Coronavirus Brescia
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Chronicle | salute

Io, caso sospetto ignorato

Una storia inquietante. Un bolzanino rientrato dalla Lombardia presenta tutti i sintomi del contagio ma non viene sottoposto a tampone. Decide di autoisolarsi.

Per le strade si aggira un potenziale portatore di Coronavirus… Anzi no, perché – almeno in questo caso – la persona potenzialmente infetta si è messa in auto-quarantena oltre il periodo “precauzionale” prescrittogli dal medico di base. Una storia inquietante, che – diciamolo subito – non vuole essere una critica al sistema di gestione dell’emergenza (in questo momento non ce n’è bisogno) quanto piuttosto uno stimolo a migliorare ulteriormente la catena di prevenzione del contagio. Fermo restando che le opinioni espresse in questo articolo dal diretto interessato, in quanto tali, sono legittime e, ovviamente, personali.

 

Reduce dalla Lombardia in crisi emergenziale

 

Il protagonista di questa storia è un trentenne bolzanino, che per comodità chiameremo Paolo. Da qualche anno lavora a Milano ma vive a Brescia da un parente. Fino a qualche giorno fa ha fatto la spola quotidiana tra Brescia e Milano, per poi tornare a Bolzano nel fine settimana. Sentiamo il racconto delle sue ultime giornate in Lombardia e del rientro a casa.

“I miei ultimi viaggi a Milano sono stati il 25 febbraio e il 3 marzo. Data la situazione di pericolo, avevo deciso di non prendere più il treno ma di andare in macchina. Ritengo probabile di essere stato contagiato il 3 marzo, in occasione di una sosta all’autogrill. Ma potrei anche averlo contratto in un bar di Milano, all’epoca ancora aperti. Dopo essere rientrato a Bolzano avverto i primi sintomi: malessere generale e raucedine, subito trattati di mia iniziativa con antipiretici e sciroppi. Nella tarda mattinata del 9 marzo avverto mal di gola, raffreddore e tosse insistente. La mattina del 10 marzo il termometro mi segnala che ho la febbre a 38°”.

Oltre alla mia salute, io ho il dovere di pensare anche a quella degli altri

Aldilà del quadro clinico, poiché Paolo è reduce da una zona a rischio, sembrano esserci i presupposti per definirlo un caso sospetto di Coronavirus: sul sito della Provincia infatti, che cita come fonte l’Asl altoatesina, si definisce come tale anche “una persona con storia di residenza (o soggiorno) in area in cui è segnalata trasmissione locale (aree a rischio) durante i 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi”. La procedura prevista in questi casi, per i casi sospetti al di fuori di un contesto ospedaliero, è la seguente: “Per quanto riguarda i casi di sospetto di Covid-19 a livello domiciliare per pazienti con sintomatologia modesta o lieve, il medico di medicina generale in accordo con lo specialista igienista, organizzerà il tampone naso-faringeo a domicilio. Anche in questo caso il tampone deve essere ripetuto dopo 24 ore per la conferma o l'esclusione della diagnosi”.

 

Tampone previsto dal protocollo ma mai effettuato

 

Insomma Paolo si aspetta che qualcuno venga a fargli il tampone a domicilio. Ma non è così.
“Dopo aver misurato la febbre, lo stesso giorno contatto immediatamente il numero d’emergenza, fra l’altro perennemente occupato, e quando riesco a parlare con un’operatrice vengo “dirottato” sul medico di base, spiegandomi che solo quest’ultimo avrebbe potuto valutare il mio caso. In alternativa, qualora il medico di base non fosse stato raggiungibile, avrei dovuto contattare il distretto socio-sanitario. Dopo aver chiamato invano il centralino del medico di base, sempre occupato, telefono al distretto. Qui l’operatrice mi dice di rivolgermi all’ufficio infermieristico, che si rivela non raggiungibile. Riprovo con il medico di base e stavolta riesco a parlare con la sua sostituta, molto disponibile, che mi sottopone a un breve questionario telefonico: è stato di recente nelle zone a rischio coronavirus? Se sì, dove? È stato a contatto con persone positive? E così via. Al termine del colloquio mi prescrive, sempre per telefono, di restare in isolamento per 7 giorni, di usare mascherine e guanti in caso di contatti occasionali con altre persone, e assumere antipiretici e sciroppi all’occorrenza”.

 

“Chissà, forse ho contagiato decine di persone”

 

Paolo si mette quindi in quarantena, tra l’altro meravigliandosi che non gli sia stato prescritto il periodo classico di 14 giorni ma solo una settimana. Ma andiamo avanti con il racconto.
“L’11 marzo telefono all’ufficio igiene e sanità pubblica di Bolzano per chiedere di essere sottoposto al tampone. Nel frattempo la febbre era scesa a 37,4°. L’operatrice mi fa notare che solo il medico di base avrebbe potuto prescriverlo, ma soltanto in caso di effettiva necessità. Prende nota del mio numero di telefono affermando che avrebbe discusso della mia situazione con i suoi colleghi, riservandosi di ricontattarmi qualora avessero deciso di sottopormi al tampone. Non mi ha mai chiamato nessuno. Eppure nei 14 giorni precedenti ero venuto a contatto con decine e decine di persone, forse centinaia. Prima della febbre ero anche andato a fare una visita oculistica in una clinica di Bolzano, stando quindi vicino – oltre ai sanitari – a diverse persone anziane. Tuttavia l’ufficio igiene mi ha tranquillizzato dicendomi che nessuno avrebbe potuto muovermi accuse di alcun tipo, poiché in quel periodo non avevo manifestato i sintomi. Certo, giuridicamente è così, ma eticamente? Oltre alla mia salute, io ho il dovere di pensare anche a quella degli altri”.

La macchina delle emergenze messa in moto dalla Provincia è lacunosa

E così, malgrado la settimana di isolamento prescritta dal medico di base sia già scaduta, Paolo ha deciso spontaneamente di non uscire di casa fino al 24 marzo. Non solo.
“Sempre di mia iniziativa ho utilizzato un saturimetro per monitorare il grado di saturazione dell'ossigeno, e per fortuna il livello è sempre stato ottimale. Mi sento bene e posso dire di essere quasi guarito, sebbene non riesca ancora a distinguere bene sapori e odori. Nel mio caso l’infezione è stata lieve. Ma la mia storia mi porta a chiedermi: quante richieste d’aiuto vengono ignorate o sottovalutate dal nostro sistema sanitario? Evidentemente vengono sottoposti al tampone soltanto i malati più gravi, tra i quali io non rientravo poiché non avevo difficoltà respiratorie. Molto probabilmente esistono migliaia di “sommersi” (in grado potenzialmente di infettare un numero elevatissimo di persone), ai quali bisogna aggiungere i positivi asintomatici per i quali non è previsto il test. La prevenzione, di fatto, non esiste. La macchina delle emergenze messa in moto dalla Provincia è quindi lacunosa, poiché “scarica” tutte le responsabilità sui medici di base, i quali però, è bene precisare, non hanno colpe specifiche”.

Dal suo osservatorio, che non si può certamente definire privilegiato, Paolo esprime un’ultima considerazione: “Considerato che non siamo in grado di individuare e isolare tempestivamente tutti i positivi e gli asintomatici, siamo sicuri che la chiusura totale dell'Italia possa contribuire a contenere e a rallentare l'epidemia, che ormai è già “partita” da un pezzo come ha detto anche il giornalista Nicola Porro, anch’egli affetto e guarito dal Covid-19? Non sarebbe stato più semplice ed efficace concentrarsi solo sui soggetti veramente a rischio polmonite (circa il 15% della popolazione), potenziando contemporaneamente le terapie intensive?”

Domande, assieme a tante altre, alle quali probabilmente non si potranno mai dare risposte certe.

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Massimo Mollica Sun, 03/22/2020 - 21:51

Io se fossi stato "Paolo" avrei sollevato un polverone mega galattico. Mi sarei esposto nome e cognome e avrei preteso il doppio tampone! ma stiamo scherzando?
Ci sono cose che forse non sappiamo e non sapremo mai!
E' certo che in tempo di pace dovremo investire ancora di più nella sanità locale. E basta parlare di migranti!

Sun, 03/22/2020 - 21:51 Permalink
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Cristina Sittoni Tue, 03/24/2020 - 15:49

Anche ad un mio amico è successa la stessa cosa. Rimasto a casa. Tampone non fatto, pur essendo sintomatico. Fortunatamente si è ripreso dopo 15 giorni.

Tue, 03/24/2020 - 15:49 Permalink