Culture | Salto Afternoon

Un concerto “sconcertante”

Memorabile Sound Project a cura di Kristjan Järvi e la sua Baltic Sea Philharmonic per il Südtirol Festival Meran.o che termina oggi con la London Philharmonia.
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Foto: Südtirol Festival Merano

Due sono gli aspetti che si notano subito quando entrano, numerosi, i musicisti della Baltic Sea Philharmonic: tutti giovani, molti con capelli biondi o chiari, tantissime donne, e non domina il solito nero tra gli abiti ma spuntano camicie e magliette “colorate” in sfumature bordeaux, verde e blu. Blu-chiaro è anche il colore del primo violino facente parte dell’ensemble, la russa Evgena Pavlova. Si crea subito un’atmosfera particolare in sala, di magica tensione, affollatissima come sempre, per questa serata del Südtirol Festival annunciata sui cartelloni pubblicitari in giro per le strade con il bel volto sorridente del fondatore e direttore di questa orchestra nata da un progetto di studio per giovani musicisti dei paesi confinanti del Mar Baltico, Kristjan Järvi. Il primo brano del concerto denominato Nordic Pulse è Orawa, composizione straordinaria del polacco Wojciech Kilar, scomparso ottantunenne nel 2013, meglio noto per le sue colonne sonore per pellicole famose come Il pianista di Roman Polanski o il draculiano Bram Stoker di Francis Ford Coppola. È un brano per soli archi dai tempi musicali vorticosi, contrapposti a fredde luci blu-polare sullo sfondo del palco, che termina con un inaspettato “Hey!” urlato dal direttore d’orchestra giratosi per un attimo verso il pubblico.

Quindi, sono entrati i fiati per dare il via alla complessità del mondo sonoro creato dal giovanissimo Gediminas Gelgotas, classe 1986, presente nel Kursaal di Merano, Mountains. Waters. (Freedom). È stato chiamato sotto il palco dallo stesso Järvi con un semplice gesto, imitando l’atto dello scrivere con le mani, e il pubblico ha compreso subito salutando l’autore con un intenso e caloroso applauso. Le sonorità ideate dal lituano Gelgotas ci hanno fatto compiere un viaggio nel mare ghiacciato del nord, con tanto di toni a mo’ di clacson di ipotetiche grandi navi di passaggio.

Poi arriva la violinista ospite, Mari Samuelsen, elegante nel suo lungo abito nero, che subito fa vibrare le corde del suo violino per interpretare assieme all’orchestra con altrettanta magia il ben noto Fratres di Arvo Pärt, nella versione „per violino, percussione e orchestra d’archi“. Kristian Järvi non dirige soltanto maestosamente gli oltre sessanta elementi della „sua“ orchestra affinché creino quei melodiosamente complessi movimenti e ritmi musicali all’unisono, no, Kristian Järvi si muove a ritmo con l’intero corpo, arrivando a incorporarlo, quel ritmo, e si potrebbe quasi arrivare a dire che lui „è“ il ritmo. Di sicuro è il perno da cui si estende magia pura per le orecchie, come fa un sasso gettato nell’acqua che diffonde onde circolari sull’acqua.

Due parole vanno spese per la regia delle luci che accompagnano Aurora per violino e orchestra composto dallo stesso Kristian Järvi, le cui prime note risuonano dopo che il direttore d’orchestra si è anche improvvisato „direttore del pubblico“ portando a tacere con un solo gesto l’applauso sonante al termine di Fratres. Sorride, mentre anima entrambe le braccia e le mani nella direzione dei diversi strumenti organizzati per sezioni in un semicerchio attorno a lui, così come sorridono i musicisti mentre suonano sprizzando di gioia. Quella stessa gioia si intinge nell’aria, come bollicine che la contaminano, e così, respirando, ci riempiamo anche noi, che ascoltiamo, di quella stessa gioia sonante. Ecco che al suono della campana che ricorda un tipico „tintinnabulo“ à la Pärt, le luci sul fondo bianco del palco si colorano di rosso bordeaux chiaro, quasi violetto – per simulare un’alba nordica? Poi si attraversa un verde giallo – il calore del giorno? – anche nella musica e i ritmi si fanno quelli di una città affaccendata, pulsante di vita, mentre il successivo bianco-giorno si trasforma lentamente in un giallo chiaro - mimando il chinar della sera? - dove le sonorità si fanno più briose, per cui onde spumeggianti sull’orizzonte fanno immaginare amori che sbocciano e poi si consolidano nella luce bianca finale... Leggiamo nel programma di sala che Järvi per il suo Aurora si è rifatto al minimalismo, ricombinando ripetutamente le diverse cadenze e motivi sonori assolutamente semplici. La prima di questa „giornata sonora“ c’era stata nel 2016 nella cittadina portuale norvegese di Bergen.

Pausa.

Sorpresa! Sedie e leggii sono scomparsi dal palco, i musicisti entrano piazzandosi in piedi, ognuno col proprio strumento nuovamente in semicerchio attorno al fulcro del tutto, il loro direttore, che dice due parole al pubblico spiegando l’improvviso cambiamento. „Come già un anno fa“, inizia Järvi - il Baltic aveva già suonato nel 2017 a Merano e l’inarrestabile, lungimirante direttore artistico del Südtirol Festival, Andreas Cappello, l’ha richiamato quest’anno – dopo la pausa suoniamo senza sedie e senza partiture per godere maggiormente della libertà musicale come orchestra, una libertà che arriva non tanto dalla sicurezza del ‚gruppo’, quanto dall’integrità della ‚community’“. Per loro suonare non è lavoro ma gioco, intendendo i suoi musicisti, dove va precisato che in tedesco „suonare uno strumento“ si dice – ad esempio riferendosi al violino - „Violine spielen“ che letteralmente tradotto significa „giocare al violino“ e rende meglio l’idea base che sta dietro alla scelta presa dal musicista-compositore-direttore che tra i suoi studi vanta anche quelli di pianoforte presso la Manhattan School of Music. Nato nel 1972, figlio di emigranti nordici, Kristjan Järvi è cresciuto a New York assimilandone in pieno lo spirito creativo-innovativo, visto che già a ventun anni aveva fondato il suo Absolute Ensemble, una band che nei propri brani amava riunire sonorità jazz e hip-hop, l’elettro-acustica e la classica accanto ad altri stili vari. Un enfant terrible della scena musicale contemporanea è nato sul firmamento delle grandi orchestre mondiali, perchè con la sua Baltic Järvi gira ormai il mondo. La prima volta „partitura free“ è stata in occasione del Baltic Folk Tour, nel 2017, L’uccello di fuoco di Igor Stravinsky: memorabile esecuzione che ha fatto storia visto che finora non c’era mai stata un’orchestra che suonasse a memoria!

Racconta il percussionista Mathias Matland: „fu una sensazione al contempo sbalorditiva e liberatoria; senza il leggio davanti si vede ciò che fanno i compagni e immediatamente ci si sente legati l’uno con l’altro. Tutto d’un tratto siamo un tutt’uno e l’intero processo del suonare diventa davvero un suonare insieme!“

A Merano la parte libera del concerto, davvero sconcertante, erano Der Sturm Suites 1 & 2 di Jean Sibelius del 1925, penultima opera del compositore e violinista finlandese scritta sulla base di La tempesta di Shakespeare, avendo lui smesso di produrre musica dopo la Grande Guerra a causa di un sospetto cancro alla gola morendo, però, soltanto trent’anni dopo nel 1957. Scrisse un critico inglese che, mentre altri compositori miscelavano piacevoli cocktail per il pubblico, Sibelius serviva loro „pura acqua gelida“. Certo di gelo non si può parlare per questo brano straordinariamente „selvaggio“ – a detta di Kristjan Järvi che ne firma l’arrangiamento: una prima assoluta, „in diretta in Südtirol!“. Si parte da una sorta di slancio dinamico primordiale per passare da momenti di arcadia, molto melodici, ad altri molto movimentati, tipico per la scrittura di Shakespeare (noto per i suoi drammi che potevano essere intesi dall’intero pubblico grazie agli intermezzi indirizzati alle persone meno colte, mentre i punti salienti erano in linguaggio più aulico orientato all’alta società e ai nobili), facendo così nascere a livello sonoro quelle tipiche creature meravigliosamente fantasmagoriche nate dalla penna del Bardo.

C’è da stupirsi se a fine concerto c’è stata una Standing Ovation della durata di oltre cinque minuti, dopo altri sonori applausi durati complessivamente una decina? E non abbiamo ancora parlato del “pezzo d’oro” della serata, quello conclusivo, la Sinfonia n. 4, 1° tempo ossia la Rock Symphony di Imants Kalnins, compositore lettone che alla fine degli anni sessanta aveva scoperto il rock ‘n roll nella blindata ex-Unione sovietica, dove ovviamente era vietatissimo! Lui aveva fondato la sua rockband 2xBBM che si divertiva a suonare le cover dei Beatles e altri song di propria invenzione. Nel 1972 ebbe la geniale idea di combinare in questa sua Sinfonia - composta alla maniera di Ravel - i mondi sonori dei Led Zeppelin e di Mike Oldfield (chi non ricorda il suo Tubular Bells?) con quelli della musica folk lettone e della musica classica moderna. Il risultato? Uno straordinario „Bolero non Bolero“ – come lo aveva annunciato Kristjan Järvi.

„Suonare a memoria permette sia ai musicisti che al direttore d’orchestra di interagire in un modo assolutamente nuovo“, dice ancora Järvi, e ciò rispecchia la filosofia di unione della Baltic Sea Philharmonic che unisce musicisti dalla Danimarca, l’Estonia, la Finlandia, la Germania, la Lettonia e la Lituania, la Norvegia, la Polonia, la Russia e la Svezia, e vuole creare al contempo un movimento che unisca anche la gente di questi paesi con uno spirito davvero europeo. Questo spirito collettivo è istillato dal suo fondatore-direttore che si sente parte dell’orchestra e non vuole dirigerla dall’esterno, ma fare musica insieme, e il fatto di includere pezzi da lui composti nei programmi delle serate è unicamente per stimolare i suoi giovani collaboratori a scrivere musica anche loro „essendo in tanti ad avere talento in diversi ambiti, il quale deve solo essere portato alla luce visto che spesso sono poco fiduciosi o aperti a sufficienza per provarci“, aggiunge Järvi, e quindi una vera emancipazione del singolo libera e fa crescere l’energia produttiva, nonché la sensazione che tutto è davvero possibile!