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La regionalità come valore

L'arte della birrificazione artigianale e le sfide della pandemia. I racconti di Reto Rauch alla Bieraria Tschlin di Martina al di fuori delle logiche industriali.
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Foto: Dominik Taeuber

Maggio 2022: la birra è tornata sulla bocca di tutti…

E non solo per via dell’abbassamento dei contagi da COVID e del ritorno alla normalità per il mondo della ristorazione, senza orari di chiusura anticipati e serrande abbassate per giorni interi. Il vero motivo è che l’Ufficio Brevetti Europeo, ancora una volta, sta per rilasciare una licenza relativa all’orzo per birra, coltivato in modo convenzionale.

Siamo di fronte a una contraddizione lampante: la birrificazione artigianale in Germania è stata riconosciuta patrimonio culturale nazionale, nel 2016 la cultura brassicola belga è stata persino annoverata nel patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Eppure, allo stesso tempo, le conoscenze e le competenze relative alla produzione artigianale della birra vengono ostacolate dalla concessione di brevetti. Quello attualmente discusso, ad esempio, si basa su modifiche genetiche accidentali dell’orzo, non riconducibili all’ingegneria genetica. Se ora, come richiesto, tutte le piante d’orzo con le relative varianti genetiche devono essere brevettate, indipendentemente dal modo in cui sono nate, e anche l’uso dell’orzo e la birra stessa devono essere soggetti a brevetto, ne risulta che l’orzo non può più essere piantato, coltivato o utilizzato liberamente come lo è attualmente.

Questi problemi sembrano relativamente lontani parlando con Reto Rauch alla Bieraria Tschlin di Martina, che racconta “Siamo membri della Comunità d’interesse delle birrerie indipendenti svizzere, che segue da vicino il dibattito su questi temi e ci tiene informati sugli sviluppi. Attualmente non ci tange nulla di tutto questo, né della situazione attuale né in merito ai brevetti già concessi per l’orzo, fortunatamente!”.

Consumatori e gastronomi sono sempre più consapevoli dei complessi intrecci del commercio mondiale e attribuiscono maggior valore alla regionalità. Naturalmente, ci auguriamo che questa tendenza prosegua

Al momento, tutt’altro tiene impegnati i collaboratori del birrificio e cioè l’enorme richiesta! “Siamo riusciti ad aumentare le vendite di quasi sei volte dal 2013, quando la birreria si è trovata in una situazione di crisi vicina alla chiusura e io ho preso in mano la gestione”, afferma Reto soddisfatto. La produzione è passata da 500 a 2800 ettolitri l’anno. “Più di così è quasi impossibile: 3200 ettolitri è il massimo, quanto meno negli spazi che abbiamo a disposizione adesso”. L’attività è ospitata nelle sale di manutenzione e controllo della centrale elettrica, che non sono mai state utilizzate a tale scopo. “Potenzialmente, però, potrebbero essere ampliate”.

Reto racconta di aver passato notti insonni durante le prime settimane di pandemia di COVID, quando la socialità e la ristorazione hanno subito un arresto quasi completo. “I nostri magazzini strabordavano, abbiamo dovuto interrompere la produzione e ridurre l’orario dei dipendenti. In accordo con i nostri azionisti, abbiamo quindi organizzato una vendita diretta che ha avuto molto successo: abbiamo fatto il tutto esaurito la prima sera”, afferma soddisfatto. “E nell’estate 2020 la domanda è improvvisamente risalita, al punto che non ci è stato possibile accontentare tutti”. A oggi, Reto sente di aver tratto qualcosa di positivo dalla pandemia. “Consumatori e gastronomi sono sempre più consapevoli dei complessi intrecci del commercio mondiale”, afferma, “e attribuiscono maggior valore alla regionalità. Anche nella ristorazione c’è stato un cambio di mentalità. Naturalmente, ci auguriamo che questa tendenza prosegua.”

 

La regionalità è sicuramente un punto di forza della birra della Bassa Engadina, prodotta esclusivamente con ingredienti svizzeri, la maggior parte dei quali provenienti dagli immediati dintorni, “a partire dall’acqua di sorgente di Tschlin”, aggiunge sorridendo Reto. “Il nostro frumento di montagna, invece, viene fornito dal Monastero di San Giovanni a Müstair, mentre l’orzo viene coltivato nel Cantone dei Grigioni.”

E questo non è l’unico aspetto che fa venire voglia di gustare più spesso la Biera Engiadinaisa in futuro: oltre alla coltivazione biologica degli ingredienti, va sottolineato che riciclo e upcycling sono integrati nel processo operativo. Ad esempio, il sistema di riempimento interessa in parte bottiglie riciclate, il malto esausto viene consegnato agli agricoltori come mangime per il bestiame e la birra viene distillata in superalcolici quando è vicina alla scadenza.

Reto, agronomo proveniente da Sent, non potrebbe lavorare senza il suo team. “Di fatto è difficile trovare collaboratori svizzeri”, mi racconta, “perciò i nostri due mastri birrai provengono dalla Germania e dall’Austria”. Tuttavia, è lui che si assicura che il birrificio rimanga fedele alle sue caratteristiche distintive e che la birra qui prodotta rimanga sulla bocca di tutti.

Sicuramente una birra e una birreria che vanno al di là dell’ottica industriale.