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Dalla Regione all'Unione regionale

All'Ente serve una riforma che guardi verso l'Euregio. Le Province si chiamino per quello che sono: delle Regioni.
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Foto: Regione TAA

In questo mio intervento vorrei partire da qualche considerazione positiva, per poi arrivare alle criticità di questa Regione Trentino Alto Adige-Suedtirol Per ragioni storiche, perché il Trentino faceva parte del vecchio Tirolo, e per vicinanza emozionale ai Trentini tirolesi, rappresentavo da sempre una voce fuori dal coro nell’ambito del gruppo linguistico tedesco e nella Volkspartei per quanto riguardava il tema della Regione, Sono tuttora convinto che per vari motivi sia nell’interesse di ambedue le province collaborare, difendere l’autonomia contro le sempre presenti tendenze alla centralizzazione, ma anche per affrontare temi più grandi, più opportunamente. A questo propositp vorrei fare due esempi:

a) Le tendenze alla centralizzazione rimarranno sempre presenti in Italia, e pertanto un costante pericolo per le autonomie, semplicemente per il fatto, che l’Italia non è nata come federazione tra i vari staterelli, con con l’aggregazione a uno Stato centralizzato, il cui Statuto Albertino era ispirato dalle Costituzioni di stati unitari come la Francia e il Belgio. Mentre il Belgio ha dovuto trovare una nuova veste più adatta per la convivenza delle sue varie etnicità, la Francia tuttora ha difficoltà di concedere un minimo di autonomia ai suoi départements e régions. Dopo il tentativo di ridistribuire almeno varie competenze amministrative registriamo continuamente dei forti poteri che frenano queste tendenze. Questa è l’anima con la quale è nata l’Italia. Ricordiamoci che già nel 1948 erano previste le Regioni in Costituzione ma fino alla metà degli anni 70 non erano neanche stati eletti i Consigli regionali. Subito nel 1988 la riforma della Presidenza del Consiglio con la competenza di indirizzo e coordinamento, dopo tante bicamerali per rafforzare le deboli competenze, solo nel 2001, cioè dopo 50 anni si è riusciti a riformare la Costityuzione. E subito dopo la Corte costituzionale ha frenato e poi è arrivata la proposta di riforma di Renzi con l’obbiettivo di centralizzare, prima che fosse completato il disegno.

b) i progetti grandi, per i quali è più opportuno una dimensione più ampia: Pensplan Laborfonds. Avevo convinto il mio stesso partito della necessità di una massa critica più ampia, anche dal punto di vista economico finanziario per un progetto di cosi ampio respiro. Anche da Presidente del Consiglio regionale ho spesso difeso queste opportunità.

Le criticità

Ma così come si presenta oggi questa Regione, con il completo disinteresse dei consiglieri, sedute che sono spesso una perdita di tempo e nessun grande tema affrontato, se non le discussioni populiste sulle indennità, ecco, per questa forma di Regione, non esistono solo le perplessità a Bolzano ma crescono anche i dubbi da parte dei trentini. Negli anni non si è trovata una nuova visione che si potesse sostituire alla regione legiferante, dopo lo spogliamento dalle competenze.

Per risolvere la diversità di vedute tra Trento e Bolzano, si devono ricordare i motivi di fondo. La regione è nata con le gambe storte. Dopo il tentativo negato di ritorno all’Austria in seguito al secondo conflitto mondiale, l’accordo Degasperi-Gruber doveva garantire alla minoranze sudtirolese una autonomia. Ma invece di concedere questa autonomia, come noto, è stata creata una Regione, nella quale i sudtirolesi si trovavano in minoranza e per anni sono stati sopraffatti da una linea intransigente dei partiti alla guida della regione. E non dimentichiamo l’interpretazione forzata che si è data all’accordo: “Gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento …” dovevano godere di tutela e di una autonomia. Al contrario, la sede venne istituita a Trento, e alcune deleghe date alle province. Senza dilungarmi su questo aspetto, dobbiamo però tenere presente la comprensibile lotta per una propria autonomia da parte di Bolzano, con l’uscita dalla Giunta regionale, il Los von Trient, fino al Pacchetto per trasferire le competenze regionali alle due province. In poche parole: per anni la regione è stata subita come impedimento dell’autonomia promessa, come nemica di una vera autonomia per il Sudtirolo. Uscire da questo peso storico, da questa eredità non è facile. E la diversità dei risultati delle Convenzioni sull’autonomia ne è la palese dimostrazione.

Lo Statuto è vecchio, ormai ha 50 anni, e necessità di essere adattato alle nuove realtà, dato che la società è cambiata e si presentano nuove necessità

Come affrontare la sfida per trovare il consenso, necessario per poter riformare lo Statuto? Una riforma che è necessaria per due motivi: è vecchio, ormai ha 50 anni, e necessità di essere adattato alle nuove realtà, dato che la società è cambiata e si presentano nuove necessità; la riforma costituzionale del 2001 ha sì allargato le competenze delle regioni ordinarie. Per quelle speciali esiste solamente una norma transitoria, l’art 10, che prevede che le “forme di autonomia più ampia” si applichino anche alle speciali. Praticamente lo statuto non è cambiato, ma una serie di importanti competenze si sono aggiunte a quelle elencate nello statuto, per esempia sulla partecipazione all’Ue, sull’energia, sulla previdenza complementare.  E' stato anche modificato l'iter legislativo che ha tolto il controllo preventivo delle leggi provinciali e regionali (il visto del governo) tuttora previsto all’art. 55 dello statuto, mentre le leggi possono entrare in vigore subito. Però queste competenze non sono nello Statuto, ma sono proiettate dalla Costituzione come un raggio di luce nella nostra autonomia. Ma se si spegne il proiettore, spariscono anche dall’autonomia, finché non sono codificate nello Statuto. Per questo mi contrapposi alla riforma Renzi, che oltre alla centralizzazione avrebbe portato a spegnere tutte le competenze concorrenti.

 

Riforma in tre passi

Suggerisco tre passi per la riforma, da valutare se non progredire uno per uno:

a) Inserimento di una clausola di intesa negli Statuti prima di aprire una discussione nel merito. Ne era prevista una nella riforma del Centrodestra del 2005, eravamo riusciti noi a trovare l’accordo con i capigruppo di maggioranza nel periodo Prodi, e ce n'era una anche nella riforma Renzi, ma più debole.

b) Portare a casa (il fieno nel fienile, prima che piova), tutto quanto già previsto dalla riforma 2001, prima che un altro tentativo di riforma costituzionale spenga la luce su certi progressi.

c) La discussione nel merito, che è il punto dolente:

Il professor Pallaver in uno degli incontri aveva chiesto se il Trentino si aggrapperebbe alla Regione, se la sua autonomia fosse garantita anche senza Regione. Perché effettivamente è questa la sensazione che spesso si percepisce. Ma una tale motivazione strumentale non può reggere. Non credo che l’aspirazione di ridare alla Regione qualche competenza in più possa farla risuscitare dalla paralisi. Anzi, alimenterebbe ulteriormente le tensioni tra Trento e Bolzano. Sarebbe come attaccarsi a un filo d’erba che non tiene. Non si torna indietro nel tempo!

Il giornalista Enrico Franco si è espresso in modo piuttosto pessimista: Il Trentino non ha più una visione geopolitica. Avrebbe perso l’orgoglio dell’autonomia. Se manca il collante, è difficile dialogare con i cugini di Bolzano. E cosa potrebbe essere il collante? Un progetto politico deve basarsi su fondamenta culturali, su una visione futura di una comunità che fondandosi su radici storiche sviluppi un disegno per le prossime generazioni. Un progetto che posizioni il Trentino nell'Europa centrale, con una visione fortemente europeista, con superamento dei confini, che si ricolleghi – non solo strumentalmente - con l’area Tirolese, ma che lo veda come obiettivo culturale. Non una adesione verso il mondo tedesco, la ricchezza del Tirolo storico era la multietnicità, la sua funzione di ponte tra le culture, la sua difesa delle libertà verso i poteri esterni ma anche interni (anche contro Vienna quando l’assolutismo cercava di opprimere le libertà: “Wien Schlachthof der Freiheit”). Senza radice non cresce un albero.

Nel Trentino c’erano fin dal risorgimento due anime, una che tendeva più verso il Veneto e l’Italia, e l’altra verso il nord. Non sta a me decidere le sorti che vuole prendere il Trentino. Mi pare però che questo spirito, a parte la partecipazione formale all’Euregio, sia andato perso, che venga valutato più come una visione nostalgica che un’aspirazione politica.

Ed è qui che sta il nodo gordiano da sciogliere. Volgiamo stare con Bolzano, con i sudtirolesi, ma su quale base? Solo per opportunità non regge. Il progetto deve avere basi culturali. Il vecchio Tirolo non si basava su una uniformità linguistica, anzi, la parte Welschtirol o del Sudtirol, che non era la parte di Bolzano, ma quella di Trento, da sempre italiana. Il risultato era quello di una realtà multietnica con tedeschi, italiani e ladini, Purtroppo il nazionalismo alla fine del 1800 ha fatto rivivere anime separatiste da tutte e due le parti. L’Europa lascia sperare nel superamento dei confini, nelle ricchezze culturali che risalgano all’antica Grecia, al pensiero umanistico, ai valori di solidarietà sociale del Cristianesimo, una cultura che ha conquistato il mondo.

Il progetto Euregio si presenta come grande opportunità in questo contesto, che però non deve esaurirsi in qualche incontro degli organi, o visite con in propri cori dall’una o altra parte.  Il progetto di Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) ha una solida base giuridica. Su questa base europeista si potrebbe costruire una visione più condivisa con Bolzano.

Mi pare irrisolta in questo contesto la questione dei ladini, che dovrebbero trovare una casa comune, comprendendo anche quelli delle valli di Cortina

Vedrei una sfida innovativa nel trasformare la Regione in una Comunità promotrice proprio di questa visione, con grandi compiti informativi e culturali: promuovere una conoscenza migliore tra i giovani della storia comune di questa terra; sostenere borse di studio e scambi culturali; promuovere tutte le iniziative adatte alla collaborazione transfrontaliera; coordinare le iniziative delle due province per difendersi contro il neocentralismo romano, promuovere iniziative per interessi comuni delle due province (per esempio: ricerca, promozione turistica nei mercati lontani, ecologia ecc.; valorizzare le minoranze linguistiche presenti nel Trentino che giustificherebbero di per sé (senza la necessità di aggrapparsi a Bolzano) una autonomia speciale. Mi pare irrisolta in questo contesto la questione dei ladini, che dovrebbero trovare una casa comune, comprendendo anche quelli delle valli di Cortina.

Quale veste istituzionale

Il professor Toniatti da anni ha sviluppato idee chiare su come istituzionalmente ricostruire i rapporti tra Trento e Bolzano.  Già al 2013 risale una prima proposta di Massimo Carli, Gianfranco Postal e di Toniatti “per un processo di riforma radicale” anche della natura giuridica degli Enti. Propone tra altro la denominazione delle province, che province in verità non sono (che in Italia sono solo organi amministrativi e non legislativi), in “Comunità autonome”, cioè “Comunità autonoma del Trentino e di Comunità autonoma dell’Alto Adige/Sudtirol”, mentre per la Regione si suggerisce la denominazione “Unione regionale” o in alternativa “Unione delle Comunità autonome del Trentip e Alto Adige-Sudtirol.

A questo punto mi chiedo se non sia il caso, proprio da parte del Trentino di un passo più coraggioso, proponendo di dare alle due province autonome il nome secondo il ruolo che effettivamente svolgono, di regioni autonome, mantenendo il collegamento dell’Ente “Unione regionale”, con nuove prospettive e compiti sopra elencati, di coordinamento di iniziative delle regioni autonome, di aspirazione europea, di ponte delle culture tra il Sud e il nord dell’Europa, di promozione dell’Euregio, di difesa dell’autonomia, di sviluppo di una visione comune anche tra i giovani.

Una proposta in tal senso potrebbe, secondo me, disinnescare la problematica tra Trento e Bolzano e aprire un nuovo percorso. Il tutto basato su un progetto che non si limiti – lo devo sottolineare – non solo su aspetto istituzionale, ma che soprattutto il Trentino dovrebbe discutere e sviluppare, per trovare quel collante che Enrico Franco giustamente ricercava.  Una identità storica che avvicini il Trentino ai cugini di Bolzano, e nel contesto anche al Tirolo e alla Mitteleuropea.