Berlusconi, Silvio
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Politics | Centrodestra

Silvio, rimembri ancora?

Vent'anni di inutili corteggiamenti tra l'ex Cavaliere e la SVP.

L'epifania meranese dell'ex cavaliere Silvio Berlusconi, oltre ad essere stata prontamente catturata dall'universo del pettegolezzo politico italiano, ha avuto anche l'effetto di riproporre, attraverso le parole del protagonista, un tema che riguarda da vicino il piccolo teatrino della politica altoatesina: quello del matrimonio d'amore mai celebrato tra Forza Italia e la Suedtiroler Volkspartei.

Non ha tutti i torti il Sire di Arcore quando sostiene che l'universo ideale della sua politica è assai più vicino quello del partito di raccolta sudtirolese di quanto non lo siano gli eterni avversari del centro-sinistra. Sta di fatto, però, che un matrimonio così naturale non si è mai potuto celebrare. L'appello meranese è sembrato a qualche cronista distratto come una folgorante novità. Nulla di meno vero. Si tratta solo di uno slogan ripetuto, con convinzione ma senza effetto alcuno, da oltre un ventennio, da quando, se vogliamo, Berlusconi fece il suo clamoroso ingresso sulla scena politica del Belpaese.

Correva, come si ricorderà, l'anno 1994 e, sventolando quella che lo scrittore Giancarlo de Cataldo ha definito come una delle più indovinate metafore manipolative mai usate in politica, Berlusconi annunciava la sua discesa in campo assieme alla squadra degli azzurri. Dal remoto angolo visuale della politica altoatesina la cosa veniva seguita già allora con preoccupata diffidenza, la stessa con cui la SVP aveva osservato, negli anni precedenti, la nascita e l'affermazione dell'indipendentismo padano di Umberto Bossi. Non era tanto la figura del Tycoon milanese o la composizione della sua squadra a preoccupare i vertici del partito sudtirolese. Berlusconi, in quella fase, aveva arruolato sotto le sue bandiere molti personaggi della diaspora democristiana, socialista e laica, ponendoli però sotto lo stretto controllo di uomini di sua totale fiducia. Uno schema seguito anche per dar vita a Forza Italia nel Trentino Alto Adige. Qui il bastone di comando era stato consegnato a Giancarlo Innocenzi, un manager approdato alla galassia Fininvest, dopo aver gestito per qualche anno un'emittente privata di Trento. La preoccupata attenzione degli uomini SVP si concentrava però sui compagni di strada che Berlusconi si era scelto e in particolare sugli eredi del vecchio Msi, reincarnatosi, dopo il lavacro termale di Fiuggi, nella nuova formazione di Alleanza Nazionale. Nel nuovo simbolo la vecchia fiamma tricolore era rimpicciolita ma, a Bolzano come altrove, restavano gli stessi i personaggi che avevano condotto decenni di battaglie strenue ininterrotte contro tutti i tipi di autonomia per la minoranza sudtirolese e che ora, sul punto di entrare finalmente nella stanza dei bottoni, assaporavano vendette lungamente attese promettendo apertamente che sarebbero stati riparati i torti inflitti agli italiani dell'Alto Adige.

Nel breve interludio del primo esecutivo guidato da Berlusconi nulla di tutto ciò parve dover accadere, se si eccettua il licenziamento dell'odiatissimo Alcide Berloffa, allontanato in tutta fretta dalla guida delle commissioni dei 6 e dei 12 e sostituito proprio da Innocenzi, sulla cui nomina a presidente si innesterà un lungo e complesso contenzioso che paralizzerà per molto tempo l'attività dei due organismi. Il primo Berlusconi resta comunque in sella pochi mesi e perché avvenga un fatto veramente eclatante nella strategia di Forza Italia riguardo all'Alto Adige occorrerà attendere un paio d'anni. Quando sta per partire la campagna elettorale per le politiche del 1996, arriva l'annuncio. Il candidato del Polo delle Libertà per il collegio della Camera di Bolzano arriverà da fuori provincia. Il nome è quello del romano Franco Frattini, Consigliere di Stato, qualche esperienza politica nei ranghi del PSI prima delle Forza Italia poi. Del tutto sconosciuto dalle parti di Bolzano, però, Frattini non era. Nominato Ministro delle Regioni nel governo tecnico guidato da Lamberto Dini, aveva respinto con una certa grinta le richieste della Suedtiroler Volkspartei. Arrivato a Bolzano e subito affiancato, nel ruolo di assistente, da un altro volto nuovo, quello di Michaela Biancofiore, Frattini sembrò allora poter incarnare il modello di un centro destra svincolato dai fantasmi dell'antiautonomismo post fascista, ma capace di rappresentare gli interessi del gruppo italiano in un dialogo con i sudtirolesi finalmente scevro da antiche preclusioni.

Le elezioni vanno bene. Frattini viene eletto battendo, sia pur di poco, il candidato unitario sostenuto dal centro sinistra e dalla SVP. A livello nazionale, però, vince Prodi e i rapporti tra il centrodestra e il mondo sudtirolese restano quelli di sempre.

L'idea di proporre al mondo tedesco un interlocutore, da parte italiana, in grado di far concorrenza al centro sinistra continua, tuttavia, a restare di attualità e prende decisamente corpo quando si tratta di formare le liste elettorali per le provinciali del novembre 1998. Qui, sicuramente, sotto l'egida di Franco Frattini, Forza Italia produce il suo tentativo più serio e deciso in questa direzione. In una lunga serie di riunioni aperte a chiunque voglia partecipare si cerca il coinvolgimento di quella parte della comunità italiana che lamenta da decenni di essere esclusa dai professionisti della politica, ignorata dal potere SVP e che, ad onta di una comunanza di giudizi, non intende essere rappresentata dalla destra postfascista.

È un appello alla cosiddetta "società civile" che si completa con l'esclusione dalla lista di tutti i professionisti della politica. Già nella fase preelettorale, tuttavia, emerge abbastanza chiaramente che molti tra coloro che potrebbero essere coinvolti preferiscono rimanere seduti a pontificare ai tavolini di qualche bar cittadino. È una sensazione che trova conferma nei risultati elettorali. La formazione, che si presenta con i simboli uniti di Forza Italia, di uno dei tanti partiti della diaspora cattolica e come lista civica, raccoglie un risultato numerico abbastanza deludente e porta in consiglio provinciale solo un eletto. Nulla di più di quel che avrebbe potuto ottenere presentandosi come partito. Gli italiani preferiscono continuare a votare per gli ex missini o per qualche reduce dalle file della Dc.

Si rafforza invece, con la comparsa sulla scena altoatesina di Gianclaudio Bressa, esponente del Partito Popolare veneto, il rapporto fra il centro-sinistra e la SVP. Alle politiche successive Frattini non riesce a ripetere l'exploit e viene battuto, nel collegio bolzanino, proprio da Bressa. Per rientrare in Parlamento deve contare sul ripescaggio.

Ad onta di tutto questo il centrodestra continua a manifestare, tra l'elettorato italiano dell'Alto Adige, una tendenza alla crescita che non si arresta ormai da quasi vent'anni. Il culmine viene raggiunto nella primavera del 2005, quando oltre 25mila bolzanini consegnano a Giovanni Benussi la vittoria al ballottaggio per la carica di sindaco. È un successo storico, che poggia però su basi malferme, in quanto il sistema elettorale ideato per i comuni altoatesini non prevede che al sindaco eletto direttamente venga consegnata una maggioranza in grado di farlo governare. È il momento cruciale nel quale il centrodestra vittorioso deve rivolgersi alla Suedtiroler Volkspartei per chiedere quanto meno un appoggio esterno. Per superare le forti resistenze del mondo sudtirolese sbarca a Bolzano lo stesso Silvio Berlusconi, ma tutto è inutile. Per la Suedtiroler Volkspartei è inaccettabile anche solo l'idea di appoggiare dall'esterno una giunta di centro-destra. È, più o meno, quel che è avvenuto di recente a Laives, ma Laives non è Bolzano e il 2005 non è il 2017.

Lo strappo delle comunali del 2005 segna la fine di ogni serio tentativo di trovare un'intesa globale tra il centrodestra italiano e il mondo politico sudtirolese. A livello nazionale i rapporti sono anche abbastanza buoni. Il tentativo degli esponenti altoatesini di Alleanza Nazionale di far approvare in Parlamento una sorta di revisione degli istituti autonomistici, il cosiddetto "pacchetto degli italiani" viene scongiurato, come ha narrato recentemente il senatore Karl Zeller, facendo intervenire in maniera informale su Berlusconi e sull'allora Presidente della Camera Casini i vertici dello Stato austriaco. Con i governi di centro-destra la SVP mantiene un rapporto di diffidente realismo. Cerca di evitare che vengano danneggiati i propri interessi ma è anche capace di cercare intese quando se ne prospetti la possibilità. I due esempi che vengono per primi alla mente sono il famoso "Accordo di Milano" per la definizione del contributo altoatesino ai tagli di bilancio statali e l'intesa quasi raggiunta con l'allora Ministro delle Regioni Raffaele Fitto per la revisione della toponomastica. Nel partito sudtirolese non manca poi una corrente, a volte vigorosa, che predica l'abbandono dell'alleanza organica con il centro-sinistra e una politica di maggior attenzione al centrodestra, mascherata dal concetto di "blockfrei". I tentativi di avvicinamento vengono tuttavia regolarmente frustrati dal problema di sempre: le questioni a sfondo etnico sulle quali la SVP non intende cedere di un millimetro e che il centrodestra italiano cavalca sia pur in varia misura e con diverse sfumature. Negli ultimi anni poi ogni possibile contatto diviene ancor più difficile per il progressivo sfaldamento delle varie formazioni politiche di quell'area politica. Basti riflettere sul fatto che uno schieramento che, in Consiglio Provinciale a Bolzano, contava stabilmente su cinque consiglieri, oggi ne annovera a malapena uno.

Silvio Berlusconi, quando dal suo ritiro meranese invoca l'alleanza con i sudtirolesi, guarda indubbiamente, com'è ovvio, alle politiche della prossima primavera. Anche se il sistema elettorale non sarà più quello dell'ultima volta, il leader del centrodestra non può dimenticare facilmente che, nel 2013, a consegnare la vittoria e premio di maggioranza al centro sinistra sono stati senza dubbio i 146.800 voti portati in dote dalla Stella Alpina. A Bolzano però lo sguardo non si sofferma solo sulle elezioni politiche, che vengono certo affrontate con serietà ma che sono tutt'altro che decisive per le sorti del partito. Quel che conta, dal punto di vista di via Brennero, sono le provinciali dell'autunno nelle quali si decideranno gli equilibri di potere per il prossimo quinquennio di governo della Provincia. Come è ovvio lo slogan che viene ripetuto è quello secondo cui la SVP tornerà ad essere partito di maggioranza assoluta in voti in seggi, ma i primi a sapere che questa prospettiva è tutt'altro che certa sono proprio i maggiorenti del partito. Ed allora lo sguardo che spazia sul futuro cerca di individuare anche i possibili alleati per una Volkspartei costretta, per la seconda legislatura consecutiva, a non poter fare tutto da sola come era stata abituata per decenni.

Le alleanze sul piano nazionale, in questa prospettiva, sono funzionali soprattutto a disegnare un quadro di garanzie per il governo locale. È su questo piano che le prospettive di un'intesa con centrodestra, che magari in campo nazionale potrebbe anche avere degli sbocchi, divengono incerte. E il richiamo meranese di Silvio rischia di restare, ancora una volta, inascoltato.