Environment | L'allarme

Alpi, in 100 anni ghiacciai dimezzati

“Si ritirano a una velocità senza precedenti”, a rivelarlo è Renato Colucci, glaciologo del Cnr. I ghiacciai dello Stelvio diventano sempre più neri.
Ghiacciai
Foto: upi

È un caldo record quello che si sta registrando in tutta Europa. Nella nostra provincia, per esempio, si sono avute temperature di circa un grado al di sopra della media di lungo periodo, a Bolzano il 24 luglio il termometro ha raggiunto i 37,1 gradi.

Ad alta quota a soffrire sono i ghiacciai che negli ultimi cento anni si sono dimezzati. E di questa metà rimasta il 70% si è sciolto negli ultimi trent’anni. Non sono gli ambientalisti apprensivi a dirlo ma un glaciologo del Cnr, Renato Colucci, in una intervista all'Ansa. Nel giro di pochi decenni i ghiacci eterni delle Alpi Orientali e Centrali potrebbero scomparire, sopravviverebbero solo sulle Alpi Occidentali, quelle più alte. “I ghiacciai alpini - rivela l’esperto - si stanno ritirando a una velocità senza precedenti in migliaia di anni. I ghiacciai delle Alpi sotto i 3.500 metri di quota sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni. Le temperature medie degli ultimi 15 anni non ne permettono la sopravvivenza sotto questa quota”. 

“Dalla metà degli anni Ottanta, le temperature vanno solo in salita - prosegue Colucci -. Fino ad allora, anche sotto i 3.000 metri, d’estate rimaneva sempre un po’ di neve sopra il ghiaccio, che lo preservava e creava la riserva necessaria per formarne di nuovo. Ma oggi, osserviamo spesso la quasi completa asportazione del manto nevoso in estate. Il ghiaccio rimane esposto al sole e si fonde. In media si perde da mezzo metro a un metro di spessore all’anno”.

I ghiacciai alpini si stanno ritirando a una velocità senza precedenti in migliaia di anni

Il problema non riguarda solo i ghiacciai alpini, ma tutte le catene montuose del mondo, dalle Ande all’Himalaya, i due poli e le steppe artiche. “Paesi come Perù, Cile e India contano sui ghiacciai montani per l’approvvigionamento idrico, e potrebbero avere problemi - spiega il ricercatore -. La sparizione dei ghiacci polari potrebbe sommergere isole e località costiere. Ai tassi attuali di fusione, la sola Groenlandia contribuirà ad un aumento di livello marino tra 5 e 30 cm, senza considerare tutte le altre fonti. E lo scongelamento del permafrost, il terreno ghiacciato delle steppe, libererebbe enormi quantità di metano, il gas serra con l’effetto maggiore”.

E ancora: “Quello che ci dicono i carotaggi fatti sui ghiacci di Groenlandia e Antartico è che nell’ultimo secolo l’aumento della CO2 nell’atmosfera è stato cento volte più rapido che in qualsiasi altra epoca negli ultimi 800mila anni. E la responsabilità non può che essere dell’uomo”. 

Notizie sconfortanti arrivano anche dallo studio condotto da un’equipe guidata da Davide Fugazza, ricercatore dell’Università statale di Milano, riguardo il gruppo dell’Ortles-Cevedale nel Parco dello Stelvio: la perdita media annua di superficie dei ghiacciai, che dagli anni ’50 agli ’80 si aggirava attorno alla percentuale dello 0.5%, nell’ultimo decennio è passata a oltre il 2%

E per via delle temperature elevate non solo i ghiacciai si sciolgono ma diventano anche più scuri. Dal report “New evidence of glacier darkening in the Ortles-Cevedale group from Landsat observations”, pubblicato su Global and Planetary Change, emerge che le ragioni di questo annerimento sono dovute soprattutto al cambiamento climatico e all’innalzamento delle temperature che provocano maggiore instabilità nei versanti e favoriscono l’aumento della copertura detritica che arriva dalle pareti rocciose intorno al ghiacciaio. Ma non solo. Il caldo provoca anche una “fusione precoce della neve caduta in inverno e una maggiore esposizione del ghiaccio durante l’estate. A tutto ciò va poi aggiunto il contributo negativo da parte delle polveri trasportate attraverso l’atmosfera”, polveri che possono essere di “origine naturale come i deserti, o antropica come il particolato fine proveniente dalla combustione dei motori diesel e dalle attività industriali della pianura padana oppure dagli incendi boschivi, il cosiddetto black carbon”. A completare il quadro c'è infine l’azione di microrganismi come alghe e batteri.