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Due classici che quasi nessuno conosce

Rosamaria Pavoncelli ha recitato in “Die 7. Puppe” e in “La verde età” del regista Bruno Jori. 50 anni dopo la morte di Jori il ricordo dell'attrice. A Natale.
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Foto: Rosamaria Pavoncelli

salto.bz: Ha recitato nel cortometraggio “Die 7. Puppe”. Quali ricordi ha di questo film di Bruno Jori, Mario Deghenghi e Karl Schedereit?

Rosamaria Pavoncelli: Quello che ricordo chiaramente sono le corse lungo il canale d’acqua a Merano fatte più volte durante le riprese e anche un certo freddo perché era inverno e non ero particolarmente vestita. Di Bruno Jori ho un ricordo di persona squisita, dolce e sorridente, ma all’epoca del cortometraggio, girato dopo il film “La verde età”, avevo già confidenza e un legame consolidato. Di Deghenghi ricordo che mi faceva sempre ridere e giocare nei tempi morti. 

 

Cosa rammenta del set? Degli altri bambini che partecipavano? 

Del set di “Die 7. Puppe” non ho particolari ricordi. Era senza dialogo per cui poco impegnativo e girato in tempi brevi. Inoltre siccome abitavo a Merano non avevo tempi di trasferimento e disagi. Sono riuscita a girarlo continuando a frequentare la scuola. La cosa su cui mi fecero concentrare molto era l’espressività che doveva virare dall’allegria di bambina viziata per il regalo alla disperazione per la perdita del dono ed infine alla serenità e gioia per il gesto di solidarietà. Su questo mi ricordo molte prove. Coi bambini “zingari” che si vedono alla fine e ai quali regalo la bambola non ho avuto nessuna relazione. Per quello che ricordo erano veramente del gruppo che viveva sul fiume e furono contattati dal regista direttamente. Purtroppo mio padre è morto da molto tempo e certo lui sapeva molte più cose. 

 

Chi ha scoperto il suo talento? 

Talento è una parola grossa….comunque decisamente Bruno Jori. Io frequentavo la scuola di danza della maestra Kebat (allora famosa a Merano) sulle passeggiate d’inverno e lui comparve senza preavviso durante una lezione e stette ad osservarci. Poi chiese di poter contattare alcuni genitori quando ci venivano a prendere per proporre un provino. Sinceramente non so quante bambine visionò. Io fui accompagnata qualche giorno dopo da mio padre all’albergo che era della moglie di Jori ed era molto vicino alla scuola di danza. Proprio nell’angolo del balcone che sotto ho indicato con la freccia un fotografo mi fece tantissime foto legate alle espressioni che mi suggeriva: gioia, spavento, dolore, paura etc. etc.. Mio padre mi disse che le foto furono visionate a Roma in una sorta di casting e fui scelta io per la mia “spontanea espressività”. Ho infatti poi scoperto cercando la copia del film “La verde età” che Bertolazzi, il produttore, stava appunto a Roma! Ho anche scoperto parlando con sua figlia (che mi ha fatto avere copia del film) che la madre voleva fosse lei l’interprete ma era di poco più piccola e per il ruolo non andava bene!
Dopo lunghe trattative con la scuola, per alcuni mesi non avrei potuto frequentarla e dovetti poi recuperare, mio padre accettò e così iniziai questa allora incredibile avventura.
Luciano Piffer fu invece scelto da Jori fra i bambini ospiti di un orfanotrofio di Maia Alta. Con lui non ho mai avuto contatti dopo il film ma mi hanno riferito che purtroppo si è suicidato.

Purtroppo i miei famigliari ridono, molto affettuosamente, nel vedere me da piccola, ma riteniamo tutti una vera fortuna avere a disposizione questo autentico pezzo del mio passato.

Che ricordi ha di Bruno Jori (1922-1970)​​​​​​​ come regista? 

Lo ricordo molto alto (probabilmente anche perché io ero piccola!) e sempre calmo e sorridente malgrado le difficoltà e la complessità del film. Io ero entusiasta e molto ligia al dovere, anche se la fatica di imparare tutte le scene a memoria giorno per giorno (sarei poi stata doppiata da Paola Quattrini), era veramente pesante e lo facevo per fortuna con l’aiuto di mio padre. Lui mi incoraggiava sempre e mi dava molta sicurezza. In particolare ricordo che in una scena dovevo piangere veramente e non mi riusciva. Tutti si stavano innervosendo e mi facevano pressione. Lui mi prese in disparte e mi suggerì di prendermi il tempo necessario e di pensare a qualcosa di veramente triste. Io dissi che la cosa più triste era stata la recente morte di mia nonna Rosa, ne parlammo un po’ insieme e……mi venne da piangere! Problema risolto con delicatezza e tranquillità.

 

Per il lungometraggio “La verde età” lei ha interpretato il ruolo principale. Perché quasi nessuno conosce questo film? 

Di sicuro prima di tutto perché era uscito nella scia dell’allora famosissimo “Marcellino pane e vino” e ne poteva un po’ sembrare una imitazione. Tanto è vero che mi ricordo che mio padre aveva fatto un quaderno con la raccolta dei titoli di giornale e degli articoli che ne parlavano (e nel momento se ne parlò tanto) e uno (tratto dalla Settimana Incom) mi è rimasto impresso perché era dedicato a me e recitava “Emula italiana di Pablito Calvo (interprete di Marcellino pane e vino)”, cosa per cui a scuola mi presero molto in giro chiamandomi “emula”! Purtroppo per i vari traslochi che ho fatto deve essere finito da qualche parte e non lo trovo più. Poi perché il genere a sfondo religioso/miracolistico stava forse già passando di moda. Nel momento, quando uscì al cinema, gli fu dato un certo risalto ma poi scomparve dalla circolazione. Risaltò fuori quando ero al Liceo e lo diedero in televisione…..ovviamente i miei compagni mi presero anche allora bonariamente in giro.
Un’altra volta, una quindicina di anni fa, comparve nei giornali della programmazione Tv che l’avrebbero trasmesso a notte fonda, allertai parenti e amici per cercare di registrarlo visto che non ne avevo copia…..ma non lo trasmisero!

 

Lei ha un album, “La verde età”, che ricorda le riprese. Dov'è stato girato il film? Quanto è stato complesso il suo ruolo?

L’album me lo regalò con dedica proprio il produttore a fine riprese. Il film fu girato in parte per gli esterni a Glorenza e dintorni mentre per gli interni sinceramente non ricordo dove. Tutti i giorni ci recavamo in macchina a Glorenza per le riprese compatibilmente col meteo (allora si guardava fuori dalla finestra!!!). Anche in questo caso ricordo il freddo, la scena notturna nella neve fu terribile, e come dicevo la fatica di imparare il copione pur avendo io ottima memoria. L’altra cosa di cui ho un ricordo fastidioso è il trucco. Essendo il film in bianco e nero mi davano in faccia un cerone particolare perché il mio colorito risultasse gradevole e sempre uguale…..alla sera prima di andare a letto dovevo fare una operazione complessa per togliere lo strato di fondotinta e mi ricordo che se incontravo qualcuno per strada mi vergognavo perchè sembravo un mascherone. Quindi finito il lavoro di strucco incominciavo a ripetere le battute del giorno dopo. Dovevo anche usare i colori degli abiti perché poi in bianco e nero apparivano diversi, ricordo le lenzuola gialle perché così sarebbero risultate bianche! I vestiti erano veramente i miei. Poi ricordo la fatica fisica di trainare il carrettino con il bambino dentro. Sono sempre stata forte, ma non fu così facile! Per il resto la complessità del ruolo l’ho vissuta più come un gioco e con molta curiosità ed emozione per questa incredibile opportunità di esperienza che mi era capitata.
Ricordo ancora che rimasi sconvolta dal fatto che girammo inizialmente una delle ultime scene (per questioni organizzative) ma io non avevo idea che esistesse il montaggio e pensavo nella mia innocenza che i film si girassero nell’ordine in cui si vedevano le scene! Per questo avevamo costruito un programma, proprio perché le scene venivano girate “alla rinfusa”, per collegare gli stessi vestiti alle giuste sequenze. Non facile allora senza computer tutto su carta e quaderni! Ricordo ancora che al ritorno a scuola, dopo la fine delle riprese, le mie compagne mi isolarono per un po’, forse per “invidia” perché la maestra aveva spiegato che avevo fatto l’attrice in un film, mentre io ero entusiasta e avrei voluto raccontare. Comunque poi le acque si calmarono e dopo poco tornò tutto alla normalità.

 

Voleva diventare un’attrice dopo la sua esperienza davanti alla camera? 

Veramente non ci pensai proprio. Mi piaceva andare a scuola e l’esperienza era stata molto stancante e totalizzante. Bertolazzi mi aveva proposto di andare a Roma a fare altri provini ma i miei erano contrari e volevano che studiassi. Quando Jori ci propose il cortometraggio accettammo perché appunto breve e poco impegnativo e soprattutto proprio per il bel rapporto che avevamo con lui.

In che modo vede oggi la sua infanzia da attrice? Che opinione ha di Bruno Jori, e della Merano degli anni Cinquanta? 

Ne ho un bellissimo ricordo, oggettivamente molto lontano ma decisamente piacevole. Mi dà il senso di aver vissuto una piccola vita a parte tutta mia! Ne ho comunque sempre parlato pochissimo, quasi per non voler fare quella che si vanta di essere stata “attrice”. In effetti non sono stata attrice, sono stata solo una spontanea bimbetta ben guidata da un bravissimo e sensibile regista. Merano in quegli anni era meravigliosa e autentica. Da quando nel 2000 mia mamma si è trasferita dove abito io (Forlì) vi sono tornata poche volte e ogni volta l’ho vista mutata e non direi in meglio. La cosa che ricordo fortemente era l’autonomia che noi bambini di allora avevamo nell’andare a scuola a piedi da soli, nell’andare da soli a fare la spesa per la mamma, senza problemi. Vedo invece i bambini di pari età dei nostri giorni sempre presidiati da genitori che li portano e li prendono come pacchi. Atmosfere diverse, più “pericolose”, bambini “meno bambini”! Ricordo infine il verde e le meravigliose passeggiate di Merano, la cosa che qui più mi manca e che per fortuna ho trovato immutate nelle ultime visite.

Vedrà la “Die 7. Puppe” a Natale 2020? 

Penso proprio di si! Ho avuto questo filmato tanto tempo fa in VHS, poi un mio cognato me l’ha trasferito in DVD. Rivedrò anche La verde età. Purtroppo i miei famigliari ridono, molto affettuosamente, nel vedere me da piccola, ma riteniamo tutti una vera fortuna avere a disposizione questo autentico pezzo del mio passato.