Culture | Salto Afternoon

Queen’s Symphony e Nordic Swans

Due concerti memorabili “Südtirol festival merano . meran”, partito un po’ in sordina e che sta andando in crescendo verso la Royal Symphony Orchestra londinese
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Foto: Salto.bz

Suoni e immagini sono da sempre molto vicine nella percezione dell’animo umano, e così le due serate dell’1 e del 3 settembre sono state davvero memorabili per il pubblico dell’oramai famoso a livello internazionale “südtirol festival merano . meran”, magistralmente diretto da Andreas Cappello, che ogni anno fa uscire qualcosa di nuovo dal suo meraviglioso “cappello”: per la trentaseiesima edizione ha portato nel Kursaal per la sezione “colours of music” la locale Merano/Meran Pop Symphony Orchestra creata nel 2014 dal suo direttore Roberto Federico. Nasce come musicista nella sua amata Sicilia, quest’ultimo, e ha un passato come violista sia per grandi orchestre stabili, come al Massimo di Palermo, ma anche in tournée col suo compaesano Franco Battiato, e solo tre anni fa calcava le scene con la nuova composizione rock di Renato Zero. Un animale da palcoscenico, dunque, che conosce bene il suo pubblico e sa anche dare l’anima – nel vero senso della parola – agli allievi della scuola di musica italiana a Merano, dove insegna. L’idea di mettere assieme diversi musicisti di tutto l’Alto Adige gli era venuta per caso, volendo creare una unità mobile tra i 40 e 60 elementi per suonare soprattutto colonne sonore, ambito musicale in cui sono più richiesti. La sera al Kursaal, invece, hanno fatto ballare anche le sedie, idealmente parlando, dato che la musica che si irradiava in tutta l’altezza e l’ampiezza della enorme sala in perfetto stile liberty, si era messa in rete acustica-visiva come i rizomi delle radici (comuni tra rock, pop e sinfonia) proiettate sotto forma di disegni grafici sul soffitto tinto alternativamente di verde e di arancione con punti di luce più o meno raggianti. Al più tardi con l’attacco del ben noto “Radio Gaga” il pubblico sapeva a cosa sarebbe andato incontro e le note dell’immancabile “The show must go on” erano sottolineate da leggere palline bianche che sembravano fiocchi di neve galleggianti sullo sfondo blu, prima di richiamare con decisione il motto urlato a suo tempo dal leader dei Queen a squarciagola al suo pubblico negli ampi stadi: “We want it all, we want it all, we want it NOW”! 


Fu Freddy Mercury quel leggendario leader, morto prematuramente di Aids (come molti altri in quel periodo) nel 1991, e a mio avviso la sua anima era lì, in sala, quella sera, sotto forma di risate e gongolante dalla felicità, in quanto era sempre stato il suo sogno di sentire la sua musica entrare nei templi delle grandi orchestre! Ma soprattutto di cantare lui le voci soprano o tenore... Roberto Federico lo sapeva, forse, avendo fatto terminare la sua “Queen’s Symphony” con quel mitico “Barcelona” cantato dallo stesso Mercury in duetto con la grande soprano spagnola Montserrat Caballé coronando il proprio sogno poco prima di morire? Federico ha voluto sottolineare il “suo” viaggio attraverso le sonorità dei Queen con proiezioni floreali e al contempo astratte per intensificare quel suono sinfonico a livello visivo e ampliarne la percezione in quello spazio in cui non c’è inizio e non c’è fine: in quello della musica, per l’appunto. 
Gli arrangiamenti li aveva scritti nel primo Lockdown del 2020, prendendo come riferimento il repertorio già messo in musica sul piano sinfonico dalla London Symphony Orchestra qualche anno prima, adattandoli alla “sua” Pop Symphony Orchestra perché composta da vari musicisti della regione, di professione e non, provenienti sia dalle valli (d’Ultimo, Gardena) sia da località anche lontane, come Vipiteno e persino dal Trentino. Dopo 11 mesi di scrittura c’era stata una prima prova pubblica a Bolzano, e poi il grande successo dell’altra sera. “Suonare con Battiato e con Zero mi ha fatto toccare con mano la genialità di due personaggi che con sensibilità e poesia incantano milioni di persone”, ci ha rivelato Roberto Federico, “in fondo la musica cosiddetta leggera è sempre stata il mio pane, e con la nostra orchestra ci siamo specializzati nelle colonne sonore in quanto quello era uno spazio vacante nella nostra provincia, essendo piuttosto saturo il territorio a livello di orchestre di musica classica. E fu proprio l’esperienza fatta con Franco Battiato e Renato Zero, quel tipo di ambiente frequentato per anni, ad avermi permesso di realizzare tutto questo”. Una musica di impegno civile con caratteristiche popolari nel senso stretto del termine, proprio come Brecht aveva voluto il suo teatro critico, di impegno civile, ma popolare. Nel senso di essere vicino e accessibile allo spirito del popolo, del pubblico ampio. A questo punto della nostra chiacchierata Roberto Federico si ricorda di aver suonato anche con Milva ai tempi della sua tournée con le canzoni di Brecht. I Queen li aveva ascoltati invece soltanto dopo la morte di Freddy Mercury, ascoltandoli da musicista, facendo attenzione alle singoli sequenze di note per comprenderne le modalità complesse di composizione, che erano assai più di forma classica che non dei semplici brani rock-pop, anzi, aggiunge: “erano delle opere vere e proprie”! 
Per chi se la fosse persa, la “Queen’s Symphony” verrà replicata il 18 settembre al Peter Thalguter Haus di Lagundo.

 

Se gli applausi per la Merano/Meran Pop Symphony Orchestra erano lunghi e sentiti, per la Baltic Sea Orchestra diretta da Kristian Järvi, ormai di casa nel Kursaal di Merano, c’è stata una lunga standing ovation. Meritata in pieno per i quattro cigni nordici che ci ha regalato! Riuniti sotto il titolo “Nordic Swans” la Baltic, come di consueto da qualche anno ormai, ha suonato l’intero concerto in piedi, senza leggii, completamente a memoria, i tre brani in programma: “Il cigno di Tuonela” op. 22 di Jean Sibelius che aveva vissuto tra l’Ottocento e il Novecento, “Swansong” di Arvo Pärt (nato nel 1936 in Estonia, dove tuttora vive in una cittadina vicino a Tallinn) e il più famoso concerto dedicato al candido animale bianco “Il lago dei cigni” di Peter Ciakowskij che aveva vissuto nella seconda parte dell’Ottocento. I primi due sono brani brevi, dove l’incanto si basa sul suono prevalente di uno o di un altro strumento e l’atmosfera rispecchia piuttosto un clima freddo e ombroso, dove nel brano di Pärt si poteva udire anche il gocciolìo di acqua corrente nel sottofondo. Il lago dei cigni ciaikowskijano è stato drammaturgicamente e musicalmente riscritto in più parti dallo stesso Järvi, soprattutto il finale, come ci rivela lui stesso nel corso di un breve incontro a concerto terminato. “In Ciaikowskij il cigno muore e il balletto finisce, io ho voluto farlo risorgere in una sorta di ascensione, per farlo volare di nuovo, facendogli idealmente aprire quelle ampie ali che possiede e far apparire la luce gioiosa che è in lui, come in tutti noi, tra l’altro…”, afferma sorridendo con tutto il volto, quel suo volto che appare come un sole del nord, radioso e magnetico, dopo aver mimato con le mani il rianimarsi dell’uccello bianco. D’altronde, Järvi è molto fisico anche sul palco, dove per essere più vicino ai “suoi” molti giovani musicisti ha fatto togliere il podio da direttore d’orchestra per essere anche lui uno “stage man”, un uomo che calca le scene, e assieme a uomini e donne con abiti in bianco e nero confezionati su misura con piccole ali sulle maniche crea quell’atmosfera lucente che fa viaggiare anima e corpo, il suo, innanzitutto, che a tratti saltella persino, tanto fa vibrare i suoni che dirige attraverso i muscoli del suo corpo; così come quello dei musicisti che senza i leggii in mezzo si sentono più liberi e più vicini tra di loro nel suonare, e – ovviamente - anche quello del pubblico. Il nostro, il mio corpo, che sente la musica con la pelle, con l’anima, trasportandomi in quei luoghi immaginari in mezzo alla natura folta e leggendaria, dove unicamente gli esseri silenti e magici si incontrano. Gli chiedo ancora quale fosse stato il quarto “swan” che ci ha regalato con il primo bis: “The White Swan”, sempre di Sibelius, mentre il secondo bis, forte, luminoso, gioioso, multicolore nel suono e nelle visioni che trasmetteva, era una sua composizione e non poteva che chiamarsi “Midnight Sun”, un fenomeno della natura che noi nel sud non possiamo nemmeno immaginare, ma che lui e i suoi musicisti, tutti figli dei paesi attorno al Mar Baltico, e quindi figli del nord, conoscono bene. Tanto da poterlo suonare con immensa poesia e gioia interiore.
Le atmosfere dell’emisfero terrestre nordicoce lo ha trasmesso anche visivamente con le luci scelte per illuminare il palco e le pareti sullo sfondo con tonalità di un verde-chiaro che suggerivano l’energia tipica della natura e dei laghi nordici in cui si aggirano i cigni, alla ricerca di eternità. 

 

“Nordic Swans” è un omaggio a una delle creazioni più graziose della natura”, scrive il Baltic Sea Orchestra sul depliant che accompagna questa nuova tournée 2021, mentre per i romantici era stato il simbolo della purezza, della fedeltà e dell’eleganza. A dire di Järvi sono fermamente ancorati nella cultura dei paesi nordici, ecco perché hanno scelto questo repertorio questo anno. E anche il brano di Arvo Pärt è singolare all’interno della sua opera omnia, in quanto questa composizione piuttosto recente sta per un “minimalismo sacro”: è stata realizzata sulla base di una composizione precedente che risale al 2000, creata per un coro, e ispirata alle parole di un teologo inglese. Assolutamente differente rispetto alle opere pärtiane neoclassiche e di avanguardia che si conoscono dalle più note incisioni.