Society | Dal blog di Luca Bizzarri

Ana Usharek. Contromosse a una rivoluzione tradita.

"Io partecipo", detto con orgoglio da una giovane ragazza araba che esprime con quelle poche parole la voglia di esserci e di incidere nel sistema nel quale vive e studia. Questa è forse l’immagine migliore che racchiude tutto quello che è avvenuto pochi giorni fa ad Amman in Giordania, non lontano dalla rivolta siriana contro l’attuale Presidente Bashar al-Assad e contro il suo establishment alawita, dove si è tenuto il seminario promosso dal Consiglio d’Europa e UNFPA (United Nations Population Fund) sul tema “Giovani e cittadinanza: la partecipazione giovanile” e al quale è stato invitato a prendere parte alla discussione il Servizio giovani in lingua italiana della Provincia di Bolzano sul tema “Partecipazione giovanile e interventi locali”.

Note: This article is a community contribution and does not necessarily reflect the opinion of the salto.bz editorial team.

Il tema del dialogo, del confronto e dello scambio di buone pratiche nel circuito delle politiche giovanili fra Europa e paesi a sud del Mediterraneo è, infatti, al centro della riflessione che il Consiglio d’Europa sta portando avanti in questi anni insieme alla Commissione europea nel quadro di una strategia comune sui giovani che è stata impostata dal 2010 al 2018 e che punta a garantire pari condizioni per i giovani nella formazione e nel mondo del lavoro e incoraggia i giovani ad essere cittadini attivi all’interno della società. Facilitare l’incontro, e farlo in maniera paritaria attraverso il dialogo, fra esperti delle realtà europee e delle realtà arabe è prioritario per due motivi fondamentali: primo consente una maggiore conoscenza dell’altro e facilita la nascita di progetti comuni su interessi comuni e poi mette a confronto realtà che presentano caratteristiche diverse e che si svolgono soprattutto in contesti sociali e politici differenti. Differenze che si stanno mescolando - ci raccontano i demografi - in maniera sempre più massiccia fra le sponde del Mediterraneo grazie ai flussi migratori provenienti dal nord Africa e all’abbassamento dell’età di tutta la parte meridionale della vecchia Europa.

È all’interno di questa cornice che si è sviluppato il dialogo fra le sponde del Mediterraneo, avendo ben chiaro nelle premesse che quando parliamo di cittadinanza parliamo prima di tutto di partecipazione, di assunzione di responsabilità del bene comune ed è oggi, in modo quanto mai urgente, nei paesi arabi la nuova controrivoluzione a un sistema che ha tradito le aspettative dei tanti giovani che erano scesi nelle piazze e per le strade all’inizio del 2011 in manifestazioni che portarono alla destituzione di parte di coloro che governavano i paesi a sud del Mediterraneo. Una controrivoluzione che trova la propria motivazione nelle parole di Olfa Lazreg, che lavora da qualche anno su progetti alla cittadinanza per i giovani per UNFPA. Olfa afferma che “la primavera araba non è stata una rivoluzione giovanile!” e non può esserlo se ad oggi la scena politica è dominata dalle vecchie figure del passato che non promuovono azioni di volontariato dei giovani nella società.

Quello, però, che la primavera araba ha innescato nella società civile di quei paesi, e lo ha fatto in maniera irreversibile, racconta Ghofran Ounissi, presidentessa del Forum delle organizzazioni giovanili musulmane in Europa, è la voglia e la necessità impellente di parlare di democrazia e diritti umani. Un cambio di prospettiva radicale che è emerso in tutta la sua determinazione nel cartello issato durante le rivolte egiziane e che urlava: “Mubarak leave and let us live!” (Mubarak vattene e lasciaci vivere la nostra vita in pace!). Oggi è diffusa la consapevolezza che la cittadinanza sia principalmente capitale sociale e umano da mettere in connessione anche a livello informale e che i giovani debbano essere il motore di questo cambiamento, che solo loro possano fare la differenza partendo dal basso. Questa prospettiva ce la racconta un progetto come il ‘bus citoyen’, un autobus di giovani volontari che gira instancabilmente per la Tunisia per raccontare i vantaggi della democrazia, per spiegare alla gente, soprattutto delle zone rurali, come prendere parte al cambiamento della società e andare a votare incida profondamente sulle proprie condizioni di vita per costruire, come racconta Salma Jrad, “una Tunisia più democratica, vigile e aperta!”.

E poi ci sono le difficoltà, tante, di “fare cittadinanza”: c’è l’opposizione della nuova politica spesso di stampo conservatore in quasi tutti gli stati presenti alla conferenza ed esistono ampie zone rurali storicamente poco interessate a temi come la tutela dei diritti umani. Però la primavera araba ha cambiato anche questo tradizionale atteggiamento di ostilità ci dice Emad Karim che rappresenta i giovani degli Stati della Lega araba: “anche i giovani che abitano le zone rurali dei paesi arabi parlano oggi di nuove tecnologie e di come queste possano, ad esempio, avere un ruolo sul tema dell’ambiente”. Ma non solo. Recentemente a seguito dell’esplosione in Libano di una bomba all’ambasciata iraniana si è letto dell’importante ruolo che nei paesi in conflitto starebbe avendo l’applicazione smartphone “happin!”, un sistema di trasmissione in tempo reale di quello che succede attorno a una persona. La circolazione delle informazioni permette spostamenti più attenti da parte della popolazione. Ed è proprio il senso di comunità che emerge dalle parole di Talal Maarouf dell’Arab Youth Coalition, una coalizione composta da più di cinquanta organizzazioni giovanili che si è costituita un anno fa con lo scopo di portare alla ribalta il tema della gioventù delle agende politiche nei paesi arabi, quando ci racconta degli interventi di pressione per costruire spazi di maggiore inclusione dei giovani nei processi decisionali a livello nazionale e locale.

In conclusione il tema della cittadinanza unisce la riflessione e assume oggi una posizione centrale nella costruzione di un’identità comune per questi giovani al sud del Mediterraneo, che si ritrovano uniti e a confronto con la voglia di costruire una piattaforma allargata di dibattito e con una rappresentanza femminile di rilievo che vuole far sentire la propria voce e incidere sui sistemi decisionali dei loro paesi. Il sfida è ora cogliere assieme questa opportunità e riflettere a livello di sistema sulla necessità di implementare politiche di sviluppo positivo del giovane (PYD – Positive Youth Development) in grado di creare condizioni di potenziamento delle capacità creative, innovative e sociali in genere dei giovani affinché possano attivarsi per cogliere in autonomia le opportunità del presente in termini di sicurezza, lavoro e migliori condizioni di vita. In questa direzione si sta muovendo l’Unione europea sulle politiche giovanili e con questo approccio è stato costruito e pensato l’intero incontro di Amman.