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Convivenza: il caso Marocco

Nessuna cultura è veramente matura se non è in grado né disposta a mettersi in relazione con altre civiltà sulla base di un principio di reciprocità.

Una civiltà può prosperare solo se è aperta ad altre influenze, nel più vero senso di integrazione. La storia ha ampiamente dimostrato che una civiltà che si rifiuta di interagire con altre comunità e con le loro differenti tradizioni, nonché di accettare influenze esterne, è destinata a fallire ed a sparire dalla storia in breve tempo. 

Con questo articolo si intende dare un contributo in tal senso, fornendo una breve analisi su alcuni aspetti delle riforme avviate in Marocco dopo le rivoluzioni della c.d. “primavera araba”. Mentre alcuni Paesi del Nord Africa (Egitto, Tunisia, Libia) hanno avviato una fase complessa e contraddittoria di transizione, i cui esiti continuano ad essere molto incerti, il Marocco ha confermato la sua originalità storica, religiosa, sociale, giuridica e si propone come fulcro di un “ordine arabo rinnovato”. 

Le proteste, organizzate soprattutto dal Movimento “20 febbraio”, non hanno mancato di investire anche il Marocco, tuttavia in forma meno radicale e meno violenta rispetto ai paesi vicini e, soprattutto, con esiti molto diversi. I movimenti di protesta non hanno, infatti, messo in discussione l’autorità del monarca né sostanzialmente richiesto cambiamenti all’assetto politico-istituzionale esistente, ma si sono limitate a chiedere riforme costituzionali ed economiche. Ciò si deve probabilmente al fatto che in Marocco il Re rappresenta un elemento di unità nazionale molto forte e la monarchia è stata in grado di comprendere i mutamenti politici in atto, dando avvio a una serie di riforme capaci di rispondere alle richieste della popolazione, sia sul piano politico-istituzionale che su quello economico.

È questa la principale differenza rispetto a Tunisia, Egitto e Libia. In questi paesi i leader (BenAli, Mubarak e Gheddafi) e i gruppi di potere a loro legati, non potevano guidare le rivoluzioni, trasformandole in evoluzioni costituzionali; lo scontro si è tramutato in un conflitto esistenziale tra fazioni religiose, politiche ed economiche (e talvolta, specie in Libia, etniche e tribali), l’unico esito possibile era la vittoria di uno e la sconfitta dell’altro: o i vecchi e screditati leader o i nuovi rivoluzionari. Diverso lo scenario in Marocco, dove il “noi” rappresentato dal Re e dalla Costituzione non si è mai davvero frantumato. In quel paese ci sono state in passato e c’erano nel 2011 le possibilità di una modifica controllata del patto fondamentale per assecondare un cambiamento graduale e prevenire lo sconvolgimento rivoluzionario, lasciando uno spazio (ben delimitato e sorvegliato, ma pur sempre legalmente riconosciuto) alle opposizioni. 

 

Organizzazione della convivenza dopo la “Primavera Araba”

La nuova Costituzione del Regno del Marocco del 29 luglio 2011 ha rappresentato la prima risposta, concreta e tempestiva, alle rivolte della c.d. “primavera araba”. In realtà, l’approvazione di questa Costituzione, con referendum da parte del 98,5% dei votanti – e con un’affluenza superiore al 76% degli aventi diritto - dimostra che le proteste del Movimento 20 febbraio hanno solo accelerato il percorso riformistico e democratico, consolidandolo. 

Dal 1962 ad oggi il Paese passa infatti attraverso fasi autoritarie e più liberali sul finire del Regno di Hassan II nel 1999 e ancora di piu con la successione di Mohammed VI, caratterizzato di profonde dinamiche di cambiamento avviate con riforme giuridiche ed interventi politici ed economici di respiro strategico. 

Uno degli interventi  più significativi per un “cambiamento graduale e progressivo”, ma profondo, della società marocchina era l'approvazione del nuovo Codice di famiglia (mudawwana) nel 2004. Questo nuove codice prevedeva per la prima volta che la possibilità di contrarre matrimonio poligamico (non abolito) è subordinata alla condizione che il marito possa dimostrare davanti al giudice di essere in grado di mantenere l’intera famiglia e la donna può richiedere all’atto di matrimonio che l’uomo non prenda altre mogli; la donna può chiedere il divorzio per motivi “morali e finanziari” (mentre secondo la tradizione ella poteva addurre solo motivi gravissimi); l’età minima per il matrimonio è fissata a diciotto anni (con la possibilità che il giudice deroghi a tale soglia per motivi particolari); ancora: è richiesta mutua fedeltà tra i coniugi (nel codice del 1993 la fedeltà della moglie era il “primo diritto” del marito). 

Oggi, una delle novità più rilevanti nella nuova Costituzione è rappresentata dal vasto catalogo delle libertà e dei diritti fondamentali, con una rilevante apertura  al diritto internazionale, soprattutto con riferimento ai diritti umani e una serie di disposizioni specifiche a garanzia dei diritti e delle libertà. Infatti,  il Regno del Marocco si impegna per lo sviluppo di una società «solidale nella quale a tutti sia garantita la sicurezza, la libertà, la uguaglianza di opportunità, il rispetto della loro dignità e della giustizia sociale nel quadro della coerenza tra diritti e doveri di cittadinanza».

Per quanto riguarda il richiamo al diritto internazionale e alla tutela dei diritti umani, l’impegno riguarda la protezione e la promozione del sistema dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, in  particolare, del rifiuto di ogni forma di discriminazione basata sul sesso, sul colore della pelle, sul credo, sulla cultura, sull’origine sociale o regionale, sulla lingua, sugli handicap o su ogni altra condizione personale. Con un linguaggio costituzionale di estrema modernità prevede quindi un divieto di discriminazione a tutto tondo, che incorpora anche la dimensione psico-fisica. 

 

Diversita' linguistica e culturale

Un secondo elemento di assoluta novita' sia per la monarchia marocchina sia per  qualunque altro stato arabo riguarda il riconoscimento della diversità culturale e linguistica della società.  Nel preambolo, la nuova Carta costituzionale consacra i fondamenti dell’identità marocchina plurale ed aperta. Non limita a dichiarare la cultura Amazigh/Berbera come “patrimonio comune di tutti i cittadini del Marocco”, ma specifica che “l’identità nazionale del paese, una ed indivisibile” è forgiata dalla “convergenza delle sue componenti arabo-islamiste, Amazigh e Saharo-Hassani, e arricchita dalle sue  influenze africane, andaluse, ebraiche (!) e mediterranee. Si tende quindi a rafforzare l’unità nazionale, arricchita tuttavia da una molteplicità di fattori (linguistici, religiosi, etnici, geografici), tutti meritevoli di tutela.  In questa prospettiva l’identità è unica e plurale. L’enfasi sulla dimensione identitaria plurale, si riverbera, nell’ articolo 5 del testo costituzionale che attribuisce a una lingua diversa da quella araba, e cioè alla lingua amazigh/berbera, lo status di lingua “ufficiale” e prevede “la protezione del dialetto Hassani degli abitanti del Sahara come parte integrante dell’identità culturale unita del Marocco, nonché la protezione delle espressioni culturali e dei dialetti praticati in Marocco”. 

L’ufficializzazione della lingua amazigh e il riconoscimento della cultura amazigh come componente di un'identità nazionale non più esclusivamente arabo-musulmana,  ha indubbiamente segnato un impegno fondamentale nei confronti del movimento amazigh ed ha portato una novità memorabile in senso agli Stati nazionali pan-arabisti e in particolare del Nordafrica. Per la prima volta nella storia della monarchia marocchina e di qualunque altro governo arabo viene riconosciuto ad una lingua diversa da quella araba lo statuto di lingua “ufficiale”. 

Uno dei timori che viene evocato di frequente nei discorsi amazigh riguardo a questa riforma epocale risiede nel fatto che la nuova Costituzione prevede un’applicazione graduale dell’ufficializzazione della lingua amazigh con leggi organiche da approvare in parlamento. Il rinvio alla legge ordinaria che è chiamata a specificare i diritti solennemente affermati nel Preambolo della Costituzione nasconde però degli ostacoli. Si è rilevato infatti che incombe il rischio che l’ufficializzazione della  lingua amazigh si limiti a un atto simbolico, a causa del peso notevole dei sostenitori del pan-arabismo nazionalista (Partito dell’Istiqlal, Partito della giustizia e dello sviluppo) nei dibattiti e nelle decisioni politiche.

Le leggi di attuazioni devono essere l'occasione per fornire protezione e riconoscimento legale a questi anni di conquiste sul piano linguistico e culturale. Secondo alcuni studiosi, anche la creazione di un Consiglio nazionale delle lingue e della cultura marocchina, come previsto nell’art. 5 della nuova Costituzione, incaricato in particolare della tutela e dello sviluppo delle lingue araba e amazigh e delle diverse espressioni culturali marocchine, non potrebbe garantire, allo stato attuale delle cose, una realizzazione effettiva del progetto amazigh. 

Con il percorso riformistico intrapreso, il Regno del Marocco oggi  fornisce un esempio assai singolare per il mondo arabo che non solo garantisce ma anche valorizza la specificità culturale-linguistica, che non contraddice, ma, anzi, cementa l’unità nazionale. Nel futuro pero' solo l’effettiva capacità di attuazione e implementazione delle disposizioni costituzionali possono garantire una democrazia sostenibile e una pace duratura fondata “sull’unità nella diversità”. Una democrazia, infatti, come ci insegna il diritto comparato, non può sopravvivere se i propri cittadini non condividono un senso di comune appartenenza nei confronti dello Stato.

Tale senso di appartenenza risulta indispensabile a garantire la stabilità dello Stato in due sensi. Primo, in democrazia, l’autorità di esercitare il potere risiede nel popolo; se questo è diviso, ovvero se non percepisce sé stesso come formante un singolo demos, anche l’autorità politica e il suo potere di governo ne risultano indeboliti e poco legittimati. Secondo, a meno che i cittadini non percepiscano di lavorare tutti ad un’impresa comune, e perciò avvertano un senso comune di alleanza verso le istituzioni sotto le quali vivono, essi non saranno incentivati a rispettare obblighi e doveri che derivano dal vivere in questa società. 

In un quadro di radicale cambiamento nel Nord Africa, il Marocco ha dunque confermato la propria “eccezionalità” e la propria capacità di rispondere alle istanze di cambiamento con politiche riformistiche tese a modernizzare il paese. Si tratta di una grande sfida, ancora lontana dall’essere vinta, che tuttavia proietta il Marocco verso standard democratici più elevati e verso un processo di sviluppo istituzionale e politico in grado di mantenere solide le istituzioni statali e garantire dunque un futuro di stabilità al paese.

 

Eva Pföstl, meranese ed esperta di diritto delle minoranze, recentemente in un discorso all'assemblea generale dell'Onu ha proposto un modello di autonomia per il Sahara Occidentale. Alla situazione in Marocco ha dedicato il suo ultimo libro “Marocco: il Regno del Dialogo” (Bordeaux 2014). Insegna diritto delle minoranze nel mondo arabo al Master in Economia e Istituzioni dei Paesi Islamici alla LUISS di Roma.