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Capitalismo carnivoro

Allevamenti intensivi, monocolture di cereali, carne coltivata: il saggio di Francesca Grazioli è una critica a metà.
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Foto: il saggiatore

Quella degli allevamenti intensivi è una questione che porta con sé numerose problematiche che non riguardano il solo maltrattamento degli animali. La monocoltura di soia, la deforestazione, il consumo di suolo e di acqua sono argomenti affrontati anche da Capitalismo carnivoro, saggio a firma di Francesca Grazioli pubblicato nel 2022 da il Saggiatore.

Per chi non è estraneo alle conseguenze dettate dal consumo di prodotti di origine animale, le informazioni riportate nel libro non suoneranno di certo nuove, eppure rinfrescare la memoria rispetto al peso delle proprie scelte alimentari, è sempre importante. Troppo spesso, infatti, si tende a non attribuire alla carne il giusto valore politico e la bistecca viene spogliata da ciò che rappresenta per diventare un piatto come l’altro. Non solo, dunque, un filetto è percepito come un tipo taglio e non come un pezzo di zona lombare di un animale, ma viene completamente annullata l’impronta ambientale e l’implicazione etica di tale alimento. Questo meccanismo è forse dettato anche dal fatto che non sempre si ricorda l’ingordigia dell’occidente, ma ecco qui qualche dato: negli Stati Uniti, ogni giorno vengono mangiati 22 milioni di polli, cioè 8 miliardi in un anno e in Italia il consumo annuale di carne è di circa 80 chilogrammi pro capite. Accanto al mondo animale evidentemente soggiogato dalla cupidigia umana tanto che circa 80 miliardi di animali si trovano all’interno dei sistemi d’allevamento intensivo, si mostra sofferente anche l’ambiente naturale. Per soddisfare la richiesta di mangime, intere foreste vengono abbattute così da fare spazio alle coltivazioni di soia, il cibo ideale per gli animali allevati in spazi stretti poiché, grazie alla sua alta carica proteica, permette alle bestie di prendere peso velocemente. È la stessa Grazioli a ricordare che dei 349 milioni di tonnellate di soia prodotti nel 2018, più del 90% è stato destinato al consumo animale e che dagli anni Ottanta al 2019, il Brasile è passato da produrre 15 milioni di tonnellate di soia a 114 milioni. Sarebbero sufficienti questi numeri per capire come l’attuale modello di produzione e consumo di carne sia insostenibile, ma per comprendere ancora meglio come le abitudini alimentari abbiano implicazioni sociali, Grazioli ricorda che “gli Stati Uniti, da soli, mangiano tre volte il quantitativo di proteine animale consumate in tutto il mondo, pur essendo solo poco più del 4% della popolazione totale”.

Gli Stati Uniti, da soli, mangiano tre volte il quantitativo di proteine animale consumate in tutto il mondo, pur essendo solo poco più del 4% della popolazione totale

Nel suo saggio, Francesca Grazioli pone l’accento sulla necessità del sistema capitalistico di limitare l’accesso a una dieta ricca di prodotti di origine animale a gran parte degli abitanti della Terra, ma la sua critica si inceppa quando presenta la carne coltivata come una soluzione affinché “i corpi animali non [siano] più campi di battaglia per l’accumulo di capitale, né territori di conquista”. Impossibile a questo punto non ricordare l’intervista rilasciata da Bill Gates – grande sostenitore nonché finanziatore del cibo sintetico – nel 2021 alla MIT Technology Review, dove afferma che i Paesi economicamente avanzati dovrebbero mangiare solo carne coltivata, poiché i loro abitanti hanno maggiore facilità ad abituarsi a nuovi sapori. Gates esplicita senza mezzi termini che il cibo da laboratorio è un alimento per ricchi e fa sì che esso diventi l’ennesimo simbolo di una diseguaglianza, sebbene mascherato da soluzione tecnogreen agli allevamenti intensivi. Sostenere un’innovazione perché permette di soddisfare il proprio palato senza delitto e senza castigo – per usare le parole della stessa Grazioli – rischia solo di essere manifestazione dell’hybris umana, cioè di quella tipica tracotanza che porta l’uomo a non porsi alcun limite. Giustamente Grazioli scrive che “il capitalismo richiede che i corpi diventino macchine”. Ma allora com’è possibile non criticare una tecnologia che fa dei bioreattori i sostituti di un animale controllabile 24 h su 24, 7 giorni su 7? Riprodurre in laboratorio le condizioni corporee di una bestia non significa forse che la standardizzazione dei corpi al fine di renderli elementi di massima produttività è ormai giunta all’ultimo livello?

Credere che sia una scienza neutra quella capace di trasformare la Natura fino a espropriarle il valore è una posizione che pecca o di ingenuità o di sconsiderato cinismo. Davanti alla cieca fiducia nei confronti di una tecnologia sempre più avanzata, è bene ricordare che un modello disposto a sperimentare sugli animali non pone alcun limite nemmeno sui corpi umani. Nella sua condanna al sistema capitalistico della carne, Grazioli decide di non prendere le distanze dall’idea che sia l’istituzione scienza a stabilire l’orizzonte del possibile dando così seguito a una narrazione che annulla la complessità della crisi finanziaria ed ecologica che stiamo attraversando.