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Piccola resistenza quotidiana

Brasile: Casa do Sol offre un futuro alternativo ai ragazzi della zona, il progetto ha radici in Alto Adige. Il racconto dei due educatori Santos e Calisto.
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Foto: Aaron Bertoli

Nascere, crescere e soprattutto vivere nella periferia di Salvador de Bahia, in Brasile, non è una cosa semplice. Ultimamente la situazione è diventata davvero critica e molte zone della città sono ora teatro di violenza e scontri tra bande di narcotrafficanti. Da vent’anni, nel quartiere Cajazeiras, è attiva la Casa do Sol, che offre un futuro alternativo ai ragazzi e alle ragazze della zona. Gilmar Santos, 40 anni e Givanildo Calisto, 39 anni, sono due educatori della Casa do Sol, testimoni di un Brasile diverso, che si oppone alla criminalità e alla corruzione, promuovendo arte e cultura. Questo progetto ha radici in Alto Adige ed è per questo motivo che, lo scorso maggio, hanno trascorso qualche settimana in regione e hanno potuto raccontare la loro esperienza.
 

Che cos’è la Casa da Sol e da quanto tempo lavorate lì?
Gilmar Santos: La Casa do Sol si trova nella periferia della città di Salvador de Bahia, una zona piuttosto carente in termini di educazione e sanità. È stata fondata principalmente da Luis Lintner e Pina Rabbiosi, ma anche io ho collaborato alla nascita di questo progetto. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di garantire, a tutte le persone del quartiere, accesso all’educazione e all’ambiente culturale, sociale e politico. Questo progetto originariamente molto piccolo, è iniziato grazie ad un gruppo di donne del quartiere Cajazeiras che si riuniva per produrre medicinali naturali per la comunità. È così che ha avuto inizio la storia della Casa do Sol, un progetto partito completamente dal basso. Al gruppo di donne si è aggiunto un gruppo di giovani e con loro abbiamo iniziato diverse attività. Per esempio c’era, e c’è tuttora, un gruppo autogestito che si occupa di preparare i ragazzi e le ragazze per l’università, dato che i test di ammissione sono piuttosto difficili in Brasile.

Com’è la vita quotidiana nella periferia di Salvador? È vero che ci sono dei gruppi di narcotrafficanti che esercitano il controllo sul territorio?

GS: Sì ora è così. Quando è stata fondata la Casa do Sol però la pressione dei narcotrafficanti sul quartiere non era ancora così forte; negli ultimi anni si sono formati più gruppi e sono diventati più forti. È una situazione davvero difficile, perché questi gruppi si fanno la guerra fra di loro e, per di più, cercano di attirare i giovani nel loro giro e di “arruolarli”. Noi cerchiamo di dare appoggio e di offrire un’altra possibilità a tutti quei ragazzi che, altrimenti, finirebbero col diventare criminali.

È rischioso girare per le strade?
GS: Sì, soprattutto nel quartiere Aguas Claras. Diciamo che la situazione di violenza è molto forte in tutta Cajazeiras, ma Aguas Claras è la zona più colpita ed è proprio lì che sta nascendo un nuovo centro della Casa do Sol. Nel quartiere c’è una situazione di violenza quotidiana ed ogni settimana ci sono morti per via di scontri tra le varie bande di narcotrafficanti. Vista la situazione, la comunità di Aguas Claras ha cominciato a diventare molto attiva per tentare di opporsi ai problemi evidenti del quartiere. Ora siamo anche riusciti ad acquistare una piccola casa che prima apparteneva ad una di queste bande e stiamo lavorando sodo per rinnovarla e restituirla alla collettività. Questa diverrà un centro per ragazzi e ragazze, esattamente come la Casa do Sol, situato in un posto molto temuto dalla comunità proprio perché al centro delle lotte tra i gruppi. Ora però, da luogo di paura, deve diventare un luogo di speranza, un faro per tutte le persone del quartiere e soprattutto per i giovani, per dare loro un’alternativa.

Avete mai ricevuto delle intimidazioni? Qualcuno si è mai opposto alle vostre attività?
GS: Fino ad ora no, perché abbiamo prestato molta attenzione nel relazionarci alla comunità. Si sente il peso delle lotte tra i narcotrafficanti, della violenza ed è proprio per questo motivo che cerchiamo di coinvolgere le persone, per mantenere la situazione tranquilla e far sì che non degeneri. Più queste si sentono coinvolte, più diminuisce il rischio che la situazione divenga incontrollabile. Naturalmente dobbiamo essere sempre prudenti, ma finora tutto sta procedendo abbastanza bene.

Ricevete sostegno da parte delle istituzioni?
GS: Naturalmente collaboriamo con la Casa do Sol, che essendo a Cajazeiras da vent’anni ricopre un ruolo importante ed è molto rispettata. Inoltre collaboriamo con altre associazioni brasiliane attive nel sociale, come ad esempio la Caritas. Queste collaborazioni però non sono da paragonare con quelle che abbiamo con la Casa do Sol o con la comunità di Aguas Claras. Dobbiamo fare molta attenzione a collaborare con istituzioni esterne al quartiere, sempre a causa delle forti tensioni che sono presenti ogni giorno.

E le Forze dell’Ordine sono attive, ci sono dei controlli?
GS: La questione della cooperazione con la polizia è molto delicata, soprattutto perché ci sono delle grandi tensioni tra la polizia e le bande di narcotrafficanti. Il gruppo della Casa do Sol, così come il gruppo attivo ad Aguas Claras deve, per prima cosa, proteggere se stesso. In certi casi avere l’appoggio della polizia non rappresenta una garanzia. Molto spesso ci sono delle collusioni tra le Forze dell’Ordine e i gruppi di narcotrafficanti, quindi dobbiamo contare prevalentemente su noi stessi e sulla nostra comunità. Devo dire anche che queste bande di narcotrafficanti sono entrate in maniera così massiccia a Cajazeiras dopo le Olimpiadi dell’anno scorso e i Mondiali di calcio del 2014, perché la polizia ha scacciato i gruppi dalle grandi città di Rio e San Paolo e questi hanno finito per sparpagliarsi nelle periferie delle altre città brasiliane. Per questo ora, a Cajazeiras, la tensione è così alta, perché ci sono molti più gruppi a contendersi la piazza. La polizia inoltre agisce in maniera aggressiva, soprattutto nei confronti dei giovani e non ha l’impatto politico e sociale che dovrebbe avere. In molti casi non c’è collaborazione, ma repressione.

Lei invece in che contesto lavora?
Givanildo Calisto: Io lavoro per la Fundac, la fondazione per l’infanzia e l’adolescenza. Uno dei progetti di questa fondazione consiste nel seguire i minori che si trovano in carcere o negli alloggi che ospitano chi ha già commesso dei reati in passato. Io lavoro all’interno di questi alloggi, con gruppi che arrivano fino a venti ragazzi e li accompagno in questo percorso, controllando anche che non nascano conflitti interni. È molto importante dare un supporto sia psicologico sia sociale a questi ragazzi, infatti con loro svolgo delle attività di tipo artistico e educativo, come ad esempio la Capoeira. Il nostro obiettivo è favorire il loro reinserimento nella società una volta usciti da quella situazione.

E questo progetto funziona, ci sono dei buoni risultati?
GC: È molto difficile darti una risposta, perché la situazione è davvero complessa. Alcuni ragazzi riescono a reinserirsi nella società, però molti altri finiscono per rientrare nel giro criminale, questo soprattutto perché una volta usciti viene a mancare loro l’appoggio sociale che invece avevano nella struttura di cui erano ospiti. Proprio per questo la Casa do Sol è così importante, perché fa un lavoro di prevenzione già con i bambini in età prescolare, dando loro un’altra prospettiva e diverse possibilità di esprimersi, quindi diminuisce il rischio che in un futuro questi possano finire nel vortice del narcotraffico. I ragazzi e le ragazze della Casa possono restare fino all’età adulta e poi scegliere di collaborare con noi, diventando attivi in prima persona.

Come ha conosciuto la Casa do Sol?
GC: Collaboro con loro ormai da dieci anni. Mi sono imbattuto nella casa tramite un italiano per cui avevo lavorato e, visto che in quel momento ero disoccupato, ho deciso di entrare a far parte di questa comunità.

Come vedete il futuro e soprattutto, in che cosa sperate?
GC: Io spero in un Brasile finalmente libero dalla corruzione e dalla violenza e soprattutto che i miei due figli possano crescere in una società non più preda del malaffare e corruzione che, nel nostro Paese, sono presenti ad ogni livello della vita quotidiana.

GS: Il mio grande sogno, che spero vivamente si possa realizzare, è che il regime della classe medio-alta in Brasile formata da persone di origine europea e non afrodiscendenti come noi, smetta di protrarre il razzismo e l’omofobia. Io mi auguro veramente che questa situazione cambi in maniera strutturale, perché ci sono troppe tensioni e differenze all’interno della società brasiliana. Anche per questo motivo i progetti che portiamo avanti, sia nella Casa do Sol sia ad Aguas Claras, sono così importanti, perché provano a tracciare un percorso per uscire da questa situazione ed offrono un’alternativa. Il Brasile è conosciuto nel mondo come il Paese dell’allegria, della musica e del carnevale e questo è vero, siamo persone allegre, ma la nostra allegria e la nostra voglia di vivere sono sempre state un’arma. Danzando e cantando ci siamo sempre opposti alla sottomissione, perché questa è la nostra maniera di combattere e per la nostra dignità e per la nostra libertà.

GC: Io credo che questa divisione tra poveri e ricchi, tra queste due classi sociali, sia frutto di un sistema organizzato ed orchestrato. Non è il risultato di una casualità, ma è una cosa perfettamente strutturata. Il Brasile in questo momento sta vivendo un periodo davvero turbolento e questo è evidente anche nella risonanza mediatica che, soprattutto la situazione politica, sta avendo. C’è una lotta, sia nella politica sia nella società, che somiglia sotto molti aspetti ad una lotta di classe. Noi, come popolazione di colore, siamo sempre stati sottomessi ed ora stiamo mettendo in atto una vera e propria resistenza attraverso i nostri progetti e le nostre attività.

GS: Basti pensare che nella nostra città ogni settimana muoiono circa 25 giovani a causa della violenza dei gruppi narcotrafficanti o degli scontri tra le bande e la polizia.

GC: È quasi come se stessero compiendo un genocidio contro la popolazione di colore e noi dobbiamo cercare di resistere, perché la situazione è davvero critica.

 

 

Salvador de Bahia: La città ha una popolazione prevalentemente nera, discendente dagli africani portati in Brasile come schiavi. Nel 1888 venne abolita la schiavitù, ma gli ex schiavi, seppur liberi, continuarono a subire discriminazioni. Negli ultimi trent’anni il movimento nero è riuscito a far sì che gli afrodiscendenti si riappropriassero della loro identità e della loro storia.

Casa do Sol: Fondata nel 1997 dal missionario altoatesino Luis Lintner e da Pina Rabbiosi nella periferia di Salvador, in Brasile. Nel 2002 padre Luis venne ucciso a causa della sua lotta alla droga e alla violenza. Da vent’anni la casa si occupa dei ragazzi del difficile quartiere Cajazeiras e delle loro famiglie. L’oew da anni collabora con la Casa do Sol, raccogliendo fondi e promuovendo viaggi di solidarietà per i giovani altoatesini.

Capoeira: Un’arte marziale brasiliana, spesso scambiata  per una danza, caratterizzata da musica ed armonia nei movimenti. Sviluppata dagli schiavi  africani in Brasile, assume il significato di lotta e resistenza nei confronti dell’oppressore.

Narcotraffico in Brasile: I trafficanti sono riusciti ad espandersi e a arruolare frotte di giovani in tutto il Brasile, soprattutto in ambienti contrassegnati dall’ abbandono familiare, sociale e culturale. Questi adolescenti trovano all’interno delle organizzazioni terroristiche o narcotrafficanti, e non nelle istituzioni, quel senso di appartenenza di cui hanno bisogno. Le bande sono come aziende e offrono uno stipendio, una “famiglia” e protezione.