Environment | Grandi predatori

"Stopp" mistificazioni sul lupo

L'analisi del giornalista Mauro Fattor, studioso dei grandi predatori: "Campagna mediatica assurda. Prima di pensare ai prelievi si inizi a proteggere gli animali".
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Foto: (Foto: salto.bz)

Prima di leggere l'intervista che segue al giornalista Mauro Fattor, grande esperto del “tema lupo”, si consiglia di scorrere velocemente lo studio linkato qui sulle misure di prevenzione adottate dalle regioni alpine per difendere il bestiame dai grandi predatori e arrivare alla voce “Italy”. Si noterà che ne manca solo una, di regione. Per comodità, ecco l'immagine riassuntiva.

L’Alto Adige, in sostanza, fa obiezione di coscienza. Qui vivono circa 35 lupi ma le misure di prevenzione non vengono usate per principio e gli animali da allevamento vengono lasciati incustoditi. La spiegazione data dai contadini è che sulle montagne del Sudtirolo le condizioni sono diverse rispetto al resto dell’arco alpino e proteggere il bestiame è più complicato e faticoso. Sugli alpeggi altoatesini pascolano infatti piccole greggi e il livello di antropizzazione della montagna è altissimo. Tutto vero. Ma al di là delle indubbie specificità del territorio, con il passare del tempo sembra di poter dire con sempre maggiore convinzione che gli animali (47 le pecore predate tra settembre ed oggi) siano biecamente utilizzati – ci si passi il bisticcio – come agnelli sacrificali per perseguire scopi politici di altro tipo.

Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad una incredibile campagna mediatica del Dolomiten che ha portato a livelli di isteria collettiva parossistici. Oltre all’episodio della val d’Ultimo, su cui non serve spendere altre parole, sul giornale dei sudtirolesi sabato scorso si è parlato dello studio del Norwegian Institute for Nature Research  (NINA) con il titolo "Quasi 500 attacchi ad essere umani". Del resto i giornali hanno la facoltà di interpretare i dati a loro piacimento. Qui non si pretende di fornire alcuna verità assoluta ma nel box in fondo all’articolo trovate la traduzione letterale dello studio completamente stravolto dal Dolomiten e qualche considerazione al riguardo. Si vedrà come gli estensori della ricerca diano un'interpretazione dei dati tranquillizzante diametralmente opposta a quella del giornale Athesia.

La sensazione generale, dunque, è che, non bastando le pagine con budella di animali sbranati, in via del Vigneto, per terrorizzare i lettori, si sia deciso a tavolino di alzare il tiro. Occhio: non solo pecore, il lupo mangerà presto noi e i nostri bambini. E da quello che si legge sui social ci sono diverse persone che sembrano non attendere altro che proprio qui, a 150-200  anni dagli ultimi casi, accada il primo “fatto eclatante” per poter dire che loro l’avevano detto. Diciamo che creare una psicosi di massa è sicuramente il modo migliore per fare sì che la profezia si autoavveri.

Ex caporedattore del quotidiano Alto Adige, nel 2021 Mauro Fattor ha lasciato il giornale per ragioni personali e per divergenze nella linea editoriale. Specializzato nei rapporti tra ambiente, società e media, il giornalista ha prodotto centinaia gli articoli sul tema dei grandi predatori e mirati all'impatto culturale, sociale ed economico del loro ritorno in ambiente alpino. Da quasi 15 anni fa parte del Glamm, il Group for Large Mammamls Conservation and Management dell’Associazione Teriologica italiana e oggi insegna al master Fauna and Human Dimension dell’Università dell’Insubria, a Varese, occupandosi proprio del modulo sui grandi predatori.

 

salto.bz: Fattor, come valuta la gestione della problematica del lupo in Alto Adige? 

Mauro Fattor: La risposta è semplice: velleitaria e utopica dal punto di vista politico e allo stesso tempo disastrosa, per non dire suicida, dal punto di vista dei risultati. In Alto Adige si sono buttati gli ultimi cinque anni inseguendo l'idea che l'Unione europea dovrà piegarsi alle ragioni dei contadini sudtirolesi. Questa è la linea ufficiale Svp portata avanti dall’ ex-direttore del Bauernbund e oggi eurodeputato, Herbert Dorfmann: lavoriamo in Europa e in Italia per abbassare lo status di protezione del lupo, oggi tutelato dalla Direttiva Habitat e dalla Convenzione di Berna. Un obiettivo che, tanto per essere chiari,  richiede l'accordo di tutti e 27 i Paesi del’Unione e quindi lontanissimo e complicato. La Volkspartei ha però galvanizzato le proprie truppe garantendo ai contadini che Bruxelles non potrà che capitolare, e di conseguenza il Bauernbund, a differenza di quanto sta accadendo in tutte le regioni confinanti, Trentino e Veneto compresi, ha deciso di non fare assolutamente nulla sul piano della prevenzione. Ma proprio nulla. Si urla e si strepita, e questo è tutto. Provate a chiedere all’Assessorato agricoltura e foreste quanti sono i contadini che in questi anni hanno chiesto le recinzioni elettrificate e scoprirete che si tratta di numeri ridicoli: ogni  anno si contano sulle dita di una mano. I contadini, senza spendere un solo euro, potrebbero accedere alle misure di protezione, ma non lo fanno. Stanno a guardare. E non fanno nulla per mettere in sicurezza le loro greggi. 

Non fare nulla sul piano della prevenzione significa educare generazioni di lupi a predare preferenzialmente, se non esclusivamente, animali domestici. Un errore imperdonabile.

Cioè: la Provincia in questo caso concede contributi che coprono il 100% dei costi?

Esattamente. E tutto ciò a fronte di un allarme sociale che ha raggiunto livelli di isteria collettiva, come se il lupo esistesse solo in Alto Adige. Voglio dire: in provincia di Bolzano ci sono circa 35 lupi e neppure una riproduzione accertata, mentre senza andare tanto lontano, in Trentino parliamo di 26 nuclei riproduttivi, con almeno 18 branchi. Branchi, non esemplari singoli. Eppure la zootecnia trentina, pur con tutte le sue difficoltà, è in ottima salute. Ma questa politica di inerzia in attesa che l'Europa si pieghi alle ragioni dell'Alto Adige, come dicevo, non solo è politicamente velleitaria, ma è suicida sul piano pratico. Non fare nulla sul piano della prevenzione significa educare generazioni di lupi a predare preferenzialmente, se non esclusivamente, animali domestici. Un errore imperdonabile. Il lupo è un animale estremamente intelligente e come tutti i predatori ragiona secondo un banalissimo principio di bilancio energetico: massimo risultato col minimo sforzo. Se l’allevatore non fa nulla per difendere le proprie greggi, il lupo si abituerà a fare rifornimento in questa sorta di ristoranti all’aperto che sono gli alpeggi altoatesini. Se non ci sono cani da guardiania, pastori, recinzioni elettrificate di protezione, per quale motivo un lupo dovrebbe darsi da fare per predare un cervo o un capriolo? Il secondo elemento che trovo indigeribile è che l'intera tematica del lupo e dei predatori in generale, in Alto Adige da subito sia stata presa in ostaggio da pochi soggetti, tutti portatori di interessi diretti e tutti riconducibili, nelle sue diverse articolazioni partitiche o di associazione, al mondo rurale, ovvero alla frangia più tradizionalista, talvolta reazionaria, e ostile al cambiamento della società sudtirolese.

Passano gli anni e il ruolo dei contadini nella Svp è sempre più centrale …

Non c’è dubbio. Il Bauernbund si è letteralmente mangiato il partito negli ultimi anni, nonostante il mondo rurale in Alto Adige complessivamente rappresenti solo il 5% della popolazione.  Aperta parentesi: questo è un problema innanzitutto per la Svp, anche se pubblicamente non lo ammetterà mai. Chiusa parentesi. Bauernbund e Jagdverband, ovvero l’Associazione Cacciatori Alto Adige, una sorta di “ancella” del Bauernbund, si sono appropriati della tematica lupo uccidendo ogni dissenso. Bisogna sapere che il prelievo venatorio in Alto Adige è una sorta di funzione derivata del mondo agricolo, il che tradisce un'impostazione antiquata e passatista della gestione faunistica per il semplice fatto che non sempre gli interessi dei contadini coincidono con gli interessi della gestione degli ecosistemi in generale. Riassumendo e tornando al lupo: oggi abbiamo tre soggetti, un partito con la sua ala più conservatrice e due associazioni di categoria portatrici di interessi diretti, che gestiscono in regime di monopolio un tema che invece riguarda la gestione di un bene collettivo, perché la fauna, predatori compresi, è un patrimonio collettivo, appartiene a tutti. Sarebbe come  dire che il tema delle carceri viene dato in appalto alle guardie penitenziarie, ai detenuti e i loro avvocati e che la società civile in generale viene messa alla porta. Inaccettabile. È evidente che non possono essere i portatori di interessi da soli a gestire un tema complesso che riguarda tutta la collettività. La realtà è che in Alto Adige, non da oggi, esiste una sorta di subalternità culturale rispetto al mondo rurale, una subalternità che poi si trasmette anche alla politica. C'è una bizzarra forma di sudditanza per cui tutto il mondo politico, anche quello lontano dalla galassia Svp, diventa estremamente timido nell'affrontare con lucidità queste tematiche. 

 

Se una persona che abita in città prova ad aprire bocca viene subito zittita. E francamente è una cosa inaccettabile. 

Sì, esattamente. Tutto il mondo urbano viene bollato come incompetente. Tu sei di città per cui tu non apri la bocca. Solo che al di là della questione lupo, questa subalternità culturale fa sì che oggi il mondo rurale,  e cioè questo 5% della popolazione, controlli tutte le leve della pianificazione territoriale a livello provinciale. E tutte significa tutte. Basti pensare che il Bauernbund attraverso il vicesindaco del capoluogo (Luis Walcher, ndr), gestisce pure l’assessorato all’Urbanistica di Bolzano. Questa non è una situazione sana e neppure normale. Parlando del lupo, tutto ciò spinge a delegittimare qualunque altro soggetto provi ad entrare con competenza dentro il tema, comprese istituzioni scientifiche come l’Eurac e il Museo di Scienze Naturali. L’Eurac ci ha provato e ci prova ed è stata massacrata dal Bauernbund sul Dolomiten. Il Museo di Scienze Naturali, con coraggio, fa altrettanto ma andando contro il proprio statuto, voluto da Durnwalder, che lo impegnerebbe a starsene alla larga dai temi che possono calpestare i piedi all’Associazione Cacciatori Alto Adige. L'università invece, obbedisce, e si tiene lontana da questo tema per scelta consapevole. Si è creata quindi questa situazione assolutamente inaccettabile e assurda in cui non è possibile esprimere delle idee “altre” e avere un confronto democratico.

La filosofia prevalente è quella del “io ho il diritto di portare i miei animali al pascolo come facevano 100 anni fa”. Ma questa è un’assurdità, perchè la montagna di oggi non è quella di 100 anni fa.

In Alto Adige è esattamente così. Si leggono solo posizioni isolate di difesa del lupo, il tema, forse per ragioni di convenienza elettorale, non viene affrontato neppure da un partito come i Verdi. Ma è anche vero che fuori da questo territorio una parte sostanziosa degli ambientalisti è su posizioni esageratamente protezionistiche anche verso grandi predatori che sono effettivamente problematici. D’altro canto, facendo l’avvocato del diavolo, va rilevato che il nostro territorio non è paragonabile a quasi nessun altro nell’arco alpino e tanto meno dell’Appennino, dove la convivenza con i lupi c’è da sempre ma la presenza umana è imparagonabile. Qui abbiamo un livello di antropizzazione e di presenza turistica gigantesco e sistemi di allevamento con piccole greggi che è sicuramente meno “economico” proteggere rispetto a greggi di 500 pecore. Come se ne esce? 

L'arrivo del lupo in una zona da cui era scomparso da un secolo è sempre uno shock, ma questo vale tanto in Alto Adige quanto in Provenza piuttosto che in Veneto o in Piemonte. Sarebbe stupido dire il contrario e minimizzare la portata di questo ritorno. Tanto più con le modalità di allevamento che sono in uso qui. Con il lupo si possono trovare forme di ragionevole coesistenza, come l’esperienza di altre zone di montagna dimostra, ma va detto chiaramente che la presenza del lupo è incompatibile con allevamenti di tipo brado o semi-brado, senza cani da guardiania e senza pastori. Che è esattamente la situazione altoatesina.  Bisogna però anche essere consapevoli del fatto che in Alto Adige non esiste neanche un allevatore professionale di ovicaprini  Questo significa che l'attività di allevamento di pecore e capre al massimo, e ribadisco al massimo, perchè in molti casi si tratta di semplici hobbysti, è una fonte di reddito complementare, spesso residuale,  e quindi nessuno muore di fame per la predazione del lupo. Predazioni che peraltro vengono risarcite al 100% e che riguardano nella gran parte dei casi animali destinati comunque al macello. In Alto Adige la consuetudine è quella di avere sei, sette, dieci animali da portare all’alpeggio a Pentecoste e da riprendere a fine settembre, senza alcun tipo di onere aggiuntivo in termini di costi e di lavoro. La filosofia prevalente è quella del “io ho il diritto di portare i miei animali al pascolo come facevano 100 anni fa”. Ma questa è un’assurdità, perchè la montagna di oggi non è quella di 100 anni fa. Le malghe di oggi non sono quelle di 100 anni fa. Le malghe oggi hanno la strada, l'elettricità, l'acqua. Il sostegno della mano pubblica, della collettività, cittadini compresi, alla zootecnia di montagna non è mai stato così robusto e continuo. Non esiste alcun diritto di fare una cosa come la si faceva 100 anni fa. Un giornalista oggi non può pretendere di scrivere i pezzi a macchina come faceva 50 anni fa. 

In gran parte quindi si tratta di persone che hanno altre entrate ed in più tutte le attività di montagna sono sovvenzionate con i fondi europei e le predazioni risarcite. 

Facciamo un esempio. Un allevatore che fa parte di un'interessenza che ha una malga di 1000 ettari con altri 19 aventi diritto, prende parecchi soldi dall'Unione europea per monticare quella malga, ma neanche un euro di quei soldi in questi anni è stato speso per le misure di prevenzione. Neanche uno. Tra il 2015 e il 2019 la Provincia autonoma di Bolzano come Piano nell’ambito del PSR (Piano di sviluppo rurale) ha ricevuto 366 milioni di euro di fondi europei. I contadini prendono soldi per portare gli animali in alpeggio durante i mesi estivi, ma hanno costi vicini allo zero. Portano in alto le pecore a Pentecoste, e le riportano a valle a fine settembre. Sono animali in asciutta, cioè, le pecore non vanno munte. Non hanno costi fissi perché non hanno pastori. Il 70% degli animali riportati a valle finisce al macello. La Provincia copre il 100% degli animali predati e il 50% dei costi di assicurazione contro gli eventi catastrofici o per gli animali che vanno perduti per altre cause. Vorrei fare presente che prima del 2015 se un allevatore portava un animale in alpeggio l'incentivo era di 25 euro per ettaro, nel 2019 è arrivato a essere 130 euro per ettaro, più il 50% di greening, per l'attività di manutenzione dell'alpeggio. Quindi per ogni ettaro si arriva a 190 euro. Il che significa che se sono uno degli aventi diritto di quella malga di 1000 ettari di cui parlavamo prima, mi porto a casa 5 o 6mila euro senza fare granché. Quindi bisogna ragionare se ha senso interpretare questa contribuzione come una sorta di aiuto a fondo perduto per l'agricoltura, oppure se invece sia giusto e doveroso chiedere anche ai contadini, in tempi di potente crisi climatica e della biodiversità, di cambiare mentalità e approccio alla quesatione dei predatori e di investire una piccola parte di quest entrate per proteggere i propri animali e per passare a pratiche di pascolo più moderne, efficienti e razionali. 

Lei ora vive in un piccolo paese del Massiccio Centrale, in Francia, in montagna. Anche lì i problemi con il lupo non sono pochi.

Assolutamente vero, ma la tematica è diversa, tanto a livello gestionale che sul terreno. Lì abbiamo allevatori professionali che detestano il lupo, come accade qui, ma per tutti quegli allevatori è ovvio ed automatico sentire il dovere di difendere i propri animali.  E’ questo a fare la differenza e a rendere incomprensibile l’approccio sudtirolese al tema dei predatori: la discrasia tra gli alti lai che si alzano sui danni del lupo e il nulla che si fa per cercare di evitarli Aggiungo che la ricomparsa del lupo può essere vista anche come un’eccellente occasione per rimodellare le nostre modalità di pascolo e avere una zootecnia più efficiente. In Alto Adige abbiamo 1496 alpeggi e nessuno sa bene neanche quali siano monticati e quali no. Ci sono situazioni legate ai diritti di pascolo che affondano le radici nel Medioevo e magari, visto che siamo nel 2022, conviene prendere in mano la materia e riorganizzare il settore in modo organico. 

 

Prima ha nominato tre attori che hanno il monopolio della tematica. Forse ce n’è però un quarto che funge un po’ da regista e da sobillatore che è Athesia. La casa editrice ha allestito la più feroce campagna mediatica delle mille condotte senza pietà nella propria storia, tanto che in confronto ai lupi Arno Kompatscher è portato su un palmo di mano. Quanto incide secondo lei nell’isteria collettiva che stiamo vedendo in questi giorni?

Athesia è un mondo variegato. Per quanto riguarda il lupo è il Dolomiten che da anni conduce una campagna che, in particolare nelle ultime settimane, con l'informazione giornalistica ha ben poco a che fare. E’ una caccia alle streghe, una campagna di demonizzazione in cui il lupo è semplicemente il Nemico. Vengono sistematicamente violate le più elementari regole di deontologia professionale: verifica delle notizie, obbligo di rettifica, lealtà verso i lettori. Vengono utilizzate informazioni parziali, distorte o infondate per creare allarme sociale. Basti vedere quello che è successo con l'ultimo caso, il presunto avvistamento di lupi in val d’Ultimo. Posso capire che il primo giorno si dia spazio solo alla versione confusa delle donne. Ma se il giorno dopo arriva la smentita del direttore dell'Ufficio caccia e pesca, Florian Blaas, il quale a seguito delle verifiche fatte in loco specifica che nell’area dell’avvistamento sono state trovate solo impronte di camosci e aggiunge che segnalazioni come questa sono il frutto di un clima di tensione creato dai media, come si fa a ignorarla? Questo, a mio modo di vedere, è un grande problema. 

Fa veramente male vedere i dati dell’ultimo Nina Report branditi come una clava per alimentare le paure dei lettori.

Al di là poi del modo vergognoso con cui è stata data quella notizia il problema è quotidiano. In tutti i casi di predazioni negli ultimi anni non è mai stato detto che si trattava sempre di animali non protetti adeguatamente.

Io non voglio dare lezioni a nessuno, ma sul giornale si continua a parlare dell'inutilità e dell'inefficacia delle misure di protezione raccontando che il lupo è entrato anche in presenza di recinzioni elettrificate, confondendo recinzioni di contenimento con recinzioni di protezione. Le prime sono fatte per evitare che chi è dentro esca fuori, le seconde per evitare che chi è fuori entri dentro. E sono completamente diverse dal punto di vista strutturale e funzionale. A tutti gli effetti queste sono mistificazioni della realtà, volontarie o meno, non lo so. Così come fa veramente male vedere i dati dell’ultimo NINA Report branditi come una clava (si veda anche l'Infobox in fondo all'articolo) per alimentare le paure dei lettori. Il Norwegian Institute for Nature Research monitora periodicamente tutte le aggressioni dei grandi predatori nel mondo, lupo compreso. Nell’ultimo report, parliamo di gennaio 2021, si specifica senza possibilità di equivocare, che in Europa e in Nordamerica le possibilità di essere aggrediti da un lupo non sono zero, perchè il lupo resta pur sempre un predatore con un potenziale offensivo importante, ma che sono talmente vicine allo zero da non essere quantificabili. Altra storia è dove il lupo si trova in habitat fortemente degradati, in assenza di prede naturali, in situazioni socio demografiche ad alta densità abitativa, in competizione per le poche risorse trofiche disponibili e in presenza di lavoro infantile. In quelle condizioni il lupo diventa un animale pericoloso, che può uccidere. E lo fa. Accade in India, in Iran, in altri Paesi con realtà sociali e ambientali estremamente complesse. Bene: nessuna di queste condizioni di rischio è presente oggi sulle Alpi. Al contrario: c’è un habitat più che idoneo, grande abbondanza di prede naturali, nessun fenomeno di sfruttamento del lavoro infantile, niente competizione per il cibo. Fermo restando che, comunque, anche in contesti come il continente asiatico, la stragrande maggioranza delle aggressioni,  sono riconducibili ad animali affetti da rabbia. Penso che un giornale che affronti il Nina Report debba aiutare il lettore a capire, ad orientarsi tra i dati offrendo una chiave di lettura. Dire le cose come stanno, non alimentare le paure terrorizzando i lettori. 

Ora sembra che anche il governo di destra guidato da Giorgia Meloni abbia sposato la causa del Bauernbund.

Voglio essere chiaro: io penso che fare della biologia della conservazione significhi avere a disposizione tutti gli strumenti possibili per gestire al meglio i conflitti tra uomini e lupi, garantendo gli uni e gli altri. Dunque sono anche favorevole a quote di prelievo di lupi, se necessarie, ma il prelievo non può essere il cuore della discussione. L'Europa già oggi nella Direttiva Habitat prevede delle deroghe ma devono essere deroghe motivate. In altri termini:  se in una data situazione non sono in grado di gestire la presenza del lupo con strumenti di prevenzione, ho diritto a procedere con prelievi selettivi. Qualcosa di profondamente diverso dalla libertà di sparare al primo lupo che vedo in virtù di una supposta criticità di tutto l'ambiente rurale sudtirolese. Significa, al contrario, che se ho una situazione di criticità devo dimostrarla e devo dimostrare che ho fatto di tutto per evitare di ricorrere alla misura dell’abbattimento. Così funziona in Germania, in Francia e in Slovenia. Qui invece si inseguono utopie regressive come il “wolfsfrei”. Oggi la paranoia è tale per cui i tecnici dell’ Ufficio caccia e pesca, persone straordinarie, competenti e capaci di farsi carico di tutta la pressione  sociale che alimenta il tema lupo, non possono neppure fare Wolf-Howling, uno strumento fondamentale per il monitoraggio perché altrimenti i contadini si preoccupano, oppure non posso mettere le fototrappole sui terreni privati perché i contadini non vogliono. Un paradosso ridicolo: si impedisce, si rende complicata, la raccolta dei dati. Senza capire che avere un quadro chiaro della situazione sul terreno è la precondizione necessaria per qualsiasi richiesta di abbattimento in deroga. Il “via libera alle doppiette” come priorità  è comunque un obiettivo fuorviante e sbagliato, buono per la politica ma non per gestire la situazione. Ammettiamo che la Provincia di Bolzano ottenga una deroga e il permesso di abbattere il 20% dei lupi presenti in loco, come accade in Francia, dove il prelievo arriva al 21%. Che cosa significa dal punto di vista pratico? In Alto Adige ci sono grosso modo 35 lupi, dunque ne potrò uccidere sette o otto. E poi? Ne restano 28 che in assenza di misure di protezione continueranno allegramente a cercare gli  animali da allevamento. I prelievi servono per tamponare le situazioni di maggiore difficoltà e gestire il malcontento sociale, là dove emerge. E se anche si sterminasse il 100% dei lupi, l’Alto Adige non è un’isola e il lupo tornerà, perchè ci sono lupi a est, a ovest, a nord e a sud della provincia. Va detto comunque, e con grande chiarezza, che all’ideologia degli abbattimenti si contrappone un’ideologia uguale e contraria, quella del mondo animalista per cui i lupi sono delle vacche sacre a prescindere. Tutto questo allontana la soluzione dei problemi e l’adozione di misure pragmatiche di gestione delle criticità. Tenere la barra a dritta quando si parla di lupo significa affrontare la situazione con l’idea di dover  garantire tanto la zootecnia quanto un buono stato di conservazione dei predatori a lungo e medio termine. L'intervento su animali problematici deve essere possibile,  fermo restando che un lupo che preda una pecora incustodita non è un animale problematico, è un animale normalissimo.

 

In ogni caso è un dato di fatto che la popolazione di lupi stia aumentando in tutto l'arco alpino.

Il numero aumenta perché gli animali colonizzano nuovi areali sulle Alpi e ci sono ancora decine di migliaia di chilometri quadrati disponibili. Attualmente il lupo occupa il 37% della superficie alpina. Quindi ci sarà un aumento del numero complessivo dei lupi, ma non della densità relativa, perché i lupi sono animali territoriali che difendono attivamente la loro “riserva di caccia”. Il guaio è che oggi la discussione è talmente polarizzata, ed è polarizzata da entrambe le parti, che è difficilissimo riportare le persone alla realtà delle cose e trovare un terreno comune di confronto. Servirebbe un salto culturale, una vera transizione ecologica delle teste. Il futuro è fare economia dentro gli ecosistemi, non contro gli ecosistemi. Tornando a noi: il lupo deve diventare una parte del mio lavoro non un nemico del mio lavoro. Il mondo rurale sudtirolese non ne vuol sapere, per una lunga serie di motivi, forse anche perchè negli anni di Durnwalder, si è abituato a schioccare le dita e avere tutto quello che vuole. Nei giorni scorsi ho letto una lettera aperta del Bauernbund firmata anche da una sfilza di sindaci che chiedono al ministro Lollobrigida di essere capiti, ascoltati, accolti. Ho notato, tra le firme anche quelle dei sindaci della Val Badia e cioè di quelle comunità che quando c'è stata la crisi migratoria nel 2016 si erano rifiutate di ospitare due, dicasi due, famiglie di migranti. Donne e bambini, che chiedevano di essere ascoltati, accolti, capiti. A farsi carico di quella crisi fu soprattutto Bolzano, e furono soprattutto le comunità urbane, mentre nelle valli e nei masi si continuava tranquillamente a dare acqua ai gerani. Questo per dire che un certo vittimismo di oggi da parte del mondo rurale lascia il tempo che trova. La realtà è che, a tempo debito e con modalità differenti, ognuno è chiamato a fare la propria parte, sia che abiti in città che in un paesino di montagna. A ben vedere, la questione lupo mette in causa il tema della democrazia e cioè la capacità di fare entrare nella nostra vita il punto di vista dell'altro, che sia un lupo, che sia un migrante che sia un disabile …  Invece in questa terra spesso la prima reazione è sempre  quella di eliminare tutto quello che ci disturba, che ci dà fastidio. Non è stato un caso che nel 2017, mi pare, a Villandro su un manifesto contro il lupo sia stato appiccicato quello di un migrante che importuna una donna, di un migrante di colore che importuna una donna bianca. Perché alla fine è questo il tema: avere una visione ampia e plurale della società, della complessità della società, e non porsi sempre come vittime incomprese dal mondo urbano. Certo, c'è una parte del mondo urbano che non capisce, ma i contadini non sono vittime o eroi, ed il mondo urbano fa la sua parte per far sì che i contadini possano continuare a fare i contadini.

Gli animalisti con il loro modo di affrontare il problema fanno danni esattamente come il Bauernbund. La cosa che mi è davvero incomprensibile è che la politica non capisca l’importanza, anche simbolica, di un tema del genere.

La Svp sul tema è dominante ma per il resto si assiste a un silenzio desolante e si sentono per lo più voci isolate del mondo animalista.

Ripeto: gli animalisti con il loro modo di affrontare il problema fanno danni esattamente come il Bauernbund. La cosa che mi è davvero incomprensibile è che la politica non capisca l’importanza, anche simbolica, di un tema del genere. Davvero è incomprensibile perché partiti come PD e Verdi, ad esempio, non entrino a gamba tesa con  un po’ di coraggio.  Non è solo una questione ambientale, la gestione del lupo mette in gioco alcuni aspetti fondamentali del gioco democratico. Non è poco.

 

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Christian I Tue, 11/15/2022 - 13:06

A tal proposito é anche interessante vedere come "il miglior amico dell'uomo" ferisca (gravemente) e uccida molto molto di piú dei lupi. Ma é meglio fare finta di niente...

Tue, 11/15/2022 - 13:06 Permalink