Culture | Salto Afternoon

Sfiorare l’impossibile

Esperienze uniche in giro per monumenti nell’ex Jugoslavia in scatti memorabili di Andy Day, alla Kleine Galerie – Piccola Galleria, Bolzano
parcour
Foto: Foto: Andy Day

Come si catturano quei corpi volanti in aria nel bel mezzo di un salto tra un blocco di cemento e un altro o tra un muro e un altro di un edificio? Le OfficineVispa di Bolzano, un centro per giovani con sede nel nuovissimo e anonimo quartiere Casanova di Bolzano, hanno organizzato assieme all’assessorato giovani del comune un’interessante iniziativa attorno alla disciplina nata una ventina di anni fa: The Parkour Experience. Una mostra fotografica, un workshop di fotografia e seminari di pratica per impararlo, oltre allo spettacolo Enfantastique in cui il parkour è salito in palcoscenico grazie ai ragazzi de Il tappeto di Iqbal giunti da Napoli. Indiscusso protagonista il fotografo Andy Day che da un po’ di anni ha raggiunto fama internazionale con i suoi reportage in cui combina relazione tra corpo umano e corpo architettonico con indagini e ricerche di sociologia urbana. A Bolzano ha portato la mostra intitolata Ex – Former – dal 22 giugno alla “Kleine Galerie - Piccola Galleria” (passaggio Antico Municipio 8) in cui si possono ammirare scatti eseguiti nel corso di un viaggio attraverso alcuni paesi dell’ex Jugoslavia per seguire alcuni traceurs (vengono chiamati così i praticanti del parkour) nel “dominare” monumenti apparentemente inconquistabili eretti per celebrare ciò che una guerra ha come fine: potere, separazione, dominio.

Andy Day vi vuole contrapporre la filosofia della comunità parkour: l’apertura mentale. Come ha scritto in un articolo uscito online proprio sull’impresa balcanica: “far parte della comunità globale del parkour significa essere connessi con un network amorfo e frammentato ma ben collegato nel mondo digitale di persone di spirito simile che amano allenarsi e fare avventure insieme, senza preoccuparsi di appartenenza etnica, religiosa o nazionale, in quanto l’altro è qualcosa da esplorare e non da temere”.

 Il parkour crea anche una propria esperienza visuale.

Seduto in mezzo a un gruppo di giovani, il giovanissimo fotografo nel workshop ha spiegato la sua tecnica basata su pochi punti chiave. Innanzitutto: far parte della comunità, ovvero praticare - sebbene poco - la disciplina perché ciò fa familiarizzare colui/colei che ne vuole captare l’essenza con la sua lente fotografica con l’ampia gamma di movimenti e soprattutto con lo spirito base. Nel parkour non esiste la competitività, in quanto ognuno/a crea i propri movimenti e il proprio percorso sulla base delle proprie capacità fisiche. E non solo. Il parkour crea anche una propria esperienza visuale. Come? Al pari della danza si acquisiscono una enorme padronanza del corpo e un’altrettanta enorme varietà di gesti che nell’azione si fondono in un tutt’uno. Ben consapevole del potenziale immaginario creativo ogni traceur traccia per l’appunto nel suo percorso la propria visione e sta al fotografo catturarne l’apice.

Qui – svela Day e lo si nota nei suoi meravigliosi scatti esposti – basta focalizzare i momenti di estensione nel movimento, come nella danza. Ed è per questo che si rende utile praticare, acquisendone migliore conoscenza. Dalla teoria alla pratica. Prendere confidenza con sé stessi, il senso dell’equilibrio e il gusto dell’avventura. È un vero piacere, infatti, osservare i giovani e giovanissimi alle prese con ringhiere, muri e scalini nei vari tentativi, riusciti e non, e di come il loro slancio nel buttarsi nell’arte dello spostarsi (è questa la denominazione data inizialmente nelle periferie francesi dov’era nata come art du déplacement) non si fa mai meno. I ragazzi del Tappeto di Iqbal sanno entusiasmare, forti delle loro esperienze nel quartiere malfamato Barra di Napoli dove lavorano per e coi ragazzi di strada.