Society | Gastbeitrag

"Nuova speranza"

Lampedusa, terzo giorno. Dialogo con Vito Fiorino, che salvò 50 persone in mare, e l'ex sindaca Giusi Nicolini. "Migrazioni, nuovo Olocausto. Come possiamo abituarci?".
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Foto: Samira Mosca

Questo diario nasce dall’esperienza vissuta da un gruppo di 13 ragazzi e ragazze che, su iniziativa del Centro Giovani Villa delle Rose di Bolzano, hanno intrapreso un viaggio a Lampedusa. L’esperienza fa parte di un lungo percorso iniziato lo scorso febbraio che ha dato la possibilità ai giovani partecipanti di approfondire le tematiche dei diritti umani e dell’accoglienza.

Per una settimana il gruppo incontrerà autorità politiche, volontari, operatori sociali e cittadini dell’isola, simbolo dell’accoglienza e delle criticità legate al fenomeno migratorio. Ogni giorno i ragazzi riporteranno, attraverso racconti e fotografie, le loro impressioni ed esperienze vissute a Lampedusa.

 

Questa mattina sveglia presto e tutti al porto vecchio. In un bar ci attendono cornetti ripieni e un incontro speciale. Mentre beviamo il caffè, seduti attorno a tavolini bianchi, sfrecciano motorini e mehari, piccole jeep aperte dai colori vintage.

 

Un caffè amaro, un'esperienza forte

È un caffè amaro quello che beviamo con Vito Fiorino. Un sapore che resta in bocca e sullo stomaco a tutti. È un’esperienza forte quella che ha vissuto il 3 ottobre 2013 a largo di Lampedusa.

Erano le sei e un quarto e Vito era in mare con gli amici. Albeggia, ma con il sole si alzano suoni diversi dal solito vociare dei gabbiani. “Sento vuciàri”, dice l’amico Alessandro, avvertendo dei rumori inconsueti. A poche centinaia di metri di distanza si presenta davanti a loro un ventaglio di persone in balia delle onde. La voce di Vito si spezza nel descrivere quei difficili momenti.

È un caffè amaro quello che beviamo con Vito Fiorino. È un'esperienza forte quella che ha vissuto il 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa. La sua barca, Gamar, che vuol dire "Nuova speranza", ha accolto 46 uomini e una donna in balia delle onde

 

 

Quella mattina, la Gamar, la piccola imbarcazione rimodernata di Vito, ha accolto e riportato a riva 46 uomini e una donna. Vito sa che non si dovrebbe mai cambiare il nome ad una barca, ma Vito crede anche che nulla accada per caso: la sua Gamar, che prende il nome dai suoi nipoti, si chiamava “Nuova Speranza”. Oggi le testimonianze di chi ha vissuto quei momenti vengono raccontate in tutt’Europa con la lettura scenica “Quel mattino a Lampedusa” di Antonio Riccò.

 

"Come possiamo abituarci?"

In silenzio e con le parole di Vito in testa, ci rechiamo da Giusi Nicolini, il nostro secondo incontro di oggi. Giusi ci racconta la sua esperienza da sindaca di un’isola che a sua detta è “una periferia della periferia”, abbandonata e carente di servizi primari, come gas, benzina, acqua, assistenza sanitaria e strutture scolastiche idonee.

Giusi Nicolini, già sindaca dell'isola, ci saluta lanciando un messaggio che noi stessi condividiamo: “Ciò che rende subdolo questo nuovo “Olocausto” è l’indifferenza della gente, siamo tutti complici. Come possiamo accettare tutto questo?”

Dopo un lungo confronto sulla gestione amministrativa degli ultimi anni, l’ex sindaca si sofferma sulle tematiche delle migrazioni e dell’accoglienza. Nonostante le difficoltà dell’isola, gli abitanti si sono sempre dimostrati solidali e umani, ma si sono anche sentiti dimenticati. La Nicolini ci saluta lanciando un messaggio che noi stessi condividiamo: “Ciò che rende subdolo questo nuovo “Olocausto” è l’indifferenza della gente, siamo tutti complici. Come possiamo accettare tutto questo? Come possiamo abituarci?”

 

di Valentina Stecchi e Veronica Tonidandel

Centro Giovani Villa delle Rose