obbiettivo di restituire il potere al popolo. Oggi assistiamo alle prime incrinature dell’ideologia populista e possiamo constatare alcune avvisaglie di una crisi delle facili mitologie diffusesi negli ultimi anni. Questi primi segnali scalfiscono però la superficie e raramente penetrano più in profondità. 

Il calo di consensi del salvinismo e la vertiginosa caduta degli stellini esprimono una nuova diffidenza dell’elettorato verso i due partiti che nel 2018 si erano stretti in un connubio fatale, spezzato solo nell’estate del 2019 dall’azzardo di Matteo Salvini (la richiesta dei “pieni poteri”). Il nucleo ideologico che ha ispirato entrambi mi pare però intatto e potrebbe perciò essere ereditato da nuove formazioni politiche.
Vediamo in che cosa consiste questo nucleo ideologico.

Innanzitutto il populismo propone un concetto corrotto e deformato di sovranità popolare. Per il populista questo concetto antico significa che chi ha il momentaneo e fugace consenso popolare può fare tutto quello che vuole e godere persino del monopolio sul diritto nazionale e persino sovranazionale. Il populista semplicemente non sa. O simula di non sapere. Non sa, ad esempio, che vi è una differenza tra «sovranità popolare» e «sovranismo». La prima implica una limitazione dei pubblici poteri per mezzo del diritto. Il secondo presuppone che chi è eletto dal popolo, proprio perché “eletto”, possa beneficiare dell’onnipotenza e dunque disporre dell’ordinamento giuridico secondo il suo placito.

Il populista parla a nome del “popolo”, si spaccia per interprete privilegiato della volontà nazional-popolare. Salvini si è autoproclamato megafono degli Italiani. Ma anche questa è una amena mitologia

Svolgiamo la semplice teoria sovranista fino alle sue conseguenze ultime: se il politico eletto dal popolo può fare tutto, può, ad esempio, infischiarsene dei principi costituzionali, del diritto europeo o del diritto internazionale, allora ne segue che l’unica fonte del diritto è in definitiva quel politico stesso. Questa idea non è affatto nuova, ma vecchia e ha la sua matrice ideologica nel Settecento e nell’Ottocento giuridico e nella loro implacabile fucina di miti.

Non è un caso il richiamo nobilitante a Rousseau, che oggi pare essere molto di moda (come noto chi scrive ha preferito Montesquieu…). Nel suo «Du contrat social: ou principes du droit politique» Rousseau ha affermato l’idea dell’identità tra governati e governanti. Seguendo il suo pensiero, i governanti rappresentano “tutti”, esprimono la “volontà generale” e dunque non possono mai trovarsi in dissidio con i rappresentati. In altre parole, egli ha diffuso una finzione giuridica: con il “contratto sociale” la maggioranza ha il diritto di imporre la sua legge e di farla valere universalmente, anche sulle minoranze che risultano assorbite nel vago concetto di “volontà generale”: qualsiasi legge sia, anche la più abominevole, si impone ai governati, che non possono in alcun caso resistervi “de iure”, poiché coincidono fittiziamente con i governanti. Si tratta a ben vedere di una sovranità piena e illimitata, concentrata e quindi pericolosa per antonomasia.

I populisti credono così che sulla base del solo consenso si possa trasformare il proprio volere in diritto sacrosanto e magari pure l’ingiustizia in diritto o - che altro? - negare l’esistenza del covid o sancire per legge che gli elefanti possono volare. La loro idea di democrazia si basa sui numeri e prescinde da ogni verità giuridica e persino fattuale. Ma questo presunto consenso – che di per sé non basterebbe a trasgredire un principio giuridico – sussiste davvero?

Ed ecco che la finzione rousseauiana, di cui i sovranisti odono la lontana eco, si mescola con un altro giochetto di prestigio. Il populista parla a nome del “popolo”, si spaccia per interprete privilegiato della volontà nazional-popolare. Salvini si è autoproclamato megafono degli Italiani. Ma anche questa è una amena mitologia. Quando egli pretendeva a gran voce i pieni poteri, la Lega stava in Parlamento con il 17% dei consensi. Una minoranza, che pretendeva di esercitare la forza – comunque potenzialmente tirannica – della maggioranza. Ecco il trucco del populismo: una parte, spesso minoritaria, racconta se stessa come se fosse l’intero.

Ecco il trucco del populismo: una parte, spesso minoritaria, racconta se stessa come se fosse l’intero

E infine l’altro reperto ideologico, il più grave, spacciato per nuovo: il furore nazionalista (gli “Italiani prima”…) e, nel caso della Lega, un manifesto razzismo e uno scoperto disprezzo per i diritti umani, che, come testimonia l’espressione stessa, non dipendono dalla nazionalità né dalla volontà generale, né dal legislatore nazionale, ma appartengono all’essere umano come membro di quella unica e grande nazione dell’umanità intera. Tanti sforzi sono stati fatti per legare democrazia e diritti umani in un unico sodalizio e tanti ve ne sono ancora da fare. I populisti hanno un pensiero più semplice e tremendamente pericoloso: separare democrazia e diritti umani, come se l’una possa esistere senza gli altri. Come se una democrazia senza diritto non possa diventare insidiosa, infine, anche per quello stesso popolo di cui tanto si ciarla. Questa è la più grave colpa del populismo.