Society | Gastbeitrag

Martinstag e dintorni

Piccole storie di vera condivisione raccontate da una volontaria della rete Bozen Accoglie.
Note: This article is a community contribution and does not necessarily reflect the opinion of the salto.bz editorial team.
Idomeni
Foto: Upi-Idomeni

Pieno inverno. Gennaio 2016. Ogni volta che, poco dopo mezzogiorno, ripercorrevo la ciclabile dai Piani di Bolzano fino a Cardano, incontravo un grande gruppo di uomini e ragazzi, accucciati lungo il fiume sotto un cavalcavia ferroviario, nell’ansa sabbiosa dove il rio Rivellone, scendendo dalle pendici del Renon, sfocia nell’Isarco. Erano diverse decine di persone, che davanti a qualche focolare di fortuna si scaldavano e cucinavano in padelle nere fagioli al sugo di pomodoro. Altri tiravano con il mattarello, su di una tavola in legno infarinata e impolverata, larghe sfoglie di pasta che avrebbero poi cotto da entrambi i lati su di una teglia appoggiata su un altro focolare. Quei ragazzi pranzavano a piccoli gruppi, le loro voci si nascondevano dietro al rumore dell’acqua del fiume, e tutta quella cucina da campo e riusciva anche a mandare il suo profumo al naso di chi passava sopra, a piedi o in biciletta.
Così, attratta dal profumo e dalla curiosità riguardo il destino di quegli esseri umani scuri e incappucciati, costretti a rifugiarsi in uno dei luoghi più gelidi e nascosti della Bolzano invernale e a mangiare il cibo dei poveri diluito e impastato con l’acqua del fiume, ho chiamato un’amica e un giorno a mezzogiorno, abbiamo scavalcato lo steccato in legno che costeggia la ciclabile e siamo scese all’argine dell’Isarco.
Sorpresi dalla nostra visita, dopo un breve incrocio di sguardi senza parole né sorrisi, i ragazzi (afghani e pakistani, richiedenti asilo) hanno fatto il semplice gesto di accomodarci attorno al focolare più grande, sulla coperta di lana posta su una grande pietra. Altrettanto semplicemente ci hanno offerto un pezzo del loro pane largo e piatto, appena uscito dal fuoco. “Benvenute all’inferno, e grazie di essere qui con noi.”
Io non mi sono seduta accanto al fuoco perché non avevo freddo.  Avevo il pane che mi scaldava le mani, e comunque, in quel luogo, il calore umano e la condivisione sincera erano riusciti, realmente, a non farmi sentire il vento e l’umidità che a gennaio non perdonano, lungo la valle d’Isarco.

Ancora inverno. Febbraio 2016. Mi occupavo per lavoro di una famiglia composta da genitori e 5 figli, che con un camper scassato girava per Bolzano, alcuni giorni qui, altri lì, in relazione alla tolleranza dei vicini e delle forze dell’ordine. Emergenza. Soluzione temporanea fino a quando avrebbe retto: un posto auto pubblico per il camper alla periferia della città, di fronte a una casa di accoglienza per profughi, lontana dagli sguardi sospettosi degli abitanti dei quartieri.
Di nuovo scambio di sguardi, sguardi di adulti e sguardi ingenui, intelligenti e profondi dei 5 bambini, subito colti e riconosciuti dagli ospiti della casa. E così la sera all’imbrunire, quando l’aria si faceva gelida e le mani cominciavano a intirizzirsi, ma si sedeva ancora all’esterno del camper attorno a un tavolino sgangherato da campeggio - perché dentro ci si stava solo per dormire stretti - apparivano nel buio tre persone, che senza parole e senza sorrisi portavano piatti di cibo appena cucinato, a scaldare lo stomaco e l’anima.
I tre uomini erano profughi, senza risorse e senza certezze. Ma sono stati gli unici abitanti di Bolzano a dividere ogni sera, con semplicità e con profondo rispetto, quel poco che ricevevano dalla struttura di accoglienza con chi evidentemente aveva più bisogno di loro.

Marzo 2016. La primavera è alle porte, e Idomeni, il piccolo paesino greco al confine con la Macedonia, è nel fango. Piove da giorni. Piantati con le loro tende nel fango vivono centinaia di famiglie in fuga dall’Oriente verso una meta precisa o incerta, ma la fuga è bloccata da uomini in divisa e filo spinato. Amici partono dall’Italia in solidarietà e in aiuto a queste famiglie e al loro ritorno raccontano con gli occhi lucidi degli episodi di sincera condivisione - nel nulla angosciante, nel fango e nella polvere – vissuti assieme a queste persone. Perché nelle tendopoli di Idomeni, dovunque ci si fermasse a fare due chiacchiere, dovunque si accettasse di sedere attorno a un fornello di fortuna, attorno a tavolini improvvisati, si veniva accolti con cibo, frutta, piccoli dolci, che spuntavano chissà come e non mancavano mai.

“Benvenuti rifugiati”, diciamo con un filo di voce.
“Benvenuti a voi – è la risposta, ugualmente a fil di voce, ma calda e potente – a voi che ci siete venuti vicino, così vicino da incrociare i nostri sguardi e in qualche modo i nostri destini. Per questo non sorridiamo, troppo grande è ancora il nostro dolore, il ricordo della terra e dalla casa lasciata, e troppo duro sarà il nostro futuro. Ma dividiamo con voi quel poco che ancora abbiamo, perché siamo e resteremo esseri umani.”

Oggi. Martinstag. Novembre 2016. Lanternine di ogni forma e canzoni che riscaldano la fredda serata autunnale. La storia del mantello diviso e donato al mendicante, ripetuta, inscenata. La condivisione di ottimo pane fatto in casa a simboleggiare e ad insegnare un valore, in realtà tra noi assente. E in me, mamma spettatrice, l’emozione forte che ritorna a galla pensando agli episodi vissuti e appena raccontati di vera condivisione, dove Martino non era il ricco cavaliere ben coperto e ben nutrito.
Paradosso di un’Europa trasformata in fortezza. Martino sta dove nessuno si aspetterebbe mai di incontrarlo, dove sembra non vi sia nulla da condividere, se non freddo, tristezza e disperazione. Martino sta nelle persone vere, meravigliose ed escluse, sta ai margini delle nostre città e della nostra Europa. Nonostante tutto, ignaro della leggenda del Santo, esiste e si esprime con forza, restituisce giustizia all’atto della condivisione sincera e dignità umana alla nostra società.